MANZINI, Luigi
Nacque a Bologna il 19 sett. 1604, da Geronimo e da Camilla Vitali.
La prima notizia certa sul M. riguarda il suo ingresso nell'Ordine dei benedettini: nel 1620 vestì l'abito monastico in S. Michele in Bosco, a Bologna. All'interno dell'Ordine compì studi di filosofia e teologia, ottenendo risultati ragguardevoli (anche se per i riconoscimenti accademici dovette attendere fino agli anni Quaranta), tanto che, giunto a Roma per volontà dei suoi superiori, divenne presto teologo del cardinale Maurizio di Savoia. Durante il soggiorno romano entrò a far parte delle Accademie dei Desiosi e degli Umoristi.
Trasferitosi in seguito a Venezia, presso il monastero di S. Elena, si conquistò un posto importante nella società letteraria ed entrò a far parte dell'Accademia degli Incogniti. Un panegirico scritto in onore della Repubblica, Il leon coronato (Venezia 1633), gli valse un'"abilitazione" con la quale il Consiglio supremo gli riconobbe il diritto "a godere degli onori e dignità come se fosse cittadino veneziano" (il documento, datato 26 nov. 1633, è stato pubblicato da Betti, 1994, p. 47). Intanto, la vita claustrale gli era divenuta gravosa, tanto da indurlo a chiedere al papa Urbano VIII di poter uscire dall'Ordine, cosa che ottenne ben presto. Tornò quindi a Bologna come prete secolare.
I rapporti con la Serenissima cambiarono bruscamente nel 1635, a seguito della pubblicazione a Bologna del Caduceo, un panegirico per Maurizio di Savoia in cui il M. attribuiva ai duchi di Savoia il titolo di re di Cipro. Il magistrato degli inquisitori di Venezia fece distruggere le copie possedute dalle librerie e proibì in tutto lo Stato la vendita del libro. In difesa del M. intervenne il fratello maggiore Giovanni Battista, che nell'anno successivo stampò con la falsa indicazione di Anversa una Copia di una lettera in risposta ad un cavaliere principalissimo di Venezia. La vicenda non lasciò comunque conseguenze rilevanti. P. Daru segnala un testo manoscritto, che sembra sconosciuto a tutti gli studiosi, in cui il M. espose le "Raggioni della sua partenza di Venezia, per andare alla servitù del serenissimo prencipe cardinale di Savoja".
Nel 1642 venne ascritto all'Accademia dei Gelati di Bologna; per l'occasione tenne una lezione dal titolo Che la gloria è figlia della difficoltà. Nello stesso anno chiese e ottenne la cattedra di umanità all'Università bolognese, dove l'anno successivo conseguì la laurea in teologia. Entrato a far parte del Collegio dei teologi il 23 genn. 1643, fu incaricato di redigerne in latino gli statuti, che furono stampati a Bologna nel 1650 (Almi Collegii sacrae theologiae doctorum… constitutiones, et decreta), senza il nome dell'autore (Zani e Fantuzzi concordano nell'attribuire al M. la paternità dell'opera). Il 7 giugno 1651 fu aggregato anche al Collegio dei filosofi.
Nel 1643 Urbano VIII lo nominò protonotaro apostolico; il 20 maggio dello stesso anno ottenne la prevostura di S. Maria Maggiore della Mirandola (località vicina a Bologna), alla quale rinunciò presto. Dopo circa un decennio, periodo su cui non si ha alcuna notizia, il M. si stabilì a Mantova, chiamato dal duca Carlo II Gonzaga Nevers, dove nel 1654 diventò presidente del Maggior Consiglio e storico ufficiale del Ducato, incarico per il quale gli fu assegnata una congrua pensione. Dopo circa due anni lasciò Mantova, con una lettera di "ben servito" di Carlo II del 9 maggio 1656. Passò allora a Torino, dove fu accolto come storico alla corte dei Savoia e lautamente ricompensato. Ma il soggiorno torinese durò poco: il M. chiese di poter tornare a Bologna per affari personali.
Il M. morì il 27 giugno 1657, in circostanze non del tutto chiare: durante il viaggio che doveva riportarlo a Bologna, compiuto in barca sul Po, controllato dalle due sponde da truppe francesi e spagnole, fu colpito a un occhio da un'archibugiata sparata - non si sa da quale delle due parti - probabilmente per un malinteso. Secondo alcuni biografi (Zani, Orlandi) fu seppellito nel duomo di Alessandria, ma la notizia fu smentita da Fantuzzi, che individuò il luogo della sepoltura nella chiesa di S. Maria Maggiore a Valenza.
Il M. fu uno scrittore particolarmente prolifico, capace di confrontarsi sin da giovane con i più vari generi letterari. La sua prima opera fu la "favola tragicomica boscareccia" Gli amici eroi (Venezia 1628), in cui si celebrava l'amicizia dei nobili veneziani Nicolò Barbarigo e Marco Trevisano. Allo stesso tema sono dedicati il volume collettivo Le muse di Bologna (s.l. 1628), che contiene un sonetto e una canzone del M., e una Lettera di ragguaglio, e di discorso al fratello Carlo Antonio (Bologna 1629). Nel 1629 pubblicò, a Pisa, la tragicommedia L'etiopica infanta; nel 1632 a Bologna due panegirici, L'hospite obbligante e Il principe esemplare, in cui si celebravano rispettivamente i cardinali Ludovico Ludovisi e Antonio Santacroce. Quello del panegirico fu un genere a cui si dedicò spesso, anche dopo la vicenda legata al Caduceo: cantò infatti le lodi del papa Innocenzo X (Il Sole in Oriente, Venezia 1645), del granduca di Toscana Ferdinando II de' Medici (L'iride, Bologna 1645), del principe di Massa e Carrara Carlo Cibo Malaspina (Il pavone, Roma 1646), e del principe di Monaco Onorato II (Il cigno delle rupi, Bologna 1650).
Dai primi anni Trenta il M. dette un significativo contributo allo sviluppo del romanzo spirituale con una serie di narrazioni basate su temi dalla Bibbia: Le turbolenze d'Israelle seguite sotto 'l governo di duo re (ibid. 1632), Le battaglie d'Israelle seguite sotto 'l governo di duo sommi pontefici (Venezia 1634), Vita di Tobia (Roma 1637), Il dragone di Macedonia estinto sotto il governo di Assuero Artaserse (Bologna 1643), Flegra in Betuglia (ibid. 1649). Nell'avviso "A chi legge" delle Turbolenze, il M. riprende la polemica contro la narrativa profana avviata dal fratello Giovanni Battista nel preambolo del testo che aveva inaugurato il genere del romanzo spirituale, la Vita di s. Eustachio, del 1631.
Nei suoi romanzi il M. intende valorizzare il potenziale insegnamento politico presente nelle storie sacre. In particolare, dall'intero ciclo narrativo emerge con chiarezza l'idea che il potere politico deve accettare una posizione di subalternità rispetto alla religione. Solo chi uniforma i propri comportamenti ai dettami del cattolicesimo può operare per il bene pubblico e la giustizia: i sovrani - il cui potere deriva direttamente da Dio - devono far sì che le leggi degli Stati riflettano quelle divine. Il M. non si limita a enunciare principî generali, ma inserisce nelle sue narrazioni indicazioni pratiche sull'arte del governare. Alla volontà di rendere attualizzabile il testo sacro non è estranea la scelta dei soggetti: il M., infatti, racconta solo storie contenute nei libri deuterocanonici della Bibbia - riconosciuti solo dai cattolici - probabilmente per un intento polemico antiprotestante. Dal punto di vista stilistico, il M. fa suo quel senechismo che già era stato propugnato dal fratello Giovanni Battista nei suoi Furori della gioventù (Venezia 1629). I romanzi sacri del M. non ebbero successo editoriale in Italia (tranne le Turbolenze, riedito a Venezia l'anno successivo alla princeps, non conobbero ristampe), ma furono apprezzati all'estero, in particolare in Francia, Germania e Spagna.
Nell'avviso "A chi legge" della Flegra, è annunciata l'imminente pubblicazione di un altro romanzo d'argomento biblico, le Rivoluzioni d'Israel, con cui si sarebbe chiuso il ciclo di "Istorie sagre" del M.; il testo, però, non vide mai la luce a stampa. Contestualmente, è annunciato il progetto di una raccolta di panegirici dedicati a "Principi cristiani", che si sarebbe dovuta inaugurare con un volume intitolato Corona d'Europa. Fine dichiarato dell'operazione sarebbe stata una raccolta di riflessioni sui comportamenti virtuosi tenuti da quei principi che si rendono esecutori della volontà divina.
Il M. affrontò temi religiosi anche al di fuori del genere romanzesco. A due figure considerate esemplari per i buoni cattolici, l'abate olivetano A.M. Cantoni e il cardinale N. Albergati, dedicò le "osservazioni" raccolte rispettivamente in L'abbate claustrale (Roma 1639) e Il principe ecclesiastico (Bologna 1644). Nel 1644, stampò a Bologna una silloge di esercizi spirituali, con il titolo La fenice, di cui nel 1655 uscì una traduzione in francese curata da D. Thieres. Sono imprecise le indicazioni di Fantuzzi, che riporta per errore il titolo La fenice risorta (p. 214) e che parla di un testo autonomo intitolato L'anima risorta, pubblicato nello stesso anno (p. 215); in realtà esiste un solo libro, la Fenice, diviso in tre parti: Anima crocifissa, Anima risorta, Anima inspirata.
A un orizzonte di interessi completamente differente appartiene il discorso Il niente (Venezia 1634), pronunciato presso l'Accademia degli Incogniti, con cui il M. aprì un'intensa querelle, nell'ambito della quale furono pubblicati - tutti a Venezia, nell'arco di meno d'un anno - altri quattro libri: Le glorie del niente di M. Dall'Angelo, Il niente annientato di R. Vidal, Nihil, fere nihil, minus nihilo di J. Gaffarel, Considerazioni sopra il discorso del niente di d. L. M. di P. Villa. Il tema scelto, per sua natura, esclude secondo il M. ogni forma di verosimiglianza, mentre si presta perfettamente alla creazione di "disusati mostri d'eloquenza". L'elogio del "niente" è condotto attraverso la costruzione di pagine animate da una fortissima vena sperimentale. Ciò che colpisce di più nel testo, però, sono le posizioni espresse, che appaiono del tutto inconciliabili con gli ideali controriformistici propagandati dallo stesso M. nei romanzi religiosi. L'autore fa proprie idee apertamente eterodosse: basti pensare all'esplicita contestazione del principio d'autorità e alla negazione dell'horror vacui. È difficile dare una spiegazione univoca delle contraddizioni che si riscontrano tra i romanzi d'argomento biblico e Il niente, a meno di interpretare quest'ultimo come un mero esercizio retorico. In realtà, si ha la sensazione che la critica non abbia ancora fornito un'interpretazione soddisfacente delle idee religiose del M., fondamentale per una lettura efficace delle sue opere maggiori; tra le altre cose, andrebbe sottoposta a verifica l'ipotesi (peraltro appena accennata), di Capucci (p. 18), secondo il quale "occulte correnti di giusnaturalismo sembrano percorrere l'ortodossia, non sempre disciplinata e passiva" dei suoi romanzi.
Nel 1637 pubblicò a Roma la tragedia Aristobulo. L'opera mostra molti punti di contatto con la narrativa del M., a cominciare dalla fonte utilizzata, le Storie di Flavio Giuseppe, autore sfruttato anche nei romanzi biblici. Alla tragedia il M. tornò dopo quindici anni, con Ottone (Bologna 1652). L'ultima opera di un certo respiro pubblicata dal M. fu la Psiche disingannata (Mantova 1656), un "dramma tragicomico morale" per musica, come si legge nel frontespizio.
Completa l'opera a stampa del M. una lunga serie di scritti d'occasione, distribuiti lungo l'arco di un ventennio: Le sciagure della ricchezza (Roma 1636; discorso pronunciato nella casa di Maurizio di Savoia); Il trionfo, in Applausi festivi fatti in Roma per l'elezione di re Ferdinando III (ibid. 1637; libretto per un dialogo musicato da L. Molardi); L'amor pudico (Este s.d. [ma 1643]; descrizione di un torneo a cavallo fatto per le nozze dei nobili veneziani Bartolomeo Zeno e Lisabetta Landi); Imeneo provido (ibid. 1648; epitalamio per le nozze di Alfonso Gonzaga e Ricciarda Cibo); La Via lattea (ibid. 1648; non è possibile indicare il genere letterario a cui appartiene il testo, oggi non più reperibile; in Fantuzzi, p. 214, si dice solo che è stato scritto "per la maestà della Serenissima Republica di Genova"); I voli della gloria (ibid. 1649; epitalamio per le nozze di Carlo II di Mantova con Isabella Clara d'Austria); In funere Francisci Floravanti (ibid. s.d. [ma 1651]); I vagiti d'Ercole (ibid. 1652; canzone per la nascita di F.C. Gonzaga); I parti delle aquile (ibid. 1653; canzone per la nascita del secondogenito dell'imperatore Ferdinando III); L'alba peregrina (ibid. 1653; canzone per un viaggio della duchessa di Mantova); La colonna di nube (ibid. 1654; canzone per la quaresima); Il punto (ibid. 1654; canzone in onore del pittore B. Bigi); Le gare de' numi (Mantova 1655; epitalamio per le nozze di Alessandro [II] Pico della Mirandola con Anna Beatrice d'Este); Il cilindro (Torino 1657; canzone per il compleanno di Maurizio di Savoia); Il concetto di Giove (ibid. 1657; canzone per il compleanno di Cristina di Francia, duchessa di Savoia). Fantuzzi (p. 215) ricorda inoltre una Lettera di risposta scritta a Genova al signor Gioseffo Maria Grimaldi per informazione della morte della sig. marchesa Lucrezia Orologia degli Obizzi padovana, scritta il 14 dic. 1654 e pubblicata senza dati editoriali.
In fondo alla sua biografia, Zani indica una serie di opere rimaste manoscritte: oltre al romanzo Rivoluzioni d'Israel si segnalano due drammi per musica (Cingara reale ed Eudosia), un "dramma regio pastorale" (La fuggitiva innocente), poesie e panegirici vari, e infine un'opera intitolata L'occhio de' principi, di cui non si specifica il genere letterario (il titolo fa pensare che possa trattarsi di un testo legato alle riflessioni sui principî cristiani annunciate nella Flegra in Betuglia). Il solo testo del M. a conoscere un'edizione integrale moderna è Il niente, a cura di L. Bisello, in Le antiche memorie del nulla, a cura di C. Ossola, Roma 1997, pp. 95-111.
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