MAJNO, Luigi
Figlio di Pietro e di Gerolama Lovetti, nacque a Gallarate il 21 giugno 1852. Studiò a Lecco e a Milano e si laureò in giurisprudenza all'Università di Pavia con G. Buccellati. Giunto a Milano iniziò a collaborare con A. Molinari, allora tra i più influenti penalisti del foro milanese, e a scrivere in diversi periodici specializzati (il primo articolo di cui si ha notizia comparve nel 1877 nella Rivista penale; più regolarmente e più a lungo collaborò, poi, con il Monitore dei tribunali). Nel 1880 apparve nell'Archivio di psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale, diretto da C. Lombroso, R. Garofalo ed E. Ferri, un suo studio sulla premeditazione nell'omicidio con errore di persona, nel quale polemizzava con F. Carrara ed E. Pessina, schierandosi così apertamente in favore della scuola positiva di diritto. Nel 1890, promulgato il nuovo codice penale firmato da G. Zanardelli, il M. ne pubblicò un commento (Commento al codice penale italiano) a dispense, che ebbe duraturo successo e conobbe una nuova edizione aggiornata nel 1902 (entrambi i commenti furono editi a Verona).
In quello stesso 1890, subentrando a Buccellati nell'insegnamento di diritto e procedura penale nell'ateneo pavese, fece della sua prolusione una vibrante difesa del movimento positivista, alienandosi le simpatie di molti. Della questione si fece cenno anche in Parlamento, quando nel marzo del 1899 il socialista E. Ferri intervenendo sui provvedimenti governativi nei confronti dei "delinquenti abituali" polemizzò con l'ostracismo praticato in sede di concorsi universitari verso la scuola positiva, che aveva negato la cattedra a giuristi bravissimi come S. Sighele, E. Florian e lo stesso Majno. Fu peraltro richiesto di una consulenza per la redazione del nuovo codice di procedura penale, che accolse all'art. 538 alcune sue tesi sulla revisione della condanna sostenute fin dal 1886.
Nel frattempo aveva aperto uno studio legale a Milano, diventando presto uno fra i più noti penalisti del capoluogo lombardo. Uomo di vasta cultura, conoscitore delle lingue classiche e di diverse lingue orientali, bibliofilo appassionato, conquistò presto un solido spazio nella vita culturale della città. Divenne intimo di F. Turati, di cui condivise gli orientamenti culturali e politici anche con il sostegno della sua attività professionale. Nel 1887, quando il Partito operaio milanese fu processato come "associazione di malfattori", il M. assunse la difesa di A. Botteri e di G. Croce, mentre Turati, per la prima volta in corte d'assise, difese A. Casati ed E. Brando. L'amicizia con Turati e con Anna Kuliscioff si fece sempre più stretta, unendo convinzioni sociali, consuetudini private e affetti, che si rinsaldarono ancor più quando il M. fu vicino come avvocato e come amico ai coniugi Turati incarcerati per i fatti di fine secolo.
Ebbe parte attiva nella costituzione della milanese Società umanitaria, l'associazione nata da un progetto e da un lascito del ricco commerciante P.M. Loria con finalità di previdenza e assistenza ai poveri. Nominato nel 1892 dal Consiglio comunale di Milano nel comitato promotore, nel gennaio successivo fu eletto dall'assemblea dei soci nel primo consiglio direttivo della società, modellata dal convergere intorno a un comune progetto sociale di esponenti della cultura democratica e repubblicana, moderata riformatrice, e socialista. Insieme con O. Gnocchi Viani e L. Della Torre, il M. vi rappresentava quest'ultima. L'incerta natura statutaria dell'associazione, le controversie giudiziarie promosse dagli eredi Loria e la temperie politica del momento (il consiglio fu sciolto per sovversivismo da F. Bava Beccaris nel 1898) ne paralizzarono inizialmente l'attività. Solo nel nuovo secolo l'Umanitaria fu ricostituita dopo un lungo contenzioso, seguito in sede giudiziaria dal M. che ne fu il secondo presidente.
Il M. era ormai uno degli avvocati più noti della città, e godeva di vasto credito. Già candidato dai radicali al Consiglio comunale di Milano nel 1890, fu eletto nel febbraio 1895 con un ottimo successo personale (con 15.550 preferenze risultò secondo degli eletti). In quell'occasione si era presentato come moderato tra i democratici, sostenuti dai quotidiani più influenti come il Corriere della sera. I fatti del 1898 lo coinvolsero sia come legale, sia come intellettuale, politicamente impegnato e amico dei Turati, e furono determinanti nella sua iscrizione al Partito socialista italiano (PSI) nel 1899. Alle elezioni municipali suppletive dell'11 giugno di quell'anno fu eletto nel Consiglio comunale, primo della lista con 19.234 voti. Poiché le stesse elezioni parziali portarono allo scioglimento del Consiglio e alla nomina di un commissario, quando il 10 dicembre questo fu interamente rinnovato il M. vi fu confermato. Si manifestò in quella congiuntura il notevole successo dell'unione dei partiti popolari (radicali, socialisti e repubblicani), che portò alla svolta del 1900. Alle elezioni politiche del giugno i partiti popolari concordarono abilmente le candidature: nel II collegio di Milano, dove il deputato uscente era Giuseppe Colombo (presidente della Camera e massimo esponente del moderatismo meneghino) i popolari si accordarono per contrapporgli la candidatura del M., che insieme con Turati era il socialista più gradito ai radicali e che riuscì eletto.
Tra l'altro, discutendosi in quell'anno un disegno di legge sull'ammissione delle donne all'avvocatura, presentò un emendamento - appoggiato anche da F. Cocco Ortu - per la loro inclusione nelle funzioni di procuratore da cui erano escluse, nel testo originale, in considerazione del fatto che la donna, senza il consenso del marito, non avrebbe potuto firmare atti pubblici. Il testo così modificato fu approvato dalla Camera, ma decadde per la fine della legislatura.
In quegli stessi anni la sua vita familiare era stata funestata da vicende dolorose. Nel giugno del 1901 la minore dei suoi tre figli, Mariuccia, era morta all'improvviso di difterite ed egli ne era rimasto annientato.
La madre della bambina, Ersilia Bronzini (1859-1933), sposata con il M. dal 1883, in quel momento si trovava a Roma a discutere di diritti delle donne. Forse la più importante attivista italiana di primo Novecento, si era impegnata prima nell'organizzazione di una guardia ostetrica gratuita rivolta alle madri nubili - dove aveva conosciuto Anna Kuliscioff -, per poi dedicarsi alla causa dell'emancipazione delle donne. Presidente dell'Associazione generale delle operaie e poi dell'Unione femminile, dal 1900 ricoprì la carica di consigliere d'amministrazione all'ospedale Maggiore di Milano, prima donna in Italia. La morte della figlia la convinse ad abbandonare ogni impegno politico. A Mariuccia fu intitolato l'asilo destinato al recupero delle bambine e delle adolescenti pericolanti o avviate alla prostituzione, che lei aveva voluto. Quattro anni dopo la morte di Mariuccia scomparve anche la seconda figlia, Carlotta. Il loro matrimonio rimase in piedi solo nella solidarietà sociale e nella cura dell'unico figlio rimasto.
Non sembra peraltro che queste vicende abbiano rallentato l'attività pubblica del M.: nel frattempo era stato nominato nella commissione comunale incaricata di studiare la proposta fatta propria dai Milanesi per la costituzione dell'Associazione nazionale dei Comuni italiani (ANCI), il cui primo congresso si svolse a Parma nell'ottobre 1901. Il M. era nel comitato che organizzò la manifestazione dell'ANCI al teatro Lirico di Milano il 28 giugno 1903 per sostenere l'istituzione del referendum municipale (il relativo d.l. era stato presentato alla Camera da E. Sacchi), congiuntamente allo sgravio delle spese statali sui bilanci comunali.
In quell'occasione Sacchi fu duramente contestato da una platea di socialisti rivoluzionari e a fatica il M. riuscì a dargli la parola. L'episodio segnalava più profonde divisioni tra correnti riformiste e correnti rivoluzionarie ed ebbe gravi ripercussioni, aprendo tra l'altro una frattura tra il partito e la delegazione municipale, dove si premeva per l'ingresso diretto dei socialisti nella giunta. L'anziano sindaco, il radicale G. Mussi, ne trasse motivo per ribadire l'intenzione di ritirarsi dalla carica, decisione che lo schieramento riformista cercò di scongiurare in ogni modo per non spezzare la collaborazione tra i partiti di sinistra, a un certo momento puntando anche sul nome del M. come possibile successore, gradito sia ai democratici sia ai rivoluzionari di Arturo Labriola che consideravano l'accordo "un cozzo contrattuale tra due sottoclassi borghesi", ma che stimavano le capacità amministrative del Majno. Sindaco divenne invece il radicale G.B. Barinetti, mentre i socialisti riformisti entrarono in giunta con il M. assessore alla Pubblica Istruzione, che spesso svolse le funzioni di sindaco nella qualità di assessore anziano.
Esponente di primo piano del socialismo milanese di orientamento riformista, il M. godeva di largo sostegno in una più vasta opinione pubblica progressista. Proprio per questo fu coinvolto dalle tensioni che crescevano all'interno del partito. Così fu per la "questione Lazzari". Il vecchio dirigente C. Lazzari era stato licenziato da Lotta di classe per cattiva amministrazione. Respinse ogni addebito e chiese la costituzione di un giurì d'onore che fu presieduto dal M. e si concluse dando torto a Lazzari. Il socialismo sentimentale del M., istintivamente moderato, attento alla buona amministrazione e lontano dai rigori dell'ideologia e degli schieramenti (egli non era mai intervenuto ai congressi né aveva mai apertamente sostenuto una corrente) non si riconosceva più nelle tormentate contrapposizioni seguite allo sciopero generale del 1904, quando le correnti rivoluzionarie del partito milanese giunsero perfino a chiedere l'espulsione dal partito del M. e di Turati perché aderenti al gruppo autonomo milanese. Alle elezioni di quell'anno, quando i tre partiti dell'Estrema si presentarono in forte competizione fra loro, benché proprio il M. insieme con Turati avesse l'appoggio dei democratici nel II collegio di Milano, fu sconfitto dal moderato C. Canetta, eletto al primo turno, per 2613 voti contro 1794.
Intanto si accumulavano i riconoscimenti e le cariche. Il M., che rappresentava il Comune nella Cassa di risparmio, nel 1913 fu eletto presidente dell'Ordine degli avvocati di Milano.
Nel 1913 con Edgardo Bronzini costituì il collegio difensivo della Camera di commercio di Milano, alla quale i ragionieri milanesi contestarono l'iscrizione nell'elenco dei curatori fallimentari dei primi laureati dell'Università Bocconi (a costoro, in virtù della laurea era richiesto un periodo di tirocinio più breve). La validità dell'iscrizione, riconosciuta dalla IV sezione del Consiglio di Stato accogliendo le argomentazioni della difesa, segnò un momento significativo della formazione di una professionalità dei laureati in scienze economiche e commerciali, oltre che un riconoscimento del valore della Bocconi, che l'anno successivo nominò il M. suo rettore.
Alle elezioni comunali svoltesi a Milano nel 1914 e che videro un grande successo socialista con l'elezione di 64 consiglieri, il M. risultò il primo fra gli eletti. Declinò comunque l'invito a essere sindaco. Neutralista, approvò tuttavia le posizioni di B. Mussolini quando questi abbracciò le ragioni dell'intervento nell'ottobre 1914, richiamando le tradizioni irredentiste antiaustriache del socialismo italiano. Insieme con il sindaco E. Caldara prese poi le difese di Mussolini quando fondò Il Popolo d'Italia e fu espulso per indegnità morale dal partito.
Il M. morì a Milano il 9 genn. 1915, per l'aggravarsi del diabete di cui soffriva già da qualche anno.
Fonti e Bibl.: L'archivio della famiglia Majno (1864-1965), costituito dagli archivi personali di Ersilia Bronzini, del M., di Edoardo Majno e Giuseppe Mentessi, consta di 239 buste, 2 registri, 3 fascicoli e si conserva a Milano presso l'Unione femminile nazionale.
Sul M. si vedano: G. Antonini, L'opera di L. M. nell'Arch. di psichiatria, antropologia criminale e scienze penali, Milano 1915 (estratto da Clinica medica, 1915, 1); A. Negri, Per L. M., Discorso commemorativo, Varese 1917; F. Turati - A. Kuliscioff, Carteggio, I, 1898-1899, La crisi di fine secolo, a cura di F. Pedone, Torino 1977, ad ind.; R. Rigola, Storia del movimento operaio, Milano 1947, ad ind.; S. Turone, Cronache del socialismo milanese, Milano 1963, ad ind.; M. Bonaccini - R. Casero, La Camera del lavoro di Milano dalle origini al 1904, Milano 1975, ad ind.; M. Sbriccoli, Elementi per una bibliografia del socialismo giuridico italiano, Milano 1975, pp. 977-981; M. Punzo, Socialisti e radicali a Milano. Cinque anni di amministrazione democratica (1899-1904), Firenze 1979, ad ind.; A. Mazzacane, I giuristi e la crisi dello Stato liberale in Italia tra Otto e Novecento, Napoli 1986, pp. 117 s.; A. Buttafuoco, Le Mariuccine. Storia di un'istituzione laica. L'asilo Mariuccia, Milano 1988, ad ind.; M.L. D'Autilia, Il cittadino senza burocrazia. Società umanitaria e amministrazione pubblica nell'Italia liberale, Milano 1995, pp. 47 s., 57, 66, 76, 83, 88; A. Cantagalli, La professione del dottore commercialista, in Storia d'Italia (Einaudi), Annali 10, I professionisti, a cura di M. Malatesta, Torino 1996, p. 234; F. Cammarano - M.S. Piretti, I professionisti in Parlamento (1861-1958), ibid., p. 533; O. Gaspari, L'Italia dei Municipi. Il movimento comunale in età liberale (1879-1906), Roma 1998, pp. 62, 91, 109 s., 120; F. Tacchi, Gli avvocati italiani dall'Unità alla Repubblica, Bologna 2002; F. Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio italiano. Diz. biografico 1853-1943, III, sub voce.