Luigi Luzzatti e Venezia
A Venezia Luigi Luzzatti nasce, si potrebbe dire, due volte, anagraficamente e culturalmente: anagraficamente, il 1° marzo 1841, nell’antico palazzo Michiel, poco lontano dal Ghetto, sulla fondamenta della Senza, da cui è possibile scorgere, guardando a destra, la laguna di Mestre; culturalmente, nel Liceo ginnasio «S. Caterina», oggi Liceo «Foscarini», al quale il padre Marco, stimato commerciante e proprietario di due fabbriche, una «più piccola» di coperte di lana e un’altra «maggiore» per la pettinatura della canapa greggia, lo iscrive nel 1850-1851, dopo avergli fatto seguire, secondo un costume alquanto diffuso tra le famiglie israelitiche benestanti dell’epoca, una scuola elementare privata, quella del maestro Aronne Ancona(1). La frequenza del «S. Caterina» è importante per Luzzatti, perché nelle sue aule egli incontra due maestri che influiscono non poco sulla sua formazione: Giacomo Zanella, che gli insegna il valore della tolleranza religiosa e della libertà di coscienza(2), e Giorgio Politeo, che gli prospetta il senso filosofico della svalutazione dogmatica dinanzi all’etica, insistendo sulla dimensione interiore di ogni opzione di fede(3).
Verso i sedici anni Luzzatti matura una «presa di coscienza razionalistica e laica» che lo porta ad allontanarsi dal giudaismo, in cui, fin dalla prima infanzia, lo ha indottrinato Moisè Soave, studioso nel complesso più incline «all’indagine storico-filologica che non all’analisi scritturale e all’elaborazione teologica», e altresì propenso a ridurre «al minimo» il nucleo dottrinale monoteistico desumibile dalla Torà(4). Nello stesso periodo Luzzatti si lega di salda amicizia con Enrico Castelnuovo (poi suo cognato e direttore della cafoscarina Scuola Superiore di Commercio) e con Pietro Cassani («matematico sublime»(5) e divulgatore della pangeometria di Lobaãevskij e Bólyai)(6), con Elia Lattes (il futuro etruscologo) e con Alberto Errera (cultore di studi statistici e storico-economici), ma è pure sodale di Marcello Memmo e Leopoldo Bizio Gradenigo, Angelo Duodo e Giovanni Antonio Romano, Arnaldo Fusinato e Alessandro Pascolato. Con questi giovani (tutte «teste calde», secondo un coevo giudizio della polizia austriaca) legge Channing e Vogt, discute di filosofia politica, traendo spunti argomentativi da Spinoza e da Locke(7), frequenta in riva degli Schiavoni il Caffè Brigiacco, luogo d’incontro, dopo il 1859, di liberali e liberaleggianti, i quali vagheggiano la «libertà di Venezia», rievocando i giorni eroici della Repubblica maniniana(8). Altre amicizie verranno in seguito (fondamentale quella col vicentino Fedele Lampertico), ma i legami veneziani della prima ora resteranno sempre saldi punti di riferimento.
Nel 1858 Luzzatti si iscrive alla facoltà di Legge dell’Università di Padova, dove conosce Luigi Bellavite, professore di Diritto civile, che assume a Leitmotiv del suo magistero giuridico il primato dell’etica sull’economia e sul diritto; Giampaolo Tolomei, docente di Diritto criminale, che considera «suprema missione di tutte le scienze» la scoperta del vero; e soprattutto Angelo Messedaglia, ordinario di Economia politica, cui non mancò, secondo Schumpeter, «la scintilla del genio». Di Messedaglia Luzzatti diviene l’allievo prediletto e, sotto la sua guida, si appassiona ai problemi del credito, non disgiungendoli da quelli della produzione, della circolazione, della distribuzione della ricchezza, della finanza pubblica. Tra il maggio e l’agosto 1863 approfondisce le implicazioni teoriche e pratiche di uno scritto di Hermann Schulze Delitzsch, Vorschuß- und Kredit-Vereine als Volksbanken(9). Dopo circa due mesi dal conseguimento della laurea, conferitagli il 13 agosto 1863, pubblica il suo primo lavoro scientifico, La diffusione del credito e le banche popolari(10), nel quale, dopo aver preso le distanze dal socialismo lassalliano e marxiano, dall’autoritarismo del «partito feudale» e dallo «statalismo» paternalistico di Bismarck, esalta la «funzione sociale» del credito, facendo confluire in un originale mixtum compositum esigenza di risparmio volontario e offerta di capitali a basso costo, accumulazione finanziaria e attenuazione del rischio, lotta all’usura e prospettive di sviluppo: il tutto entro una cornice teorica che rigetta il naturalismo delle leggi economiche, per dare rilievo al volontarismo e raccordare l’economia all’etica.
Di queste idee Luzzatti si fa banditore in Venezia con una serie di «libere lezioni» (dicembre 1862-febbraio 1863) rivolte soprattutto ai giovani della città, che, a suo dire, sono privi dei rudimenti dell’economia politica e, in particolare, del credito cooperativo e bancario. L’intento che lo muove è non solo «culturale», bensì pure politico ed economico, perché, come egli osserva, Venezia versa in uno stato di grave decadenza, e anzi di vero e proprio abbandono: lo scalo lagunare langue; i traffici e i commerci regrediscono; le imposte suggono «come vampiri il po’ di vita» che resta «in quel corpo affralito», donde la possibilità di «applicare a noi quella poesia polacca, la quale diceva che l’alito dello straniero distrugge le messi biondeggianti nei campi [e] arresta il fervoroso moto delle macchine che romoreggiano nelle officine»(11).
Prescindendo dal tono retorico delle parole, l’analisi di Luzzatti non manca di fondamento, visto che dopo il 1860, perduta la Lombardia e divenuta consapevole della condizione di precarietà del proprio dominio nel Veneto, l’Austria sacrifica il porto di Venezia e punta tutto su quello di Trieste, con conseguente caduta del commercio complessivo dello scalo lagunare, che, tra il 1860 e il 1866, segna una «contrazione pari a oltre la metà del suo valore», passando il movimento globale delle importazioni ed esportazioni da 716.733 a 444.694 tonnellate(12).
Se la percezione della decadenza di Venezia è globalmente esatta, non altrettanto può dirsi del «rimedio» sul quale Luzzatti fa allora maggiore affidamento: il ricorso al credito cooperativo, non solo come superamento della tradizionale prassi assistenzialistica e insieme strumento di emancipazione popolare, ma come propulsore di crescita economica(13). Ciò è da lui applicato soprattutto alle piccole industrie, nelle quali vede degli «oggetti reali», il cui comportamento sia produttivo sia gestionale consente alla teoria di trarre «generalizzazioni deterministiche» (leggi di funzionamento) e «valutazioni statistiche» (distribuzioni di probabilità). Le piccole industrie gli appaiono come «nodi di relazione» con uno specifico ambiente, diventando fenomeni organizzativi di un tessuto sociale, oltre che parti di sistemi operativi più grandi e complessi. Ne consegue che esse possono dar luogo a vantaggi competitivi non tanto in funzione della loro dimensione materiale, quanto piuttosto in quella della rispondenza al contesto in cui si trovano inserite. Nel caso di Venezia, sostiene Luzzatti, la competitività va applicata alle tradizionali produzioni di vetri, cristalli, smalti, perle alla lucerna e merletti, come pure alle fonderie di bronzi artistici, ai piccoli e medi cantieri navali, alla fabbricazione dei fiammiferi, alle conterie, non tralasciando i lavori litografici, la fabbricazione di mobili con e senza intarsiature, le costruzioni meccaniche.
Non risponde al vagheggiato «rimedio» cooperativistico il tentativo avviato dallo stesso Luzzatti nel 1863 e ostacolato dalla luogotenenza austriaca di far sorgere in Venezia una società di mutuo soccorso fra gondolieri e barcaioli(14), mentre meglio vi si collega la nascita, quattro anni dopo, della Banca Mutua Popolare di Venezia(15), con un capitale sociale di lire 200.000, diviso in azioni del valore nominale di lire 50, il cui scopo dichiarato è di favorire gli operai, il commercio minuto e le piccole industrie(16). Tra i promotori della banca troviamo Antonio Baschiera, Sigismondo Blumenthal, Enrico Castelnuovo, Cesare Della Vida, Marco Diena, Antonio Fornoni, Emilio e Gustavo Koppel, Girolamo Levi, Marcello Memmo, Angelo Papadopoli e Michele Treves. Luzzatti ne diviene fin dall’inizio presidente onorario. Gioverà aggiungere che la Popolare di Venezia arricchisce il nutrito grappolo di analoghi istituti fondati da Luzzatti in terra lombarda, a partire dal 1864. A fine 1863, infatti, egli si trasferisce a Milano, dove insegna statistica ed economia politica all’Istituto tecnico e dove partecipa attivamente al dibattito politico nazionale, intervenendo con numerosi articoli sul «Sole» e sulla «Perseveranza».
Con la liberazione del Veneto, Luigi Luzzatti, che nel frattempo (30 marzo 1864) ha sposato la veneziana Amelia Levi, figlia di Moisè Levi e di Adele Della Vida, viene nominato professore straordinario di Diritto costituzionale all’Università di Padova (1866), su proposta dei suoi maestri Messedaglia e Tolomei. Non accetta subito la nomina e per circa un altro anno rimane nella metropoli lombarda, dove, insieme con Giovanni Giovio e altri diciassette «sostenitori», tra i quali Stefano Allocchio, Angelo Villa-Pernice, Giulio Richard, Pietro Vacchelli e Tiziano Zalli, dà vita all’Associazione industriale italiana (1867). Sempre nel 1867 partecipa al congresso nazionale delle Camere di commercio e prende posizione su due questioni allora molto controverse: il corso forzoso, introdotto il 1° maggio 1866 da Scialoja, e la pluralità degli istituti di emissione, sostenendo la necessità di adoperarsi per il ritorno alla convertibilità metallica e opponendosi a ogni ipotesi di centralismo bancario.
Nell’ottobre dello stesso anno, cedendo alle insistenze di Messedaglia e di Tolomei, Luzzatti accetta la prestigiosa cattedra universitaria di Diritto costituzionale ed entra a pieno titolo nella «cerchia dell’establishment accademico e intellettuale» patavino, che trova il suo «punto di forza» nella facoltà giuridica, vera roccaforte della «consorteria» veneta di «osservanza minghettiana»(17). Mantiene però una propria autonomia, di cui dà prova stringendo rapporti di collaborazione con Quintino Sella e cercando di mediare tra Sella e Minghetti. Nei primi anni della docenza padovana si reca assai spesso a Venezia, sospinto non solo da ragioni familiari (continuano a risiedervi i suoi parenti e quelli della moglie), ma anche e soprattutto dalle relazioni personali con esponenti di spicco della comunità ebraica locale. Contemporaneamente frequenta le maggiori istituzioni culturali cittadine, in primis l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, che rappresenta il vero «elemento di raccordo fra l’intellettualità lagunare e l’Università di Padova»(18). Dell’Istituto diviene socio corrispondente il 22 novembre 1868 ed effettivo il 6 aprile 1872. Frequenta inoltre i notabili moderati di Ca’ Farsetti, della Provincia e della Camera di commercio, manifestando contiguità ideologiche con vari rappresentanti della prima giunta Giustinian, espressione del consiglio comunale eletto il 23 dicembre 1866, e della successiva giunta Giovanelli, costituitasi in seguito alle elezioni generali amministrative del 22 novembre 1868, dopo l’intermezzo commissariale di Ferdinando Laurin. Particolarmente significativi sono i suoi legami con l’allora vicepresidente della Provincia, avvocato Edoardo Deodati, «uomo d’ordine colto e prudente, attentissimo alle novità europee [...], saldamente schierato in area governativa [e] per nulla disposto a ritenere offensivo l’epiteto di consorte che pareva attagliarsi a lui»(19). Frutto della collaborazione con Deodati, e in un secondo momento con Ferrara (col quale più tardi entrerà in conflitto), è il progetto di dar vita in Venezia a una Scuola Superiore di Commercio, la cui prima idea risale al luglio 1867. Di tale scuola Luzzatti definirà non pochi dei caratteri essenziali: dalla finalità informativo-conoscitiva (la «coltura dell’intelletto») a quella pedagogico-formativa (indispensabile a far acquisire la «tempra gagliarda che si richiede, onde un negoziante, un commesso viaggiatore possano pigliar parte, con esito felice, a questa immensa concorrenza di traffici, che oggi ha per teatro e per mercato il mondo intero»)(20), dall’impostazione dei programmi di studio ai criteri di selezione del corpo docente (a lui si devono le chiamate di Fabio Besta sulla cattedra di Computisteria e di Luigi Bodio su quella di Geografia e statistica)(21). Ma l’obiettivo più importante che con la nascita di Ca’ Foscari Luzzatti consegue è di «conferire un riconoscimento nazionale a un’iniziativa assunta e finanziata dagli enti locali veneziani»(22).
Nel settembre 1868 il consiglio comunale nomina Luzzatti membro di una commissione incaricata di studiare i problemi relativi all’utilizzo della linea ferroviaria del Brennero, aperta l’anno prima, con speciale riguardo alle tariffe differenziali e ai dazi d’uscita. Lo affiancano Pierluigi Bembo Salomon, già podestà di Venezia dal 1860 al 1866, e Giacomo Collotta, deputato al Parlamento(23). Il lavoro della commissione è condotto a termine rapidamente e il 28-29 ottobre Luzzatti ne illustra le conclusioni(24) con argomenti sui quali è necessario soffermarsi, perché da un lato lasciano intravedere una sensibile attenuazione del ruolo di vero e proprio volano della crescita economica sino a poco tempo prima attribuito al credito cooperativo, e dall’altro abbozzano un «modello» di sviluppo per Venezia, che presuppone il ruolo attivo dello Stato nel promuovere il rafforzamento del legame ferrovia-porto e nel cercare soluzioni «adeguate» ai connessi problemi tariffari, daziari e commerciali, non in un’ottica municipalista, ma nel più vasto quadro nazionale. Ciò avviene in relativa concomitanza con due avvenimenti nodali nella vita di Luzzatti: l’approdo (30 maggio-28 novembre 1868), non ancora deputato e neppure in età parlamentare, alla segreteria generale del Ministero di Agricoltura, industria e commercio (vi tornerà dal 19 febbraio 1871 al 30 giugno 1873), e l’elaborazione, da parte dello stesso Luzzatti, della teoria dello «statalismo sussidiario», che brucia ogni utopia di sviluppo speculare al teorema ricardiano dei costi comparati e apre la via a una prospettiva di tipo industrialista, ancorché non ancora contraddistinta dagli interessi e dalle alleanze che segneranno la svolta semiprotezionistica del 1878 e protezionistica del 1887.
La linea ferroviaria del Brennero, sostiene Luzzatti, può svolgere un ruolo determinante nel «grande traffico» di Venezia, perché mette in comunicazione i porti del Nord e le vie fluviali dell’Europa centrale col mare Adriatico. La direzione delle ferrovie austriache meridionali, che ha in esercizio i due tronconi da Vienna a Trieste e da Kufstein a Peri, misconosce tale realtà e applica tariffe differenziali che causano «un immenso danno» a Venezia, facendo pagare il percorso Monaco-Vienna-Trieste (984 km) meno del tratto Monaco-Kufstein-Venezia (580 km), in spregio dell’equità e della convenienza. Per ovviare a questo inconveniente occorrono interventi specifici da parte dello Stato, sia sul terreno della politica doganale, sia su quello fiscale e della finanza pubblica. Su ciò Luzzatti non ha dubbi, e lo ribadisce analizzando non solo le tariffe speciali di transito (rispetto alle quali vorrebbe che la Südbahn concedesse a Venezia le agevolazioni che il Regno d’Italia già riconosce a Trieste) e i «servizi cumulativi»(25), ma anche la normativa sulle rese delle merci (da fissarsi «in base graduale e proporzionata alle percorrenze»), sul magazzinaggio e sulle spese di facchinaggio («bastasi di dogana»), che alla stazione di S. Lucia (costruita tra il 1861 e il 1865) diventano una sorta di soprattassa sulle merci viaggianti a piccola velocità. Difficoltà che Luzzatti proietta sullo sfondo di un altro problema: quello del trasporto delle merci con «rottura di carico» fra treno e nave, trovandosi all’epoca la sede portuale ancora nel bacino di S. Marco e dovendosi ricorrere al trasbordo su barche o chiatte per coprire la distanza dal porto alle banchine ferroviarie di S. Chiara e S. Lucia, situate all’estremità occidentale del Canal Grande. Donde l’aperto favore di Luzzatti per la costruzione del «nuovo porto» (o stazione marittima), i cui lavori iniziano nel 1869 per concludersi nel 1880 (ma l’apertura all’esercizio riguarderà solo il già attrezzato molo di Levante, essendo quello di Ponente ancora in fase di completamento). Luzzatti è altresì favorevole alla costruzione dei Magazzini generali, e quando occorrerà accelerare l’iter del finanziamento governativo di 1.800.000 lire, deciso sulla base di una convenzione stipulata nel 1875 tra il Ministero delle Finanze e il Comune(26), egli «caldeggerà» la pratica presso il presidente del Consiglio e ministro delle Finanze Minghetti, del quale è all’epoca uno dei principali consiglieri economici e quasi una sorta di alter ego nella conduzione dei negoziati per il rinnovo dei trattati di commercio con la Francia, la Svizzera e l’Austria-Ungheria(27). Analogo intervento effettuerà per l’ulteriore finanziamento di 900.000 lire, relativo alla costruzione della banchina antistante gli erigendi Magazzini, e ciò anche nella prospettiva che, dopo l’apertura del canale di Suez, Venezia debba dotarsi di una moderna flotta mercantile, per potenziare il proprio traffico marittimo e divenire il principale nodo di interscambio tra la pianura Padana, il Mediterraneo e l’Oriente(28).
L’incremento della flotta mercantile è un obiettivo che Luzzatti giudica centrale per le sorti economiche di Venezia, soprattutto in considerazione del fatto che la cantieristica adriatica non solo manca di vitalità, ma segna anzi una depressione di tonnellaggio e di valore nelle costruzioni, specie se raffrontata con quella mediterranea, «che si riassume nel nome di Genova». Secondo le stime di Luzzatti, mentre nel 1868 i cantieri mediterranei hanno costruito 457 legni (per 82.205 tonnellate) contro i 382 (65.790 tonnellate) del 1867, quelli adriatici ne hanno varati solo 102 (1.636 tonnellate) contro i 112 (3.745 tonnellate) dell’anno precedente, segnando un netto regresso. Tali dati lo inducono a interessarsi del problema sotto un duplice profilo: culturale e operativo. Sul piano culturale, con l’appoggio di Domenico Berti e di Quintino Sella, propone all’Istituto Veneto di bandire un premio Querini Stampalia sulle cause del «decadimento» delle costruzioni navali e sui mezzi per rimuoverle(29). La proposta viene accolta (1869) e al concorso partecipano Giannantonio Zanon, Alberto Errera e Rocco Agostino Vianello. Il premio non viene assegnato, avendo i concorrenti trascurato di illustrare nelle loro «memorie», sia pure in diversa misura, alcuni degli aspetti ritenuti essenziali al tema: le condizioni «normali» e «abnormi» della cantieristica (distinguendo le «generali» dalle «particolari», come il capitale, le assicurazioni, l’istruzione tecnica, i dazi, i mezzi e le spese di trasporto), il confronto delle costruzioni navali col movimento generale della navigazione, l’incidenza dei noli, il peso della legislazione doganale e dei trattati di commercio, le competenze dello Stato, della Provincia e del Comune, queste ultime da valutarsi in termini di opportunità e di limiti, ancorché l’intervento pubblico sia imprescindibile «per lo scavo dei canali, per le comodità del porto, per le agevolezze dei bacini» e per ogni connessa funzionale infrastruttura. Ciò nondimeno, la commissione giudicatrice (Luzzatti, Lampertico e Bucchia) suggerisce all’Istituto di finanziare la pubblicazione delle tre memorie(30), nominando nel contempo una nuova commissione, non più giudicatrice ma «di lavoro», con il compito di raccogliere gli elementi mancanti, a cominciare da quelli relativi al ruolo di un’eventuale nuova società anonima che si faccia promotrice di costruzioni navali. Se a Venezia fosse attivo un imprenditore dalle capacità di un Tonello, di un Orlando o di un Westermann, come a Trieste, a Livorno e a Genova, l’iniziativa potrebbe essere assunta da lui, ma, in assenza di un simile individuo, occorre giocare la carta della «solidarietà economica», indispensabile ove si ponga mente alla fragile e arretrata struttura creditizia e finanziaria veneziana e regionale, ancora in prevalenza costituita da banchieri privati, in maggioranza ebrei, e da alcuni grandi capitalisti e proprietari fondiari, e ulteriormente indebolita dalla cessione da parte dello Stabilimento Mercantile di Venezia di ogni privilegio di emissione alla Banca Nazionale (1867). La qual cosa significa che il capitale di partenza della costituenda società (3 milioni) dovrebbe essere drenato non solo in città e in regione, ma in tutto il territorio nazionale. Importante, precisa Luzzatti, sarebbe concentrare il primo nucleo di capitale (almeno 1 milione), il che non dovrebbe riuscire difficile, sia in considerazione dei profitti che l’iniziativa potrebbe dare, sull’esempio delle analoghe «imprese» istriane e dalmate (il riferimento è alle società di Lussin Piccolo, Sabbioncello e Ragusa), sia perché a Venezia il costo del lavoro è più basso che altrove, tanto che se «la tonnellata d’un bastimento ordinario costa in Francia in media 450 lire e nella stessa Liguria passa le 300 lire, nei nostri cantieri [...] dovrebbe stare al di sotto di 300 lire»(31). La commissione di lavoro viene in breve nominata e, oltre a Luzzatti, ne fanno parte il segretario accademico dell’Istituto Veneto Giacinto Namias, i membri della giunta Gustavo Bucchia e Fedele Lampertico, il prefetto di Venezia Luigi Torelli, il senatore Giuseppe Giovanelli, il vicepresidente della Camera di commercio Alessandro Palazzi, il professore emerito di Nautica Andrea Tonello, e Luigi Bodio, docente alla Scuola Superiore di Ca’ Foscari. Sono pure cooptati gli autori delle memorie: Zanon, Errera e Vianello. Il progetto di società che la commissione redige non resta sulla carta e il 1° settembre 1870 l’Istituto Veneto, con l’appoggio della Camera di commercio, del Comune e della prefettura, ne diffonde il programma e lo statuto. Il nome prescelto è Associazione marittima italiana(32). L’iniziativa però non va a buon fine, come del resto non andrà a buon fine anche un’iniziativa dell’anno seguente, che coinvolge le «primarie ditte» della piazza veneziana, «insieme ad alcuni capitalisti stranieri», i quali cercano invano di costituire una società con un capitale di 12 milioni e mezzo, onde acquistare un numero di piroscafi sufficiente a mettere Venezia in comunicazione con le Indie e nello stesso tempo ad aprire una linea libera, «che avrebbe profittato delle migliori occasioni per ottenere noli favorevoli». L’insuccesso non deve stupire, perché per avere esito positivo il tentativo del 1871 avrebbe avuto bisogno, «per un certo numero d’anni», di una sovvenzione governativa e di una «garanzia dell’interesse» da parte della Provincia o del Comune. Sennonché la Provincia, piuttosto che accordare una garanzia di tal fatta, preferisce concorrere con 1 milione e mezzo alla costituzione del capitale sociale, il che è ritenuto insufficiente dai promotori. Quanto a Ca’ Farsetti, il consiglio è pronto a impegnarsi(33), ma la Provincia rifiuta di approvarne la relativa delibera, giudicandola «troppo grave e pericolosa per le finanze comunali»(34).
Il fallimento di entrambe le iniziative rende palmari i già evidenti limiti della cantieristica veneziana(35), la cui «stazionarietà» non muta significativamente nei restanti anni Settanta, come documenta l’inchiesta parlamentare del 1881-1882 sulla marina mercantile in Italia, presieduta dal senatore Francesco Brioschi, alla quale partecipa anche Luzzatti. Tale stazionarietà rafforza in Luzzatti il convincimento che la modernizzazione di Venezia, e più in generale dell’intero paese, necessita dell’intervento «sussidiario» dello Stato, con l’avvertenza che la sussidiarietà deve cedere il passo all’intervento «diretto» quando a essere in gioco siano la costruzione e la gestione delle infrastrutture indispensabili allo sviluppo economico complessivo: esito, questo, che sotto il profilo ideologico e politico giunge a maturazione in Luzzatti verso il 1875, dopo la grande inchiesta industriale del 1870-1874, e in parallelo con la nascita della scuola lombardo-veneta, nelle cui file, accanto ai nomi più noti di Messedaglia e di Lampertico, di Cossa e di Tolomei, di Sclopis e di Bellavite, di Silvestri e di Pertile, figurano quelli dei suoi amici veneziani, da Giacomo Collotta e Pierluigi Bembo a Giovanni Battista Ridolfi e Marco Diena, da Alberto Stelio De Kiriaki e Giovanni Maria Malvezzi a Isacco Pesaro Maurogonato e Paulo Fambri, per non dire di Alessandro Blumenthal e Leone Fortis, Enrico Castelnuovo e Carlo Combi, Cesare Della Vida e Alessandro Pascolato: in breve, tutti coloro che aderiranno all’Associazione per il progresso degli studi economici in Italia (1875) e che, sulla base delle specificità politiche, finanziarie e imprenditoriali cittadine(36), cercheranno di dare attuazione ai deliberati del congresso degli economisti tenutosi a Milano nel gennaio 1875, per imprimere una svolta «statalista» (o, come anche si dice, «vincolista») alla politica economica e sociale del paese.
Dalla metà degli anni Settanta Luzzatti è ormai un protagonista di spicco della politica nazionale, nel cui ambito, dopo il già ricordato approdo alla segreteria generale del Ministero di Agricoltura, industria e commercio, si è progressivamente imposto, dapprima guidando come vicepresidente (dal 1872 come presidente) il comitato dell’inchiesta industriale del 1870-1874, poi collaborando alla riforma consorziale degli istituti di emissione (1874), quindi negoziando i trattati di commercio dell’Italia con la Francia, la Svizzera e l’Austria-Ungheria (fino al 1876, sulla base di una «sorta di delega esclusiva» concessagli da Minghetti; dopo la caduta della destra, con un ruolo «assai vicino a quello di un ministro senza portafoglio» conferitogli da Depretis), infine disegnando l’architettura generale e definendo l’impianto merceologico della tariffa doganale del 1878. A mano a mano che il suo peso politico cresce, Venezia diviene eccentrica nell’orizzonte dei suoi immediati interessi, senza però mai uscirne del tutto. Lo prova, ad esempio, l’attenzione con la quale segue le vicende relative alla Stazione marittima (1880), al cantiere navale e officina meccanica della Società veneta per imprese e costruzioni pubbliche (insediatosi nel 1881 a S. Elena, per iniziativa del suo amico Vincenzo Stefano Breda, e che nel 1885 occupa 425 operai, scesi a 250 nel 1898), alla Società veneta di navigazione a vapore (1882), al puntofranco di S. Basilio (1892), ai Magazzini generali di S. Marta, inaugurati nel 1896 e nella cui costruzione e gestione troviamo coinvolti due personaggi a lui variamente e dialetticamente collegati, Alessandro Rossi, industriale laniero di Schio, ed Eugenio Cantoni, capofila di uno dei maggiori gruppi tessili italiani. Del pari Luzzatti segue le vicende del Cotonificio Veneziano, aperto a S. Marta nel 1882 e servito direttamente da un raccordo ferroviario. Significativa in proposito la lettera che il 20 dicembre 1881 gli scrive Cantoni, per informarlo di essere riuscito a costituire, «fra capitalisti ed industriali lombardo-veneti»(37), una società anonima avente come scopo la filatura del cotone. Il contratto preliminare è stato sottoscritto cinque giorni prima con i rappresentanti della Banca Veneta di depositi e conti correnti (Moschini, Errera e Osio), i quali hanno firmato «sotto riserva d’approvazione da parte del Consiglio» della banca, approvazione votata poco dopo «all’unanimità». La nuova industria non solo prefigura per sé «felicissime sorti», ma è destinata a «risvegliare l’attività sopita» della «nobile» popolazione veneziana. Aggiunge Cantoni che essendo il capitale iniziale di «soli» 10 milioni, divisi in 40.000 azioni da 250 lire l’una, «non s’arriva ad accontentare tutti coloro che [...] ne dirigono richiesta». Donde l’idea, poi abbandonata, di accrescere il capitale. Lo scrivente non lesina lodi allo spirito collaborativo della Banca Veneta e confida a Luzzatti che, «ove fosse mestieri», questa non gli farà mancare appoggi più consistenti, tanto più che «nel preliminare si convenne di officiare alla presidenza il principe Giovanelli», già a capo dello stesso istituto, e di porre alla vicepresidenza il barone Franchetti. In sospeso resta solo il problema dell’area da destinare alla costruzione, benché sia chiaro che la «men disadatta», di proprietà del demanio («presso cui, nel caso, dovransi iniziare le convenienti pratiche per la cessione»), si trovi alla Giudecca. Cantoni termina chiedendo a Luzzatti di fargli sapere che cosa pensi dell’iniziativa: domanda, la sua, non di pura cortesia, dati gli stretti legami del suo interlocutore con la Banca Veneta (soprattutto tramite Federico Frizzerin e Giuseppe Toffolati)(38), e di questa con Vincenzo Stefano Breda (ormai prossimo all’avventura ternana della Società altiforni, acciaierie e fonderie), e tenuto pure conto dell’intreccio di rapporti che, fin dal suo sorgere (1871), lega la stessa Banca Veneta, oltre che alla finanza milanese (fondamentale il collegamento con la Banca Generale), anche al mercantilismo padovano-veneziano, a sua volta espressione della nobiltà e della finanza ebraica locali. Spia significativa di tale intreccio è il fatto che nel consiglio di amministrazione dell’istituto siedano, insieme al già citato Giovanelli, uomini in varia misura legati a Luzzatti: da Moisè Vita Jacur a Eugenio Forti, da Alberto Papafava ai rappresentanti delle case bancarie M.A. Errera & C. di Venezia, Jacob Levi e figli di Venezia, G.q.J. Trieste di Padova. Di questi uomini, alcuni partecipano all’iniziativa veneziana di Cantoni: Forti, Errera, Vita Jacur, ecc. Sempre con riferimento a Breda, merita aggiungere che a metà degli anni Ottanta Luzzatti si adopera per metterlo «en rapport d’affaire» con Alphonse de Rothschild e, tramite Rothschild, col mercato finanziario internazionale(39). Quanto infine alla risposta sollecitata da Cantoni, essa è quella che l’industriale si attende: Luzzatti farà valere la sua influenza politica al momento della concessione dell’area edificabile da parte del Comune e del demanio, mosso pure dalle aspettative d’incidenza del Cotonificio Veneziano sul tessuto economico della città, aspettative che però andranno parzialmente deluse, dato che a fronte di un’iniziale previsione di assorbimento operaio di 3.000 unità, gli addetti non supereranno, a ‘pieno regime’ (1887), le 919 unità, la maggior parte delle quali (oltre i due terzi) donne(40).
Il coinvolgimento di Luzzatti nelle vicende di Venezia torna a essere diretto verso la metà del 1895, quando, in seguito al successo dei moderati nelle elezioni amministrative del luglio di quell’anno e dopo la breve parentesi di Dante Serego degli Allighieri, la guida del Comune passa nelle mani di Filippo Grimani, a lui legato da un solido rapporto personale. Di Grimani Luzzatti apprezza non solo «l’ingegno mirabilmente equilibrato», ma anche le capacità di manovra in campo amministrativo e la concretezza dell’agire economico: quella concretezza e quelle capacità che gli permetteranno di indirizzare l’evoluzione capitalistica di Venezia in età giolittiana, passando da un’iniziale condivisione, benché alquanto temperata, della cosiddetta prospettiva «neoinsulare» all’avallo delle operazioni turistico-alberghiere aventi per «sede deputata» il Lido, senza tralasciare le attività connesse sia con la produzione e fornitura di energia elettrica — Cellina, S.A.D.E. (Società Adriatica di Elettricità) — sia con il grande «progetto Marghera», su cui punteranno le loro carte Piero Foscari e Giuseppe Volpi(41). Direttrici, queste, sulle quali Luzzatti nulla ha da eccepire, se nel 1916, invitato dal «sindaco d’oro» a commemorare il cinquantenario della «liberazione di Venezia dallo straniero», può dichiarare che nel futuro della città vede felicemente confluenti «tre Venezie»: anzitutto quella «dei marmi, delle gloriose tradizioni artistiche, dei melanconici tramonti, che sarà sempre il sospiro degli spiriti eletti», spiriti — si noti — che con crescente intensità avranno bisogno, soprattutto al Lido, di alberghi in grado di competere con le strutture ricettive di Parigi e di Londra; in secondo luogo quella innovatrice e moderna dei Bottenighi, dove è già pronto «uno spazio di oltre un milione di metri quadrati per le nuove industrie» (si rammenti che quando viene approvata la legge 14 giugno 1904, nr. 542, sulle nuove opere marittime, primo atto normativo del nuovo porto in terraferma in forza del quale viene assegnato uno stanziamento per lo scavo di un nuovo bacino e dei canali d’accesso ai Bottenighi, Luzzatti è ministro del Tesoro, con l’interim delle Finanze dal 10 novembre 1903 al 24 novembre 1904, nel secondo governo Giolitti); infine quella dei traffici, degli scambi commerciali e della marina mercantile, che necessita di una diretta e funzionale connessione fra treno e nave, non solo per far concorrenza al porto austriaco di Trieste, ma per divenire una vera e propria «porta industriale» verso l’Europa orientale(42).
Le lettere di Grimani a Luzzatti (da integrare con la corrispondenza di Pompeo Molmenti(43), Antonio Fradeletto(44) e Ferruccio Macola(45)) documentano le convergenze valutative tra i due uomini su vari problemi che interessano la città e offrono elementi per misurare la natura e la portata della partecipazione luzzattiana(46). Ad esempio, l’11 marzo 1897 Grimani comunica all’allora ministro del Tesoro nel terzo governo Rudinì che fino a quando l’on. Treves puntava a essere deputato nel II collegio di Venezia, egli si era adoperato, di concerto con Fornoni, «secondo le intenzioni di Vostra Eccellenza», per ottenere che «nessun mutamento venisse fatto anche nel terzo collegio», talché, assicuratasi la «neutralità di una parte» e ottenuta «l’astensione, e forse l’appoggio, dell’altra (l’Associazione antiradicale)», non vi sarebbero stati ostacoli all’elezione di Tiepolo. Il ritiro di Treves e la candidatura «di altra persona del partito progressista, probabilmente con seri appoggi», avevano mutato gli equilibri delle forze in campo e reso necessario «combattere anche nel terzo collegio»(47).
Accanto ai problemi di ‘schieramento’, si affollano questioni di natura più latamente politica, finanziaria e amministrativa: dalla richiesta di un contributo per la ricostruzione del campanile di S. Marco (crollato nel luglio 1902) e per il restauro dei monumenti cittadini(48) a quella di una sovvenzione per i lavori di trasporto e ricollocamento dei libri, manoscritti e incunaboli della Marciana da Palazzo Ducale alla Zecca(49); dall’invito a favorire alcuni «acquisti ministeriali» nei padiglioni stranieri della Biennale(50) al coinvolgimento nei progetti cittadini di edilizia popolare(51), coinvolgimento che porterà Luzzatti a corrispondere anche con l’ingegnere capo del Comune, Daniele Donghi(52), autore del famoso Manuale dell’architetto, e a collaborare con don Luigi Cerutti(53), promotore delle casse rurali (Darlehenskassen) cattoliche in Italia e iniziatore della costruzione di abitazioni a riscatto per i soci della Cassa operaia di Murano, non sulla base dell’ammortamento annuale scaglionato in un trentennio, bensì puntando sull’originale sistema del «riscatto assicurativo»(54); dalla «preghiera» a non sostituire il prefetto Amedeo Nasalli Rocca («sarebbe una vera calamità e un gran dispiacere per la maggior parte dei veneziani»)(55) all’elencazione delle «gravi difficoltà» causate dallo squilibrio di bilancio negli anni della Grande guerra («sono quattordici i milioni che occorrono [...]; sette [...] pel preventivo 1917, gli altri, in parte già dati dal Ministero dell’Interno, si riferiscono al 1915 e al 1918»), difficoltà per le quali il sindaco chiede a Luzzatti di adoperarsi affinché venga concesso «il condono di questi debiti», in quanto il Comune è (e sarà) impossibilitato a estinguerli(56).
Vari altri aspetti della vita politica, economica, sociale e culturale veneziana fra Otto e Novecento s’intrecciano con l’opera di Luigi Luzzatti o si legano più o meno direttamente al suo nome. Tra essi, lo sfruttamento economico della linea ferroviaria della Valsugana(57), costruita con sovvenzioni chilometriche governative e col concorso finanziario del Comune e della Provincia di Venezia(58); l’istituzione del magistrato alle Acque, che nel 1907 sostituisce il Genio civile(59); la creazione dell’Istituto federale di credito per il risorgimento delle Venezie(60); il sostegno ai profughi e agli orfani di guerra della città e del Veneto(61); il varo della commissione incaricata di pubblicare i documenti finanziari della Repubblica di Venezia(62). Ma forse l’apporto che più merita di essere qui ricordato, perché con maggiore evidenza di altri s’inquadra nel «modello» di convergenza fra statalismo sussidiario e iniziativa privata, è quello concernente la complessa questione delle convenzioni marittime.
Per provvedere ai servizi postali e al trasporto di passeggeri e merci, subito dopo l’Unità si era adottato il sistema delle sovvenzioni statali a società che gestivano linee regolari di navigazione. Le convenzioni del 1877 e del 1893 avevano esteso tale sistema a varie linee di collegamento fra l’Italia, le Americhe, l’Asia e l’Africa. A trarne i maggiori benefici era stata la Società di navigazione generale italiana, che, operando in regime di sostanziale monopolio, era riuscita nel 1891 a subentrare alla Peninsular & Oriental sulla linea tra Venezia e l’Egitto. Nel 1895, onde assicurare a Venezia una «via verso le Indie», la Peninsular & Oriental aveva ottenuto l’assegnazione della tratta per Porto Said, che insisteva sul percorso Londra-Estremo Oriente. Quattro anni dopo, venuti a mancare «i presupposti della convenienza economica», la Peninsular & Oriental aveva deciso di recedere anticipatamente dal suo contratto e il servizio era stato sospeso. Ne era derivata una situazione di stallo, solo parzialmente modificata dalla nascita della Società veneziana di navigazione a vapore nel 1897(63) e dalla legge 29 marzo 1900, nr. 107, che faceva obbligo al governo di presentare entro il successivo mese di dicembre uno speciale progetto di legge per il servizio tra Venezia e le Indie. In un secondo momento tale obbligo era stato prorogato al 31 dicembre 1902. Nel frattempo il governo aveva preso accordi con la Società di navigazione generale italiana per il prolungamento fino a Bombay della linea che questa serviva tra Venezia e Alessandria d’Egitto. Tale passo aveva provocato un contenzioso col Comune, la Camera di commercio e gli ambienti armatoriali e cantieristici di Venezia, che volevano l’affidamento di tutti i servizi sovvenzionati dell’Adriatico a una società «libera da interessi prioritari in altri mari». Il contenzioso si era trascinato sino alla fine del 1903, quando, grazie ai buoni uffici di Luzzatti, il governo aveva attribuito alla Società veneziana la linea per Calcutta, con l’itinerario Venezia, Ancona, Bari, Brindisi, un porto della Sicilia (Catania nel viaggio di andata e Messina in quello di ritorno), Calcutta. Successivamente, sulla base di nuovi accordi, ma senza aumento di sovvenzione (lire 1.100.000 annue), la Società aveva assunto l’impegno di far scalo, nel viaggio di andata, anche a Massaua. Di fatto, però, sempre all’andata, essa toccava pure Aden e Bombay, mentre sia all’andata che al ritorno effettuava operazioni commerciali a Porto Said e a Suez. Saltuariamente approdava a Karachi, Colombo, Madras e Rangoon. Per lo svolgimento del servizio la Società era tenuta a impiegare quattro vapori non inferiori alle 3.500 tonnellate di registro lordo, ammettendo comunque per uno di essi «una tolleranza del venticinque per cento in meno». Nel 1908 una legge ad hoc aveva riaffrontato il problema delle sovvenzioni, ma, avendo considerato acquisita una situazione concorrenziale che non c’era e avendo inoltre fissato gli importi a un livello troppo basso rispetto agli obblighi di rinnovo del naviglio, aveva mancato l’obiettivo. Altrettanto era avvenuto con i progetti Schanzer e Giolitti (1909), più favorevoli al capitalismo genovese (Piaggio) che agli ambienti armatoriali e cantieristici di Venezia e del Mezzogiorno, né miglior sorte era toccata ai piani di Bettolo (1910), nonostante il loro ostentato liberismo. Era questa la situazione quando il 31 marzo 1910 nasceva il governo Luzzatti.
A due giorni di distanza dall’insediamento del nuovo gabinetto, la Società veneziana di navigazione a vapore, d’intesa con Grimani, scriveva al presidente del Consiglio per chiedergli non solo di riconoscere il contratto di esercizio della linea Venezia-Calcutta, già stipulato nell’aprile 1909 col governo Giolitti e non ancora portato all’approvazione del Parlamento, ma pure di attribuirle, eventualmente in cogestione con la Società di navigazione Alta Italia di Torino, l’esercizio di una linea mensile fra l’Italia, la Cina e il Giappone, cui il Lloyd Italiano avrebbe dovuto rinunciare(64). Il compromesso Leonardi-Cattolica, approvato da Luzzatti e divenuto legge il 13 giugno 1910, non soddisfece i veneziani, ma, siccome il governo si era impegnato a tornare sulla questione e a presentare entro il 1° dicembre di quell’anno un progetto di soluzione definitiva, durante l’estate le pressioni sul presidente del Consiglio si infittirono, tanto più che, per iniziativa di Grimani e del presidente della Camera di commercio Giorgio Suppiej, si era da poco costituito un comitato allo scopo di fissare «la linea di condotta presente e futura» di Venezia in materia di servizi sovvenzionati. Ne facevano parte Giuseppe Volpi, Gian Carlo Stucky, Benedetto Sullam, Giacomo Levi, Nicolò Papadopoli, Angelo Toso, Augusto Marzinotto, Leone Franco, Massimo Rietti, Adolfo Dolcetti, Ugo Trevisanato, Amedeo Corinaldi, Ruggero Revedin. Dopo aver preso atto del «fermo proposito» della Società veneziana di «raccogliere intorno a sé le energie capitalistiche regionali» e di assumere tutti i servizi marittimi dell’Adriatico non ancora definitivamente assegnati, il comitato aderì alla costituenda Società nazionale per i servizi marittimi, sottoscrivendo quote partecipative per un ammontare di 910.000 lire(65). Grimani ne diede notizia a Luzzatti, insistendo perché nella «sistemazione definitiva» dei servizi marittimi tutti quelli adriatici fossero assegnati a un’apposita Società adriatica, con sede in Venezia(66). Ottemperando all’impegno di giugno, il 1° dicembre 1910 il governo presentò il progetto per l’assetto definitivo dei servizi marittimi, che divenne legge solo nel 1912, quando Luzzatti non era più al governo. Ciò nondimeno, egli riuscì ugualmente a tutelare gli «interessi di Venezia», ottenendo che la linea Venezia-Calcutta fosse assegnata in esclusiva alla Società veneziana di navigazione a vapore, mentre i servizi dell’Adriatico furono attribuiti alla Società nazionale per i servizi marittimi, della quale, come si è detto, erano soci i membri del comitato voluto da Grimani e da Suppiej.
Per concludere, nel rapporto con la sua città natale Luzzatti, soprattutto negli anni della piena maturità politica, sembra ispirare la propria azione al corpus non scritto della tradizionale «saggezza veneziana», quella saggezza che, pur conoscendo e praticando l’arte del compromesso, sapeva trasfondersi, al momento opportuno, in prudentia o, se si preferisce, in «sapienza di governo», vale a dire in capacità progettuale, in impegno a vagliare criticamente i problemi, a cercare soluzioni possibili, a perseguire obiettivi realistici.
1. Luigi Luzzatti, Memorie autobiografiche e carteggi, I, 1841-1876, Bologna 1931, pp. 4-5.
2. Aldo Stella, L’eredità culturale e religiosa di Giacomo Zanella, in Giacomo Zanella e il suo tempo nel 1° centenario della morte. Atti del convegno, a cura di Fernando Bandini, Vicenza 1994 [ma 1995], pp. 456-459.
3. L. Luzzatti, Memorie, pp. 14-17; cf. Id., Di Giorgio Politeo e dei suoi lavori scientifici. Commemorazione, «Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», 76, 1916-1917, pt. I, pp. 9-43.
4. Marino Berengo, Luigi Luzzatti e la tradizione ebraica, in Luigi Luzzatti e il suo tempo. Atti del convegno, a cura di Pier Luigi Ballini-Paolo Pecorari, Venezia 1994, pp. 531-533 (pp. 527-541).
5. L. Luzzatti, Memorie, p. 40.
6. Cf. Gregorio Ricci-Curbastro, Commemorazione del prof. Pietro Cassani, «Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», 66, 1906-1907, pt. I, pp. 175-189.
7. Paolo Pecorari, Luigi Luzzatti e le origini dello ‘statalismo’ economico nell’età della Destra storica, Padova 1983, pp. 97-108.
8. L. Luzzatti, Memorie, pp. 40-54.
9. La prima ediz. è del 1855, la seconda del 1859, la terza del 1862.
10. Padova 1863. Il volume è stato riedito per iniziativa dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, a cura di Paolo Pecorari, Venezia 1997.
11. L. Luzzatti, Memorie, p. 38.
12. Massimo Costantini, Dal porto franco al porto industriale, in Storia di Venezia, Temi, Il Mare, a cura di Alberto Tenenti-Ugo Tucci, Roma 1991, pp. 891-893 (pp. 879-914). Cf. pure Gino Luzzatto, Le vicende del porto di Venezia dal primo medio evo allo scoppio della guerra mondiale 1914-1918, introduzione a Luigi Candida, Il porto di Venezia, Napoli 1950, pp. 35-36 (pp. 7-44); Tullio Bagiotti, Venezia da modello a problema, Venezia 1972, p. 222.
13. L’intendimento emerge con chiarezza dal suo carteggio con Fedele Lampertico: Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Archivio Luigi Luzzatti, b. 23, fasc. «Fedele Lampertico»; Vicenza, Biblioteca Bertoliana, CL 124-125; Fedele Lampertico, Carteggi e diari, II, a cura di Renato Camurri, Venezia 1998, pp. 598-702. Cf. Giuliano Petrovich, Luigi Luzzatti: la diffusione del credito e le banche popolari come ipotesi di previdenza volontaria, in Luigi Luzzatti e il suo tempo. Atti del convegno, a cura di Pier Luigi Ballini-Paolo Pecorari, Venezia 1994, p. 464 (pp. 459-478); Frediano Bof, Economia, mutualità e credito a Vicenza intorno al 1866: le origini della Banca popolare, in Storia della Banca popolare vicentina, a cura di Gabriele De Rosa, Roma-Bari 1997, pp. 13-16 (pp. 5-90).
14. L. Luzzatti, Memorie, pp. 104-110.
15. Ne spiega la natura e gli scopi in un’apposita «adunanza pubblica» tenutasi il 26 ottobre 1866 all’Ateneo Veneto, ma solo il 6 giugno 1867 viene firmato il decreto istitutivo. Le operazioni hanno inizio il 1° luglio.
16. Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Archivio Luigi Luzzatti, b. 162, fasc. 2, «Banche popolari. Documenti e corrispondenza 1864-70».
<Pag=319, Col=A/>17. Angelo Ventura, Padova, Roma-Bari 1989, p. 78.
18. Silvio Lanaro, Genealogia di un modello, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. Il Veneto, a cura di Id., Torino 1984, p. 18 n. 41 (pp. 5-96).
19. Marino Berengo, La fondazione della Scuola superiore di commercio di Venezia, Venezia 1989, p. 14.
20. Progetto della Scuola Superiore di commercio in Venezia, proposto dalla commissione mista del Consiglio provinciale, del Consiglio comunale e della Camera di commercio al R. Governo, in La R. Scuola Superiore di commercio in Venezia. Notizie e dati raccolti dalla Commissione organizzatrice per la esposizione internazionale marittima in Napoli aperta il 7 aprile 1871, Venezia 1871, p. 29 (pp. 29-38).
21. Cf. M. Berengo, La fondazione della Scuola superiore, pp. 7-20.
22. Ibid., pp. 38-39.
23. Vicenza, Biblioteca Bertoliana, CL 124, doc. 126, lettera di Luigi Luzzatti a Fedele Lampertico, 16 settembre 1868.
24. Luigi Luzzatti, Il Brennero, in Id., Grandi italiani, grandi sacrifici per la patria, Bologna 1914, pp. 438-454.
25. Si tratta di convenzioni stipulate fra diverse amministrazioni ferroviarie «nell’intento di lasciar continuare ai viaggiatori ed alle mercanzie il loro cammino senza bisogno di fermate ai confini o di appoggiature» (ibid., p. 444).
26. Maurizio Reberschak, Capitale mercantile e capitale industriale. Rossi, Cantoni, Breda e i magazzini generali di Venezia, in Schio e Alessandro Rossi. Imprenditorialità, politica, cultura e paesaggi sociali del secondo Ottocento, I, a cura di Giovanni Luigi Fontana, Roma 1985, p. 640 (pp. 639-648).
27. Paolo Pecorari, Il protezionismo imperfetto. Luigi Luzzatti e la tariffa doganale del 1878, Venezia 1989, pp. 106-124, 173-334.
28. M. Reberschak, Capitale mercantile, pp. 641-646.
29. Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, b. 188, fasc. «Premi scientifici della Quiriniana, 1870-1881». Merita segnalare anche un altro bando di premio Querini Stampalia, che avrebbe dovuto essere emanato il 28 luglio 1878. Il tema del concorso era stato formulato da Alessandro Rossi nei seguenti termini: «Premesse le ragioni dell’attuale decadenza economica della città di Venezia, indicare: I) quali e di qual natura sono gli ostacoli, che impediscono lo sviluppo del lavoro nazionale in Italia, e quali sarebbero i provvedimenti da introdursi nella nostra legislazione; II) quali, nel rinnovato ordine di cose, sarebbero le industrie più acconcie alle peculiari condizioni di Venezia». La formulazione adombrava il radicalismo protezionistico di Rossi e si risolveva in un attacco contro Luzzatti, che in materia commerciale e doganale accedeva a tesi moderate. L’opposizione di Luzzatti indusse l’Istituto a non pubblicare il bando (ibid., fasc. «Concorso scientifico per l’anno 1880. Quesito: Sulle industrie più acconcie alle peculiari condizioni di Venezia»; cf. Giuseppe Gullino, L’Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti dalla rifondazione alla seconda guerra mondiale (1838-1946), Venezia 1996, pp. 119-120, il quale commenta che a motivare Rossi «non furono soltanto i <Pag=319, Col=B/>suoi interessi di Schio, né tantomeno questioni di principio», ma piuttosto il fatto che egli stesse per giocare, insieme a Cantoni e a Breda, «la carta dei Magazzini generali a San Basilio, contro l’ipotesi del punto franco sostenuta dalla locale Camera di commercio»).
30. Alberto Errera-Giannantonio Zanon, La industria navale. Studi, Venezia 1870; Rocco Agostino Vianello, Sullo svolgimento che potrebbero prendere nell’estuario veneto le costruzioni navali. Cenni, s.n.t. [ma Venezia 1870].
31. Luigi Luzzatti, Discorso sulle costruzioni navali detto all’Ateneo Veneto nella conferenza serale del 2 dicembre 1870, «Gazzetta di Venezia», 13 febbraio 1871, p. 2 (pp. 1-2).
32. Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, b. 188, fasc. «Premi scientifici della Quiriniana», I.
33. Consiglio comunale di Venezia, Verbali di deliberazione, sedute del 13 giugno, 25 novembre, 7 e 13 dicembre 1871.
34. Inchiesta parlamentare sulla marina mercantile (1881-1882), IV, Riassunti dell’inchiesta orale e scritta, Roma 1882, p. 336.
35. Cf. Luigi Sormani Moretti, La Provincia di Venezia. Monografia statistica-economica-amministrativa, Venezia 1880-1881, p. 537; Gianni Toniolo, Cento anni di economia portuale a Venezia, «CO.S.E.S. Informazioni», 2, 1972, nr. 3, p. 36 (pp. 33-73).
36. Cf. Della riforma delle opere pie nel rapporto economico ed amministrativo. Relazioni, discussioni e proposte del Comitato di Venezia dell’Associazione pel progresso degli studi economici, Padova 1876; Alberto Stelio De Kiriaki, Sull’indirizzo delle opere pie e sul loro reggimento economico ed amministrativo. Relazione pel Comitato veneziano dell’Associazione pel progresso degli studi economici, «Giornale degli Economisti», 1876, nr. 3, pp. 81-212; Giuseppe Toniolo, Sul lavoro delle donne e dei fanciulli nelle industrie manifatturiere di Venezia e sopra alcuni criteri di legislazione industriale in Italia. Conclusioni del Rapporto della commissione presso il comitato di studi economici di questa città [di Venezia], ibid., nr. 4, pp. 107-127.
37. Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Archivio Luigi Luzzatti, b. 10, fasc. «Eugenio Cantoni».
38. Ibid., b. 18/bis, fasc. «Federico Frizzerin»; b. 46, fasc. «Giuseppe Toffolati».
39. Ibid., b. 8, fasc. «Vincenzo Stefano Breda», minuta di lettera di Luigi Luzzatti, priva di data e di destinatario. La segretaria di Luzzatti, Elena Carli, ipotizza che la lettera abbia come destinatario Léon Say e che risalga al 1887. Il destinatario è probabilmente Say, ma la data deve essere anticipata, perché, riferendosi allo stabilimento ternano, Luzzatti afferma che esso «va s’ouvrir»: dunque, il terminus ad quem non può essere posteriore al 1884.
40. Maurizio Reberschak, L’economia, in Venezia, a cura di Emilio Franzina, Roma-Bari 1986, p. 238 (pp. 228-298).
41. Su Grimani v. in questo volume il contributo di Maurizio Reberschak. Sul «progetto Marghera» cf. Cesco Chinello, Porto Marghera 1902-1926. Alle origini del ‘problema di Venezia’, Venezia 1979, pp. 69-143; Rolf Petri-Maurizio Reberschak, La Sade di Giuseppe Volpi<Pag=320, Col=A/> e la ‘nuova Venezia industriale’, in Storia dell’industria elettrica in Italia, II, Il potenziamento tecnico e finanziario. 1914-1925, a cura di Luigi De Rosa, Roma-Bari 1993, pp. 322-329 (pp. 317-346).
42. Luigi Luzzatti, Discorso pronunziato a Venezia il dì 19 ottobre 1916 sotto gli auspici e per invito del Municipio a solenne ricordo dell’ingresso delle truppe italiane nel 1866, Venezia 1916, pp. 31-32. Su questo «nuovo» ruolo di Venezia, chiamata a essere «punta di diamante di un sistema commerciale-industriale» e ad assurgere «con finalità specifiche alla stessa importanza dei principali porti industriali», cf. le considerazioni di Maurizio Reberschak, L’industrializzazione di Venezia (1866-1918), in Venezia. Itinerari per la storia della città, a cura di Stefano Gasparri-Giovanni Levi-Pierandrea Moro, Bologna 1997, pp. 382-383 (pp. 369-404).
43. Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Archivio Luigi Luzzatti, b. 29, fasc. «Pompeo Gherardo Molmenti».
44. Ibid., b. 18/bis, fasc. «Antonio Fradeletto».
45. Ibid., b. 25, fasc. «Ferruccio Macola».
46. Ibid., b. 21, fasc. «Filippo Grimani».
47. Ibid., lettera a Luigi Luzzatti, 11 marzo 1897.
48. Ibid., b. 248, fasc. «Venezia», lettera di Filippo Grimani a Luigi Luzzatti, 14 marzo 1904.
49. Ibid., b. 21, fasc. «Filippo Grimani», lettera a Luigi Luzzatti, 15 settembre 1904. Cf. Salomone Morpurgo, Il trasferimento della Marciana nel MDCCCCIV, in La Biblioteca Marciana nella sua nuova sede, XXVII aprile MDCCCCV, Venezia 1906, pp. 74-88; Marino Zorzi, La Libreria di San Marco. Libri, lettori, società nella Venezia dei Dogi, Milano 1987, pp. 397-398.
50. Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Archivio Luigi Luzzatti, b. 21, fasc. «Filippo Grimani», lettera a Luigi Luzzatti, 11 settembre 1897.
51. Ibid., lettera a Luigi Luzzatti, 23 settembre 1908.
52. Ibid., b. 183, fasc. I.
53. Ibid., b. 78, fasc. II, «Case popolari, corrispondenza 1902-1904», lettere di don Luigi Cerutti a Luigi Luzzatti, 6 agosto, 4 settembre e 28 novembre 1902; Luigi Luzzatti, Le case popolari nel momento attuale. Discorso inaugurale al secondo congresso italiano per le case popolari, Roma 1911, pp. 1-11.
54. Cf. Giovanni Zalin, Luigi Luzzatti e la politica della casa per i non abbienti (1867-1927), in La politica della casa all’inizio del XX secolo. Atti della prima giornata di studio, a cura di Donatella Calabi, Venezia 1995, pp. 136-139 (pp. 131-171).
55. Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Archivio Luigi Luzzatti, b. 21, fasc. «Filippo Grimani», lettera a Luigi Luzzatti, 23 luglio 1910.
56. Ibid., lettera a Luigi Luzzatti, 30 novembre 1916.
57. Ibid., lettere a Luigi Luzzatti, 11 gennaio, 8 giugno (questa anche a firma del presidente della deputazione provinciale di Venezia) e 25 ottobre 1904; 7 marzo 1905; 6 e 25 ottobre 1908.
58. Ibid., b. 224, fasc. IV, appunto manoscritto per Luigi Luzzatti, privo di data, ma del gennaio 1904.
59. Ibid., b. 36, fasc. «Raimondo Ravà»; b. 248, fasc. «Magistrato alle acque». Cf. Cinquantenario del Magistrato alle acque di Venezia. 1907-1957, Venezia 1957; Augusto <Pag=320, Col=B/>Ghetti, Contributi dell’Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti ai primi sviluppi degli studi idrografici e dell’idraulica lagunare, in Per la difesa del suolo. Atti della giornata di studio, Venezia 1988, p. 24 (pp. 21-26); Giuseppe Gullino, Un intenso decennio (1898-1907): l’Istituto Veneto e il problema lagunare, in Conterminazione lagunare: storia, ingegneria, politica e diritto nella Laguna di Venezia. Atti del convegno, Venezia 1992, p. 143 (pp. 131-146).
60. Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Archivio Luigi Luzzatti, b. 138, fasc. IV, «Risarcimento danni di guerra, istituti di credito, mutui»; b. 171, fasc. IV, «Istituto federale di credito per il risorgimento delle Venezie. Corrispondenza con Max Ravà».
<Pag=321, Col=A/>61. Ibid., b. 139, fasc. «Profughi di Venezia».
62. Ibid., b. 207, fasc. II, «Documenti finanziari della Repubblica Veneta».
63. Ibid., b. 153, fasc. II, lettera della Società veneziana a Luigi Luzzatti, 30 marzo 1909, con allegata Memoria.
64. Ibid., fasc. III, lettera della Società veneziana a Luigi Luzzatti, 2 aprile 1910.
65. Ibid., fasc. V, lettera di Filippo Grimani a Luigi Luzzatti, 6 giugno 1910, con annesso «ordine del giorno» ed elenco dei sottoscrittori.
66. Ibid., fasc. VII, in particolare la lettera di Grimani a Luzzatti datata 18 ottobre 1910.<Pag=321, Col=B/>
Normal 0 14 false false false IT X-NONE X-NONE /* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name:"Tabella normale"; mso-tstyle-rowband-size:0; mso-tstyle-colband-size:0; mso-style-noshow:yes; mso-style-priority:99; mso-style-parent:""; mso-padding-alt:0cm 5.4pt 0cm 5.4pt; mso-para-margin:0cm; mso-para-margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:10.0pt; font-family:"Times New Roman",serif;}