LUCCHINI, Luigi
Nacque a Piove di Sacco, presso Padova, il 10 giugno 1847 da Girolamo e da Eleonora Anselmi. Laureatosi in giurisprudenza a Padova, lavorò per il ministero di Agricoltura, industria e commercio in diverse province del Regno come segretario capo, poi a Pavia, nel 1871, come ispettore demaniale e delle tasse di 2a classe.
Dopo aver pubblicato la prima monografia (Il carcere preventivo, Venezia 1872), mentre stava lavorando come avvocato patrocinante in corte d'appello a Venezia, gli fu affidato dal ministero di Agricoltura, industria e commercio l'insegnamento di diritto e procedura penale presso la Scuola superiore di commercio di Venezia (1873-77).
Nel 1874 il L., dopo aver dato alle stampe un secondo libro, La filosofia del diritto e della politica sulle basi dell'evoluzione cosmica (Ibid.), dedicato a T. Mamiani e P.S. Mancini, richiese alla facoltà di giurisprudenza di Padova la libera docenza in filosofia del diritto. Tuttavia il preside e il consiglio di facoltà, pur riconoscendogli i meriti scientifici, impugnarono la domanda ritenendo che le idee del L. rappresentassero "un pericolo" per gli studenti; esse, infatti, affette dal "più reciso e manifesto ateismo e materialismo", annientavano "ogni ordine religioso", e sovvertivano "anche ogni ordine morale e politico" fino a generare disordine sociale. Di diversa opinione si dichiarò il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, presieduto da Mamiani, che riconobbe nel L. "un giovane di molto ingegno, dottrina ed erudizione", degno di aspirare alla libera docenza; la domanda fu autorizzata, pur senza giungere a un esito positivo.
Collaboratore di giornali e periodici, nel 1874 il L. fondò la Rivista penale, destinata ad avere una forte e duratura influenza nella cultura giuridica. In una lettera del febbraio 1875 diretta a R. Bonghi, cui aveva donato la prima annata della Rivista, il L. esplicitava gli obiettivi dell'opera: "[(] l'indagine scientifica, la critica legislativa, la pratica giudiziaria; ma in modo che la trattazione dell'una agevoli e giovi incessantemente alla trattazione delle altre. A facilitare questo intento, ò cercato di favorire con tutte le mie forze lo studio comparato delle legislazioni" (Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Personale 1860-1880, b. 1198, f. Luigi Lucchini). Tra le tante battaglie condotte dalla Rivista penale, si ricordano quelle per l'abolizione della pena di morte, per la creazione di un moderno e rieducativo sistema carcerario e di un adeguato sistema di pene. Su questi temi si incentrò l'incontro con G. Zanardelli, di cui il L. divenne il principale collaboratore sia nell'ufficio legislativo del guardasigilli sia nella commissione per la riforma del codice penale, di cui redasse la relazione di accompagnamento.
Dopo aver fatto, nel 1876, domanda per un concorso a cattedra, il 24 febbr. 1878, in un diverso clima politico, fu nominato professore ordinario di diritto e procedura penale a Siena, pur essendo risultato secondo dietro a E. Brusa che rinunciò in quanto già in cattedra (Ibid., Divisione Istruzione superiore, Concorsi a cattedre nelle università 1860-1896, b. 38, f. 738). Sposatosi il 10 sett. 1879 con Elena Bonetti, il L. fu tra i fondatori a Siena del Circolo giuridico, che diresse a partire dal 1881. Nel 1882 passò a insegnare all'ateneo di Bologna.
Tra il 1884 e il 1921 il L. diresse il Digesto italiano, opera che si proponeva di raccogliere la giurisprudenza e la dottrina del diritto pubblico e privato. Tra le voci da lui redatte, spiccano Aborto procurato e Adulterio: nella prima invitava a limitare la perseguibilità penale, ammonendo che "la ragione giuridica penale non può esigere che le preoccupazioni sociali, fatte superiori a quelle della maternità, si spingano fin nell'utero della donna per rintracciarvi le vestigia di un delitto" (cfr. Digesto italiano, Torino 1884, I, 1, p. 123); nella seconda palesò un'ampia convergenza con le coeve posizioni dei fautori dell'introduzione del divorzio, ritenendolo "il trattamento sociale più logico dell'adulterio", e suggerendone l'abolizione come reato (ibid., II, 1, p. 227).
Eletto deputato nel collegio di Verona I nel 1892, il L. sedette nelle file della sinistra zanardelliana: fu di nuovo alla Camera, per lo stesso collegio, tra il 1897 e il 1908, intervenendo in materie giuridiche, sui bilanci di alcuni dicasteri, su questioni tributarie, ferroviarie e di economia locale e partecipando a diverse commissioni, fra cui quella per la statistica giudiziaria. Alla Camera, come nelle pagine della Rivista, il L. si scontrò più volte con E. Ferri, principale esponente della scuola positiva, antagonista a quella cosiddetta classica.
Favorevole alle libertà individuali, specie in tema di ordine pubblico, il L. nella sua attività di avvocato si distinse per la difesa di una trentina di imputati rinviati a giudizio per le manifestazioni del 1( maggio 1890 a Bologna: attestatosi su posizioni di stretta osservanza delle garanzie e dei diritti sanciti nello statuto, considerò gli anarchici e i socialisti non imputabili per le idee e i programmi.
Dimessosi dall'Università, perché nominato consigliere di Cassazione (1893) grazie ai buoni uffici di Zanardelli, il L. ritenne perseguibili i singoli individui e non le associazioni e i movimenti politici; per questo motivo, distinguendo tra atti leciti e illeciti e tra attività e opinioni, criticò le sentenze di scioglimento delle Camere del lavoro e quelle di limitazione del diritto di associazione. Il L. fu uno dei pochi giudici di Cassazione che tentò di rendere la magistratura "garante imparziale delle pubbliche libertà": il 20 febbr. 1900 redasse la discussa sentenza che considerava il decreto Pelloux del 22 giugno 1899 come "un semplice disegno di legge presentato al Parlamento e da questo non discusso né approvato" e pertanto decaduto e non più in vigore. Egli fu accusato dalla stampa moderata di manovrare contro il governo insieme con gli esponenti dell'estrema sinistra (U. Levra, Il colpo di Stato della borghesia. La crisi politica di fine secolo in Italia 1896-1900, Milano 1975, p. 382). Il L non mancò, tuttavia, negli anni successivi, di estendere severe sentenze contro i lavoratori che boicottavano o scioperavano (1908-09).
Nel 1904 il L. si avvicinò al gruppo radicale, stilando un programma in cui, ribadite le differenze dai repubblicani, dai socialisti e dalla sinistra costituzionale, rivendicava la fedeltà alle "istituzioni [(] incondizionatamente", nel riconoscimento "pieno e assoluto di tutte le libertà" (L. Lucchini, Politica radicale, Roma 1905, pp. 8-11) e nell'affidamento allo Stato di poteri "non esorbitanti mai dai limiti costituzionali delle loro attribuzioni" (Id., Il programma radicale. Appunti e schema, Prato 1904, p. 33).
Nel 1906, dopo un iniziale atteggiamento favorevole, il L. si schierò decisamente contro l'Associazione generale dei magistrati italiani: ritenendo la figura del giudice del tutto diversa dagli altri funzionari statali, irrise i giovani magistrati "sindacalizzati", da lui accusati di voler trasformare i "soci" dell'associazione in "compagni".
Nel 1907 divenne presidente di sezione, membro effettivo del primo Consiglio superiore della magistratura e poi nel 1908 della Suprema Corte di disciplina. Alla Cassazione fu protagonista di alcune burrascose vicende, entrando più volte in contrasto con i colleghi, con il primo presidente e con alcuni avvocati: il 19 apr. 1910 la Suprema Corte di disciplina decise di "non farsi luogo a procedere" nei suoi confronti. Gli giovò probabilmente l'amicizia di V.E. Orlando, testimoniata dalla corrispondenza privata, relativa a questioni giuridiche e politiche, nella difficile congiuntura del dopoguerra.
Nominato senatore il 3 giugno 1908, il L. fece parte di varie commissioni, fra cui quella per la riforma del codice di procedura penale. Nel dicembre 1916 fu nominato procuratore generale della Cassazione di Firenze: nel discorso inaugurale dell'anno giudiziario del 1918, il L. propose di riformare l'ordinamento giudiziario abolendo il concorso, che valutava solo le "competenze puramente tecniche", e nominando i "giuristi fra i migliori e più reputati, o nella Curia, o nell'Ateneo, o in altre pubbliche Amministrazioni". Il modello di riferimento era quello inglese: il L. prefigurava la giustizia come "terzo potere", a condizione che i magistrati fossero integrati "con la classe dirigente attraverso una sorta di cooptazione": una concezione elitaria, peraltro, di difficile realizzazione (cfr. in partic. F. Venturini, Un "sindacato" di giudici da Giolitti a Mussolini. L'Associazione generale fra i magistrati italiani 1909-1926, Bologna 1987, p. 175).
Nel 1921-22 il L. si schierò contro gli ultimi governi liberali, considerati deboli: più volte la Rivista penale giustificò come legittime le violenze dei fascisti. Collocato a riposo d'ufficio nel 1922, all'indomani delle elezioni del 1924 il L. cambiò opinione avvicinandosi all'Unione nazionale di G. Amendola. Nel 1926 la Rivista pubblicò un articolo considerato ingiurioso nei confronti di B. Mussolini: il L. subì un processo, nel quale fu assolto, ma, a giudizio di un informatore della polizia, il L. avrebbe assunto un atteggiamento sempre più critico nei confronti del regime e del duce (Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Dir. generale di pubblica sicurezza, Divisione polizia politica, p. 737, f. 1: sen. Lucchini).
Il L. morì a Limone sul Garda il 28 sett. 1929.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Corte suprema di cassazione, Segreteria Personale, magistrati, b. 3, f. 148; Ministero di Grazia e giustizia, Uff. superiore personale e affari generali, magistrati, f. pers., II vers., b. 964, f. 46.085; Carte V.E. Orlando, Carteggio, b. 14, f. 689; Ibid., Senato della Repubblica, Arch. storico, Senato del Regno, b. 32, f. 1298; Alta Corte di giustizia, ff. 156, 236, 354; Arch. di Stato di Brescia, Carte G. Zanardelli, bb. 106-107, 121, 130-131, 136; M. Sbriccoli, Il diritto penale liberale. La "Rivista penale" di L. L. (1874-1900), in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, XVI (1987), 16, pp. 105-183; Id., La penalistica civile. Teorie e ideologie del diritto penale nell'Italia unita, in Stato e cultura giuridica in Italia dall'Unità alla Repubblica, a cura di A. Schiavone, Roma-Bari 1990, pp. 147-232; Id., Caratteri originari e tratti permanenti del sistema penale italiano (1860-1990), in Storia d'Italia (Einaudi), Annali 14, Legge Diritto Giustizia, a cura di L. Violante, Torino 1998, pp. 487-551; R. Cambria, Alle origini del ministero Zanardelli-Giolitti. L'ordine e la libertà, in Nuova Riv. storica, LXXIII (1989), pp. 67-132, 609-656; LXXIV (1990), pp. 25-100; M. Malatesta, Magistrati, politici e diritti umani in Italia e Francia. Un'ipotesi di ricerca, in La morte del re e la crisi di fine secolo, a cura di M. Malatesta, in Cheiron. Materiali e strumenti di aggiornamento storiografico, n.s., XVIII (2001), 35-36, pp. 43-83 (con bibl.); Indice biografico italiano, a cura di T. Nappo, München 2002, I, pp. 253-255, 579; II, pp. 213 s., 335.