LOLLINO, Luigi (Alvise)
Nacque a Candia, nell'isola di Creta, da Franceschina Muazzo e Paolo di Luigi, di antica famiglia veneziana residente nell'isola da oltre tre secoli, in una data imprecisata che dovrebbe collocarsi tra il gennaio e il febbraio 1552.
Quest'anno è indicato già nelle più antiche biografie del L.: quella latina, che indica la data del 14 febbraio, dell'erudito bellunese settecentesco Lucio Doglioni (Belluno, Biblioteca civica, Mss., 478, cc. 133 ss.), e quella volgare, adespota ma attribuita al canonico Felice Persicini, familiare del L. morto nel 1629 (Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 5154, c. 79r). La nascita del L. è invece posticipata al 1557 dal maggiore biografo moderno del L. (Alpago-Novello, Lavita…, 1933 e 1934, pp. 18 s.) sulla base di un carme in cui il L., rievocando i suoi anni prima di stabilirsi a Belluno (1596), dice di avere trascorso un ventennio a Candia e altrettanto tra Roma e Venezia. Solo di recente al computo sono stati aggiunti i sei anni di studio trascorsi a Padova, e sulla scorta di una lettera al L. del dotto greco Massimo Margunios (che nel 1575 gli si rivolgeva dicendolo ventiduenne), si è potuta suffragare l'antica datazione (Canart, 1970, p. 554 n. 4; Luciani, p. 257).
Durante i vent'anni trascorsi nell'isola natale, con il sostegno paterno il L. avrebbe dato inizio a un appassionato e onnivoro studio dei classici greci innanzitutto, quindi dei latini, mentre l'interesse e l'uso della lingua italiana (di cui ha lasciato sporadiche testimonianze scrittorie) sarebbero sempre rimasti subordinati tra gli interessi classicisti del Lollino. L'intensa stagione giovanile vide il L. svolgere altresì numerosi viaggi nell'arcipelago ellenico, nelle Cicladi, a Zacinto, Cefalonia, Itaca, sulle coste di Illiria e Dalmazia. Sempre a Creta egli strinse le sue prime relazioni intellettuali con altri dotti greci, quali Melezio Pigás e forse il Margunios (rapporti rafforzati negli anni padovani anche con altri sodali di nascita ellenica come Daniele Furlanos e Gabriel Severo, con scambi di libri e contatti epistolari: cfr. Canart, 1970).
Fu in seguito alla conquista turca di Cipro nel 1571, e forse già nel 1570, dopo le incursioni della flotta turca a Creta, che la famiglia del L. decise di fare ritorno a Venezia, dove, vendute le proprietà candiote, si stabilì probabilmente tra la fine del 1571 e l'inizio del 1572 (Canart, 1970, p. 557). Qui, alloggiando dapprima a Ca' Venier, quindi, definitivamente, nel palazzo S. Vitale di nuova costruzione (ne parla il carme In Lollini aedes, in Carminum libri IIII, Venetiis 1655, pp. 80-82), il L. si poté dedicare completamente agli studi, dando anche un primo saggio di scrittura poetica (l'ecloga Laurus in morte di Lorenzo Giustinian, edita a Venezia, G. Percacino, 1576); mentre il fratello minore Giovanni assunse l'amministrazione della casa e dei cospicui beni familiari.
Tra la seconda metà degli anni Settanta e gli inizi del decennio successivo si colloca il periodo in cui il L., consolidando la sua formazione latina e dedicandosi anche all'ebraico, studiò presso l'ateneo di Padova, città dove si era trasferito probabilmente con l'intera famiglia dal 1577, addottorandosi nel 1583 in utroque iure; solo molti anni più tardi, nell'ambito della carriera ecclesiastica, sempre a Padova avrebbe acquisito la laurea in teologia (10 apr. 1596). Oltre al magistero sotto insigni professori patavini come Iacopo Zabarella e Gianfrancesco Mussato, in questo contesto il L. poté stabilire vivaci contatti letterari, tra gli altri con figure quali Francesco Soranzo, Sperone Speroni, Girolamo Frachetta (che nel 1581 gli dedicò il suo Dialogo del furore poetico), Lorenzo Pignoria, Paolo Gualdo, e soprattutto Girolamo Aleandro e Antonio Querenghi. Negli anni padovani (dal L. poi rievocati nel carme Iuventae in studiis Patavinis exactae recordatio, in Carminum libri, pp. 255 s.) strinse anche rapporti di profonda e duratura amicizia con uomini di spicco della intellettualità veneziana, tra i quali Ottaviano Bon, Benedetto Zorzi, Nicolò Contarini, e i due futuri senatori Donato e Andrea Morosini (quest'ultimo celebrato dal L. in funere con le Lachrimae, uscite in una stampa non autorizzata a Padova nel 1619 e onorato di una biografia premessa alle Historiae Venetae del Morosini, Venetiis 1623, pp. 4-9).
Il L., tornato a Venezia alla fine del 1583 e insignito della toga patrizia, procedeva intanto nella sua fervida attività di studio; frequentava abitualmente la Biblioteca Marciana e si dedicava a una formidabile opera di mediazione delle fonti elleniche e bizantine con l'importazione e la trascrizione di codici rari e inediti in lingua greca. Essi nel tempo vennero componendo una biblioteca straordinaria per ricercatezza e pregio degli esemplari, alla cui realizzazione il L. attese per l'arco dell'intera vita, fino a disporne le donazioni, con lascito testamentario, alla Biblioteca Vaticana (ove è tuttora presente il patrimonio greco della biblioteca lolliniana; cfr. Canart, 1979) e alla Biblioteca del capitolo di Belluno, che da lui avrebbe preso il nome (a cui andarono i codici latini e le stampe, in un fondo purtroppo depauperato nel corso dei secoli; cfr. Inventaridei manoscritti…, II, pp. 118-128). Di particolare rilievo, già a partire dal 1581-82, fu l'incarico di trascrivere codici nell'isola di Patmo che il L. affidò a due monaci basiliani di Candia (il catalogo di 61 titoli è in Vat. gr., 1205, cc. 82-84; cfr. Mercati; Canart, 1979).
Di questa appassionata ricerca e raccolta di esemplari si poterono giovare, tra gli altri, il cardinale G. Sirleto, che intorno al 1584 ricevette una copia delle orazioni di Basilio di Seleucia (ora Biblioteca apost. Vaticana, Vat. gr., 1736), e al quale nel 1583 il dotto Giovanni Buonafé, mediatore tra il L. e il cardinale, riferiva della copia lolliniana di Lettere di Giovanni Crisostomo, nonché delle trascrizioni commissionate a Patmo; il filologo Filippo Sylburg, che nell'edizione di Dionigi d'Alicarnasso del 1586 si basava su schede lolliniane (ossia sul Vat. gr., 1704; cfr. Canart, 1979, p. 42 n. 4); il gesuita Antonio Possevino, che dal 1602 si valse della consulenza del L. per gli Apparatus sacri (Mercati, p. 124). Un'impresa libraria che avrebbe contribuito alla notorietà del L. sulla scena intellettuale non soltanto italiana, se si pensa agli scambi da lui intrattenuti con figure di rilievo internazionale, come i francesi Guillaume de Montholon, Jean de Valcob, il futuro cardinale Jacques-Davy du Perron, che volle conoscere la biblioteca del L. allorché questi fu delegato ad accoglierlo a Venezia insieme con Paolo Sarpi. Con quest'ultimo, peraltro, il L. dovette mantenere una discreta consuetudine, testimoniata da lettere del Sarpi tra il 1599 e il 1606 (edite in Cicogna, III, 1830), senza precludersi un'equanimità di giudizio rispetto alla controversia del frate con Paolo V, in margine a cui il 21 giugno 1608 il L. sarebbe stato interpellato, ma invano, dal nunzio veneziano Berlingherio Gessi.
Di queste vaste relazioni intellettuali, sempre prodighe di attestati di stima per il L., così come di un fittissimo e mai intermesso commercio erudito, è documento il grande epistolario del L. (Epistolae miscellaneae, Bellunis 1641), pubblicato postumo in quattro libri, contenente 263 epistole - purtroppo per la gran parte non datate - nonché, nei numerosi parerga, composizioni e traduzioni in prosa e in versi di varia entità (per un primo regesto dei 133 corrispondenti cfr. Cicogna, V, 1842, pp. 42-48). A una raccolta epistolare manoscritta in due Centuriae, non pervenuta, avrebbe fatto cenno Panfilo Persico in una lettera del 20 ag. 1619 a G. Aleandro, che ne auspicava la pubblicazione (cfr. Alpago-Novello, 1934, pp. 562 s.; tra gli altri testimoni, notevoli un apografo in due volumi conservati a Vicenza, Biblioteca civica, Mss., 639 [4.4.10], e il ms. di Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Malvezzi, 129, cc. 1-94). Si trattava in ogni caso della forma di comunicazione che il L., soprattutto nei tardi anni bellunesi, privilegiò, anche dissertandone ampiamente in chiave storico-retorica in un Epistolaris disciplinae commentarius (in Epistolae, pp. 477-528).
Un sodalizio importante, connesso agli anni veneziani, fu quello con il vescovo di Verona Agostino Valier, che aveva voluto conoscere il L. sin dal suo ritorno a Venezia, e che lo volle presente in incontri di particolare rilevanza, con Carlo Borromeo a Milano e con Filippo Neri a Roma. E sul Valier, morto nel 1606, il L. si sarebbe diffuso in uno scritto di valenza autobiografica, il Soliloquium (in Episcopalium curarum characteres, Belluni 1630, pp. 237-254), dove appunto celebrava tra l'altro la memoria di chi, tra i suoi amici, deteneva il "principem locum". Era questa una fase di intensi viaggi per l'Italia che lo portarono tra l'altro a Firenze, dove conobbe Pietro Vettori, a Bologna, presso il cui Studio ascoltò le lezioni di Federico Pendasio e di Carlo Sigonio, a Ferrara, dove conobbe Paolo Sacrato (Epistolae, p. 357), e ancora a Urbino, a Cremona e a Brescia.
Ma fu segnatamente in occasione di due soggiorni a Roma che si consolidò la fama del L. presso gli ambienti curiali e si estese la rete di relazioni con la società intellettuale del classicismo tardocinquecentesco. Il primo viaggio avvenne nel 1584, sotto il pontificato di Gregorio XIII, in compagnia, come si è visto, del Valier. In tale circostanza egli poté conoscere personalmente Marco Antonio Mureto, Francesco Benci, Attilio Amalteo, Alessandro Borghi, Scipione Gonzaga, Fulvio Orsini, ma soprattutto Guglielmo Sirleto (che lo introdusse nella Biblioteca Vaticana, dove il L. maturò anche la sua vocazione religiosa, come settantenne ricordò nell'Anteactae vitae Pythagorica recensio, inedita nel ms. 1° della Biblioteca Lolliniana) e Cesare Baronio, che avrebbe avuto nel L. un referente privilegiato per le fonti storico-ecclesiastiche orientali nella compilazione dei suoi Annales ecclesiastici (per esempio il L. gli illustrò la storia dello scisma del monaco Barlaam, in Epistolae, pp. 76-79; oppure latinizzò su sua istanza le lettere del patriarca di Costantinopoli Nicolò Mistico; anche per il Baronio cfr. il ricordo del L. nel Soliloquium, pp. 246 s.).
Meno documentato è il secondo soggiorno a Roma, che ebbe luogo probabilmente nel 1592, sotto il papato di Clemente VIII Aldobrandini, grande estimatore del L., che onorava delle sue conversazioni (Soliloquium, p. 251), mentre il L. frattanto consolidava i suoi contatti con il ceto intellettuale ed ecclesiastico romano, e forse a questa altezza entrava in rapporti con Scipione Cobelluzzi, suo assiduo corrispondente nei decenni seguenti (cfr. Epistolae, pp. 57-65, 284-288, ove è anche il carme con cui il L. celebra la nomina del Cobelluzzi a cardinale bibliotecario nel 1618).
Negli stessi anni si infittirono anche i rapporti con la vita intellettuale veneziana, dove il L. pare fosse iscritto negli Accademici Occulti e Ricoverati (Alpago-Novello, Lavita…, 1933 e 1934, p. 235), mentre in seguito sarebbe stato tra gli Stravaganti di Candia (ma la dedica dei Sette sacramenti di Andrea Corner induce a collocare la partecipazione del L. all'Accademia candiota dopo il 1596, cfr. Luciani, pp. 258 s.). A Venezia forse già dagli anni Novanta il L. doveva avviare o rinsaldare legami importanti per gli anni successivi, attestati nell'epistolario, con dotti come Fortunio Liceti, Vincenzo Quirini, Giacomo Barozzi, il cipriota Alessandro Sinclitico, e soprattutto lo storico Enrico Caterino Davila.
L'autentica svolta, nella vicenda del L., sopraggiunse con l'elezione alla cattedra episcopale di Belluno, a seguito della rinuncia di Giambattista Valier, che nel luglio del 1596 propose al capitolo dei canonici bellunesi la successione del L., che si completò con la consacrazione a Roma il 18 agosto da parte di Clemente VIII; quindi con l'atto di obbedienza dei canonici bellunesi (9 novembre) e l'ingresso ufficiale a Belluno il 14 dicembre. Fu questa una giornata capitale nella parabola del L., ove si consideri che egli non si sarebbe più allontanato (se non per brevi e sporadiche visite ai familiari a Venezia) dal territorio della diocesi per il resto della sua vita, assumendo l'onere della residenza episcopale a cardine di un impegno pastorale alacremente sostenuto nell'arco di un trentennio.
Di questa strenua e coerente dedizione alle cure episcopali vi sono numerose testimonianze negli scritti del L., ove spicca la Dissertatio de non deserendo grege (edita nella Praefatio iambico carmini noctua inscripto destinata…, Venetiis 1625, pp. 11-28), dove, rivolgendosi a Donato Morosini, egli descriveva la sua giornata, tra incombenze pastorali, preghiera e studio in biblioteca. D'altra parte, la quotidianità bellunese offriva costantemente materia ai diletti letterari del L., si trattasse di lamentare il freddo e i disagi della "bruma norica" (così in Carminum libri, pp. 104-106; cfr. anche pp. 57 s., 218), oppure di decantare la sorpresa di una nevicata (ibid., pp. 215 s.), nonché gli svaghi delle ferie autunnali che il L. trascorreva uccellando a Castion, ove risiedeva nella villa che aveva già ospitato Pierio Valeriano, G.P. Dalle Fosse (come ricordava ibid., pp. 73, 297 s.).
Alla fama del Valeriano il L. contribuì grandemente, seguendone la pubblicazione tra 1619 e 1620, dagli autografi "e Bibliotheca Lolliniana" del Dialogo della volgar lingua, per i tipi veneziani di G.B. Ciotti e per quelli di I. Sarsina, delle Antiquitates Bellunenses e del De litteratorum infelicitate che il L. dedicò "Bellunensibus suis" (su tale vicenda editoriale, attestata anche da lettere del L. e del Persico conservate nella University of Pennsylvania Library a Filadelfia, Mss. codices, 429, cfr. Gaisser; Pellegrini, 2002).
Nel 1599 il L. celebrò il suo primo sinodo diocesano, teso ad affermare le sue linee di disciplina del clero, di cui egli nelle periodiche visite pastorali riscontrava condizioni morali e materiali talora riprovevoli. Il secondo sinodo si tenne nel dicembre 1608, mentre alcune Ordinanze emanate dal L. nel 1609 attendevano a disciplinare i comportamenti nel coro e nella cattedrale, al cui scopo, nel dicembre, egli abolì pure alcune norme capitolari responsabili del lassismo dei canonici. Le disposizioni del L., improntate a severità e rigore, misero capo a proteste e persino a una controversia con il decano della cattedrale G.B. Barpo, che per una questione di precedenza aveva percosso il vicario episcopale, e che, dopo un processo tenuto il 21 febbr. 1610, fu allontanato per cinque anni dalla diocesi. Altre questioni insorte ora con i canonici, in materia di collazione di prebende, ora con le autorità comunali, per imposizioni fiscali, videro il L. difendere con fermezza la giurisdizione episcopale, anche appellandosi al Senato veneziano (allo stesso Senato fu inviata, il 17 apr. 1613, una relazione del podestà di Belluno Giovanni Dolfin che esaltava l'integrità e i meriti culturali del vescovo).
Accanto a tale azione disciplinatrice, il L. dimostrò ai diocesani tutta la sua dedizione anche con provvedimenti in linea con la sua professione intellettuale, quali l'istituzione di due insegnamenti, di logica e di instituta, presso il seminario locale (cui egli avrebbe destinato, in data 6 sett. 1621, 2000 ducati), e poi le donazioni testamentarie per il sostegno economico agli studi nell'Università di Padova di chierici meritevoli, oltreché per la dotazione di fanciulle nubili e per il restauro della facciata della cattedrale. Ma della sua attività episcopale, lo stesso L. tracciò un bilancio nella lettera inviata alla congregazione dei cardinali il 18 febbr. 1614 (Barb. lat., 2184, c. 145).
Gli anni dell'episcopato bellunese furono anche i più fecondi per il L. scrittore, che dovette comporre in questa età tarda la gran parte della sua produzione poetica, poi confluita nei quattro libri di Carmina (raccolta di 488 poesie, selezionate dal curatore Eustachio Rudio tra le 1523 dall'imponente raccolta in 13 libri del ms. 503 della Biblioteca civica di Belluno; cui andranno pure aggiunte composizioni presenti nella miscellanea Lollinianae Musae, ibid., ms. 502), dove assai nutrita è la serie dei destinatari, che si alternano ai carmi "de se ipso" (da menzionare due ampi Soliloquia in esametri in Carminum libri, pp. 75-80, 82-90). La lontananza dalla vita urbana, il ritiro dei freddi inverni bellunesi, i persistenti disturbi di insonnia, dovevano favorire una pratica di versificazione cui il L. diceva di applicarsi nelle veglie notturne (e Vigiliae antelucanae egli intitolava la raccolta manoscritta di opuscoli morali e filologici nel ms. 501 della Biblioteca civica di Belluno).
Nella sua produzione il L. spaziava nei campi multiformi delle scienze erudite con tipica disposizione da poligrafo, componendo prose rivolte a questioni di filosofia morale, pedagogia, vita ecclesiastica (alcuni tra i numerosi titoli: De Christiana perfectione, De origine malorum disputatio, De curiositate, De scrupulis, De causis corruptae iuventutis dialogus, De titulorum episcopalium diminutione, De malo incredulitatis, i due ultimi editi in Miscellanea di varie operette, VII, Venezia 1744, pp. 229-267); dialoghi a carattere polemico (come la Iatrophobia, contro i medici, ibid., VII, 1743, pp. 196-220; un'invettiva tutta letteraria, peraltro, ove si consideri la grande amicizia e stima che legò il L. negli anni bellunesi ai medici Lorenzo Regozza, Giovanni Colle e al nipote di questo Bernardo; e sugli interessi scientifici del L., con operette come il De igne, il De vesica piscium, il De myxi seu gliris: cfr. Benzoni); dissertazioni filologico-esegetiche (De scopendi verbo in Psalmis posito, De stirpium creandi regis causa conventu ex Israelitarum libro, Animadversiones in libellum De spiritu Aristoteli adscriptum, De Homerico cyceone disquisitio); scritture prosopografiche (oltre alle biografie del Morosini e del Bon, le Vitae decem professorum in Academia Patavina, nel ms. 505 della Biblioteca civica di Belluno, cc. 29-115); testi di invenzione letteraria (la commedia Damon, di imitazione terenziana; cinque Satyrae di ispirazione menippea; quattro Characteres morales, modellati su Teofrasto; la novella Teofilato in volgare, edita a Venezia nel 1816).
Tale svariata produzione (che il L. passava in rassegna nella Praefatio alla Noctua citata, pp. 1-10; e cfr. anche i 55 titoli elencati nel ms. Barb. lat., 6538, cc. 31-32) era destinata, salvo le isolate eccezioni menzionate, a una pubblicazione postuma (oltre ai citati Carminum libri ed Epistolae, la vasta collettanea degli Episcopalium curarum characteres curata da Donato Bernardi con dedica a Urbano VIII) o alla circolazione manoscritta (cfr. il dettagliato regesto in Alpago-Novello, Lavita…, 1933 e 1934, pp. 279-303). Un'opera per la quale il L. non nutrì mai desiderio di pubblica diffusione, stando al costume di una curiositas intellettuale tutta privatamente coltivata, al riparo - come amava ribadire - dalle insidie di negligenti stampatori e invidiosi detrattori.
Gli ultimi anni di vita del L., nonostante il deteriorarsi delle condizioni di salute, non lo videro recedere dal suo fervido commercio intellettuale. Se intorno al 1620 era ormai acclarato il proposito lolliniano di donare alla Vaticana il fondo dei codici greci (i relativi scambi epistolari con il Cobelluzzi, nonché il breve di Paolo V che ringraziava il L. dell'omaggio del codice di Dionisio Alessandrino appartenuto alla regina Teodora, in Epistolae, pp. 273-280), le relazioni con la Chiesa romana si fecero ancora più intense con il pontificato di Maffeo Barberini, già corrispondente del L. che ne aveva lodato lo stile pindarico, e alla cui elezione fece pervenire, per il tramite di Virginio Cesarini, una lettera di felicitazioni (Epistolae, pp. 327, 329; interessante anche la missiva in volgare del 1° dic. 1623, nel ms. Barb. lat., 6516, cc. 59-62, in cui il L. riferisce degli scambi con l'entourage barberiniano, tra cui un "libro del Galileo" donatogli dal cardinal nipote e i versi che seguivano, dal L. inviati ad Angelo Grillo). Nonostante tali ottime relazioni, e a fronte di un'esemplare carriera episcopale, può stupire che egli non abbia conseguito la porpora, ciò che i biografi motivano con la sincera modestia e il sereno distacco da ogni ambizione del L., che non volle recarsi a Roma, malgrado le insistenze dell'Aleandro e di Francesco Barberini.
La morte del fratello Giovanni il 24 genn. 1624 (su cui la Consolatio in funere fratris, inviata a E.C. Davila in Epistolae, pp. 379-387), e a breve distanza dell'amico fraterno Ottaviano Bon (in cui onore compose alcuni esametri, nonché una biografia, edita in traduzione: Vita del cavaliere Ottaviano Bon, Venezia 1854), colpirono profondamente il L., la cui salute era già da tempo afflitta da ritenzione urinaria e altri malanni, sicché in data 9 nov. 1624 egli fece testamento (il testo in Alpago-Novello, Lavita…, 1933 e 1934, pp. 207-213).
Il L. morì a Belluno la notte del 28 marzo 1625.
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