GUICCIARDINI, Luigi
Figlio di Piero di Luigi e di Agnola di Andrea Buondelmonti, nacque a Firenze il 25 maggio 1407.
Il nonno, Luigi di Piero, era uno degli uomini più ricchi della città, con un intenso volume di affari e interessi terrieri; fu gonfaloniere di Giustizia al tempo del tumulto dei ciompi nel 1378 e fu insignito del cavalierato dal Comune dopo la crisi che ne seguì. Tuttavia, il suo secondogenito Piero perse gran parte dell'eredità familiare, pur mantenendo una rilevante posizione politica. Si alleò con i Medici intorno al 1425 e dopo il 1434 divenne una delle figure dominanti nel regime mediceo. Nel 1416 fu creato conte palatino da Sigismondo di Lussemburgo re dei Romani.
Nonna del G. era Costanza di Leonardo Strozzi e in gioventù il G. aveva partecipato alle riunioni degli umanisti che frequentavano il palazzo di Palla Strozzi. Insieme con Franco Sacchetti egli era stato ritratto da Matteo Palmieri come uno degli interlocutori di Agnolo Pandolfini nel trattato in forma di dialogo Della vita civile. Probabilmente studiò con Sozomeno da Pistoia e forse anche con Francesco Filelfo. Tuttavia, a parte un importante periodo in cui fu degli Ufficiali dello studio, nessun elemento fa pensare che il G. abbia mantenuto un attivo interesse per le lettere. La sua nobile nascita e forse un po' di pratica giuridica lo resero un candidato adeguato a ricoprire cariche nell'amministrazione pubblica sia dentro sia fuori dallo Stato fiorentino. Nella sua educazione vi fu anche una significativa componente militare dato che il padre era amico di Andrea Fortebracci, detto Braccio da Montone, e di Francesco Sforza, ed era stato commissario dell'esercito fiorentino nelle battaglie di Zagonara e Anghiari. Nel 1436, non ancora trentenne, il G. fu nominato podestà di Fermo da Francesco Sforza, nella sua veste di signore delle Marche. Secondo il Litta fu responsabile dell'esecuzione di Antonio Guadagni, che era stato esiliato da Firenze a Fermo a causa del sostegno che il padre aveva dato alla fazione degli Albizzi, e nel corso di tutta la sua vita il G. rimase sempre un fervente partigiano del potere mediceo. Fu membro di tutte le Balie dal 1438 in poi, sebbene nei suoi anni giovanili fosse frequentemente assente dalla città, come podestà di Todi nel 1437 e capitano dell'Aquila nel 1439. Nel novembre 1440 fu per la prima volta dei Priori fiorentini e nello stesso anno occupò il suo primo ufficio amministrativo nello Stato fiorentino come vicario della Val di Nievole. L'anno successivo si recò a Volterra come capitano fiorentino e nel 1443 assunse la carica di vicario del Casentino. Nel 1441 divenne per la prima volta membro degli influenti Otto di guardia, che gestivano la sicurezza interna di Firenze.
Nonostante fosse il primogenito, il G. ricevette solo una piccola eredità dal padre, che morì in Lombardia nel 1441 e non fu mai un uomo ricco. La sua disponibilità ad assumere posti amministrativi e giudiziari nel dominio fiorentino era senza dubbio in parte dettata dal fatto che simili incarichi erano piuttosto ben retribuiti e comportavano un indiscutibile prestigio.
Nel 1446 fu vicario a San Giovanni in Valdarno e in seguito capitano di Pisa; nell'anno seguente fu priore per la seconda volta, nei mesi di maggio e giugno, e poi ambasciatore a Genova con il compito di convincere il doge Giano Fregoso a non allearsi con Napoli contro Firenze. Nel 1448 ritornò nella Val di Nievole come vicario e nel 1449 fu eletto commissario dell'esercito che fronteggiava Alfonso V d'Aragona e le sue truppe napoletane in Maremma.
L'apice di questo lungo apprendistato nell'amministrazione pubblica e negli affari diplomatici e militari arrivò nel 1450 quando fu nominato dal neoduca Francesco I Sforza podestà della città e del Ducato di Milano, assumendo la carica il 21 maggio di quell'anno.
Il duca di Milano si era rivolto al suo amico e banchiere Cosimo de' Medici affinché gli raccomandasse un nobile fiorentino qualificato per occupare quella posizione. Allo Sforza premeva particolarmente che vi fosse un ufficiale esperto e leale in carica a Milano mentre egli stesso si trovava in campo con il suo esercito. La guerra con Venezia sarebbe continuata fino al 1454 e l'incarico di podestà del G. fu esteso per un altro anno nel 1451. Quando il G. richiese di essere dispensato dall'ufficio nel giugno 1452, lo Sforza gli conferì la cittadinanza milanese "per le sue particolari benemerenze nella podesteria di Milano" (Iregistri delle lettere ducali…, p. 20).
Poco dopo il suo ritorno a Firenze divenne gonfaloniere di Giustizia per la prima volta nel marzo 1453. Seguirono quindi due importanti missioni diplomatiche, una a Rimini, probabilmente all'inizio del 1454, per discutere il rinnovo della condotta di Sigismondo Pandolfo Malatesta con Firenze, e l'altra a Venezia per cercare di risolvere la difficile questione della condotta di Iacopo Piccinino cui i Veneziani erano intenzionati a porre termine. La fama del G. di essere uno dei pochi uomini politici fiorentini che avevano relazioni con i condottieri divenne particolarmente evidente in queste circostanze.
Con la pace di Lodi e con la formazione della Lega italica la carriera del G. si indirizzò verso l'arena politica fiorentina. Il G. divenne membro degli influenti Consoli del mare nel 1455 e fu coinvolto nello sforzo di rilanciare il commercio fiorentino dopo le guerre; nel novembre-dicembre 1457 occupò di nuovo la carica di gonfaloniere di Giustizia. Tuttavia, in un periodo di accresciuta e intensa attività diplomatica fra gli Stati italiani, fu anche impegnato in una serie di importanti missioni. Nel 1458 prese parte alla missione ufficiale inviata a Roma in onore del neoeletto papa Pio II e come ufficiale dello Studio ebbe un ruolo particolare nel sollecitare dal nuovo papa il permesso di tassare il clero fiorentino per il finanziamento dello Studio stesso. Fu ufficiale dello Studio per tre anni, dal 1458 al 1461, e secondo il bisnipote Francesco usò la sua posizione per ottenere, impropriamente, la concessione di un dottorato al figlio naturale Rinieri.
Da Roma, nel 1458, proseguì con Angelo Acciaiuoli fino a Napoli per congratularsi con il re Ferdinando I in occasione della sua ascesa al trono. A questo punto era già una figura dominante nel potere mediceo, prominente nelle "pratiche" e tra gli accoppiatori, e in alcuni dei principali uffici interni tra i quali gli Ufficiali del Monte, i Maestri della Zecca, i Conservatori delle Leggi e gli Otto di guardia. Fra il 1462 e il 1463 visitò Mantova per conto della Repubblica e nel 1464 fu di nuovo membro di rilievo nella missione ufficiale a Roma in occasione dell'elezione di papa Paolo II. In questa circostanza fu insignito dal pontefice del cavalierato e il suo titolo di cavaliere del Comune fiorentino fu confermato al suo ritorno in città.
La morte di Cosimo de' Medici il 1° ag. 1464 provocò incertezza nel regime a causa della salute fragile e della relativa mancanza di acume politico del figlio Piero. Nel marzo 1465 il G. fu mandato in missione a Napoli con Pandolfo Pandolfini per rinnovare i legami di Firenze con la dinastia aragonese dopo la morte di Cosimo. Al suo ritorno a Firenze il G. e Tommaso Soderini si distinsero come i principali consiglieri di Piero nel conflitto interno nel quale la crescente opposizione era capeggiata da Luca Pitti. Tuttavia, finché Francesco I Sforza sostenne il regime, la minaccia di un colpo di Stato era minima. La morte dello Sforza l'8 marzo 1466 produsse una nuova situazione. Il G. e Bernardo Giugni furono immediatamente mandati a Milano per offrire al nuovo duca, Galeazzo Maria, oltre alle condoglianze, sostegno finanziario e militare. Gli ambasciatori trovarono il governo milanese in considerevole confusione e disperatamente a corto di denaro, e offrirono un prestito per conto di Firenze di 60.000 ducati per stabilizzare la situazione. Di ritorno a Firenze, la concessione del prestito divenne il bersaglio dell'opposizione intenzionata a inficiare la reputazione di Piero e del G. a Milano e quindi far venire meno il sostegno militare che Milano avrebbe potuto eventualmente fornire a Firenze. Anche quando il prestito proposto fu ridotto a 40.000 ducati gli oppositori si ostinarono e il problema non si risolse finché i capi della fazione antimedicea non furono esiliati nel settembre 1466. Nel frattempo il G. ritornò da Milano e prese il posto di vicario della Val d'Elsa, che lo tenne lontano da Firenze fino all'autunno. Al suo ritorno trovò che sulla città incombeva una minaccia da parte dei fuorusciti, appoggiati e incoraggiati da Bartolomeo Colleoni e da personaggi antifiorentini a Venezia e Ferrara. In reazione a ciò fu stipulato un accordo fra Napoli, Milano e Firenze a Roma il 4 genn. 1467, e il 19 successivo il G. fu prescelto come ambasciatore a Milano con il compito di assicurarsi il sostegno militare milanese contro i fuorusciti. Rimase a Milano fino alla fine di giugno, prima di accompagnare Galeazzo Maria Sforza a Bologna con il contingente milanese inviato per congiungersi con Federico da Montefeltro e le altre forze della lega. Il G. ricevette allora istruzione di rimanere con l'esercito come commissario di guerra, sebbene non fosse presente alla battaglia della Molinella.
Dopo una missione a Siena nel 1468 e una visita a Ferrara all'inizio del 1469 per portare gli omaggi di Firenze all'imperatore Federico III nel suo viaggio di ritorno da Roma, il G. fu coinvolto nella crisi che mise a repentaglio la pace italiana dopo Lodi. Il 9 ott. 1468 la morte di Sigismondo Pandolfo Malatesta, privo di un legittimo erede maschile, incoraggiò Paolo II a tentare di sospendere il vicariato dei Malatesta a Rimini e a riportare la città sotto il diretto controllo della Chiesa. La possibilità di uno scontro con il papa creò un dilemma per la lega e il G. fu inviato a Milano nel giugno 1469 per persuadere Galeazzo Maria Sforza a opporsi a Paolo II e mandare truppe a Rimini. Le prime settimane del suo soggiorno a Milano, che sarebbe durato fino alla fine di dicembre 1469, coincisero con una visita di Lorenzo de' Medici, venuto a rappresentare suo padre al battesimo del primogenito del duca. Il prolungarsi della sua permanenza a Milano significa che il G. non si trovava a Firenze quando Piero de' Medici morì il 2 dic. 1469 e non fu perciò presente all'incontro informale fra i più importanti rappresentanti dello Stato fiorentino, avvenuto quella stessa sera nel convento di S. Antonio, in cui si confermò la successione di Lorenzo nella posizione di autorità del padre. Al suo ritorno alla fine di dicembre il G. riprese immediatamente il suo posto fra i capi del regime e fu prescelto come uno dei cinque fiorentini che rappresentarono la Repubblica alla Dieta da tenersi in città per discutere sul mantenimento della pace in Italia dopo la recente crisi riminese. Durante questi mesi cresceva a Firenze il partito favorevole a porre fine alla dipendenza che derivava dall'alleanza con Milano, che era stata il pilastro della politica medicea per più di venti anni, e di cui il G. era un aperto sostenitore, per avvicinarsi a Venezia, secondo le indicazioni di Tommaso Soderini. Alla fine dell'estate del 1470 sia il G., sia Lorenzo si trattennero nelle loro ville fuori Firenze per evitare cedimenti nel dibattito che alla fine avrebbe portato alla creazione di una nuova lega generale italiana nel dicembre 1470. Nella nuova situazione di un certo distacco fiorentino da Milano il G. divenne meno influente e per un certo periodo la sua attività sembra limitata a uffici territoriali. Nel marzo 1471 fu nominato capitano di Arezzo per sei mesi e nel 1472 ritornò a Certaldo come vicario della Val d'Elsa. Nel marzo-aprile 1473 divenne gonfaloniere di Giustizia per la terza volta e il suo apporto fu determinante per l'approvazione da parte dei Consigli di una legislazione suntuaria contro le stravaganze nella società fiorentina. Nel giugno 1473 si recò a Ferrara con Pandolfo Rucellai per rappresentare Firenze al matrimonio di Eleonora d'Aragona ed Ercole d'Este. Nel giugno 1474 iniziò l'ufficio semestrale di vicario del Casentino e nel novembre fu mandato come ambasciatore fiorentino a Venezia; la sua partenza fu lievemente ritardata, ma egli rimase a Venezia per tutto il 1475.
La prolungata presenza di un influente ambasciatore fiorentino a Venezia era in parte il risultato di una nuova struttura di alleanze fra Milano, Venezia e Firenze. La scelta del G., noto per i suoi atteggiamenti filosforzeschi e filomilanesi, era senza dubbio vista come un modo di consolidare la nuova alleanza e di creare una migliore intesa fra i tre Stati. Questa sarebbe stata la prima di due lunghe ambasciate che il G. svolse a Venezia, dove acquisì il rispetto del patriziato veneziano. Tuttavia la nomina produsse un interessante commento di Lorenzo de' Medici allorché ricevette proteste da Milano per il fatto che il rappresentante fiorentino a Milano, Donato Acciaiuoli, non era nemmeno cavaliere, mentre a Venezia la Repubblica era rappresentata dal G., insignito più volte del cavalierato. Si tramanda che Lorenzo si fosse detto sorpreso di questo paragone fra Acciaiuoli e il G., poiché il secondo "né per virtù, né per gentilezza d'animo et de costumi, né per nobiltà de famiglia" (Lorenzo, Lettere, II, p. 86) poteva reggere al confronto. Lorenzo era, ovviamente, forzato a difendere la scelta fiorentina di un inviato a Milano, e l'Acciaiuoli era uno dei più importanti cittadini fiorentini della sua generazione, conosciuto sia per le sue capacità diplomatiche, sia per la sua formazione intellettuale. Ma chiaramente Lorenzo era anche cosciente che il G. aveva alcuni difetti di carattere.
Dopo il suo lungo soggiorno a Venezia il G. fu presto di ritorno a Milano dove fu mandato di gran fretta ad accompagnare Tommaso Soderini nel dicembre 1476, appena si ricevette la notizia dell'assassinio di Galeazzo Maria Sforza. L'invio dei due ambasciatori era dovuto al timore non solo di un'insurrezione a Milano, ma anche di una rottura dell'alleanza tra Milano, Venezia e Firenze. Gli ambasciatori avevano ricevuto il mandato di recarsi da Milano a Venezia, ma in effetti il G. fu richiamato a Firenze in marzo mentre Soderini rimase a Milano. La missione è ricordata da Francesco Guicciardini per la sua importanza nello stabilizzare i conflitti tra le fazioni milanesi e nel preservare il regime sforzesco.
Durante il suo soggiorno in Lombardia il G. divenne membro del Consiglio segreto a Milano. Al suo ritorno a Firenze il 28 marzo 1477 riacquistò rapidamente il suo ruolo di spicco nel regime e dopo la congiura dei Pazzi nell'aprile 1478 fu nominato nei Dieci di balia, istituzione che fu responsabile del proseguimento della guerra nei due anni successivi. Ricoprì ancora una volta la carica di priore nel maggio e giugno 1478 e nella seconda metà dell'anno fu commissario generale dell'esercito che combatteva contro l'alleanza papale-napoletana capeggiata dal duca di Calabria e da Federico da Montefeltro nel Sud della Toscana. A questo punto il G. condivideva il ruolo di commissario militare con il fratello più giovane, Iacopo, e Francesco Guicciardini nelle sue Memorie di famiglia richiama l'attenzione sulla particolarità della situazione in cui due fratelli si spartivano la diretta responsabilità nella difesa dello Stato. Iacopo avrebbe, in effetti, continuato a ricoprire questo ruolo nel corso di tutta la guerra, ma il G., superati i settanta anni, ritornò a Firenze alla fine del 1478. Entro la fine del 1479, dopo un disastroso autunno in cui vaste zone confinanti con Siena erano state conquistate dalle forze napoletane e papali, Milano e Firenze cercarono di trattare la pace, ma Venezia, il terzo membro dell'alleanza, non sembrava incline all'idea di negoziati. Nel novembre 1479 il G. fu scelto per la difficile impresa di richiamare inizialmente i Veneziani a maggiori impegni militari, per poi spiegare loro le ragioni per cui gli alleati si sentivano obbligati a ricercare la pace e infine a rassicurarli che i loro interessi sarebbero stati rispettati nei negoziati. Il G. condivise queste responsabilità con il diplomatico milanese Leonardo Botta e si scontrò con un ostile e sospettoso governo veneziano, soprattutto quando a Venezia giunse notizia del viaggio di Lorenzo de' Medici a Napoli nel dicembre 1479. Il G. rimase a Venezia fino ai primi mesi del 1480 tentando di modificare l'impatto sull'opinione pubblica veneziana causato dalle notizie sulle condizioni della pace che veniva negoziata a Napoli e Roma e cercando di tenere aperta per Venezia la via di unirsi alla nuova lega che veniva discussa. Alla fine il suo tentativo di rabbonire il Senato fallì e Venezia e Sisto IV nell'aprile 1480 formarono una loro alleanza separata, che avrebbe creato un nuovo equilibrio nella politica italiana nei due anni successivi.
La questione interessante è per quale ragione il G. sia stato prescelto per questa missione cruciale. È vero che egli era ben conosciuto e rispettato a Venezia dopo la sua missione precedente, a dispetto delle sue propensioni filomilanesi. È anche vero che, al momento di essere scelto per la missione, la sua intima conoscenza della situazione di guerra, sia come membro dei Dieci, sia come recente commissario militare, sarebbe stata importante per un inviato il cui compito era di stimolare i Veneziani all'impegno militare. Ciò nonostante, la scelta di un inviato che non si distingueva per le capacità diplomatiche e la cui influenza e autorità politica erano già, secondo alcuni, incluso il futuro osservatore Francesco Guicciardini, in declino è curiosa e certamente indica che egli conservò la fiducia dei suoi colleghi, e in particolare quella di Lorenzo, che corrispose con lui regolarmente nel corso di questa missione.
La stessa impressione sulla protratta preminenza del ruolo del G. nella politica fiorentina si ha dalle sue attività nei due anni successivi. Al suo ritorno a Firenze nel giugno 1480 fu lodato dalla Signoria per aver compiuto una difficile missione; nel frattempo era già stato nominato nel nuovo Consiglio dei settanta. Agli inizi di dicembre guidò la delegazione di capi fiorentini che si recò a Roma per richiedere il perdono papale per gli eventi del 1478. L'accordo di pace prevedeva anche che Lorenzo de' Medici dovesse andare di persona a supplicare Sisto IV per l'assoluzione. Ma a Firenze era giunta voce che una prestigiosa delegazione di fiorentini sarebbe bastata e fu il G. che, il 5 dicembre, di fronte alle porte di S. Pietro, pronunciò il discorso formale di contrizione per conto dello Stato fiorentino, dopo che Francesco Soderini, vescovo di Volterra, aveva aperto le cerimonie con una orazione latina. E fu di nuovo il G. che rappresentò la Repubblica, con Francesco Dini, alla formale restituzione delle città prese durante la guerra dalle truppe napoletane, il 29 marzo 1481. Dopo questa cerimonia a Poggibonsi egli iniziò l'opera di rifortificazione delle città e delle fortezze con un gruppo di architetti e ingegneri che lo aveva accompagnato. Tuttavia, all'euforia fiorentina seguita alla cancellazione dell'interdetto e al recupero di molte delle città perdute nella guerra dei Pazzi seguì, tra la fine del 1481 e l'inizio del 1482, la preoccupazione nel momento in cui si manifestò sempre più l'ostilità veneziana e papale verso Ferrara. L'alleanza di Napoli, Milano e Firenze si impegnò a difendere Ferrara, e a tale scopo gli alleati erano ansiosi di assicurarsi i servizi militari di Federico da Montefeltro. Nel marzo 1482 fu presa la decisione di mandare alcuni esperti rappresentanti degli Stati alleati a Urbino per trattare direttamente con il duca. Pierfilippo Pandolfini, che era stato ambasciatore fiorentino a Napoli sin dall'autunno precedente ed era pienamente informato sia della situazione politica generale sia degli atteggiamenti napoletani nei confronti della crisi, fu istruito a ritornare a Firenze via Urbino. Allo stesso tempo si decise di mandare direttamente da Firenze un politico di esperienza che fosse pienamente informato delle opinioni fiorentine. Il G. fu scelto per questo ruolo e partì in gran fretta per Urbino l'8 marzo 1482.
Ancora una volta la scelta del G. è interessante: per tutta la vita egli era stato un fedele sostenitore dei Medici e godeva ancora della confidenza di Lorenzo nonostante le voci che davano la sua influenza in declino. Pandolfini era, d'altra parte, un confidente particolarmente vicino a Lorenzo in questo periodo, e si diceva che i capi fiorentini cercassero di bilanciare l'atteggiamento chiaramente filonapoletano di Pandolfini e i suoi interessi medicei con un collega ambasciatore che avrebbe dovuto essere indipendente da entrambe queste posizioni. Certamente i precedenti contatti del G. con Federico da Montefeltro contribuirono alla scelta di inviarlo a Urbino.
Sarebbe stata questa l'ultima importante missione affidata al G. e fu un completo successo: una nuova condotta fu stipulata e prima della fine di aprile Federico era in viaggio verso la Lombardia con parte della sua compagnia. I tentativi degli inviati milanesi di arrestare le trattative mentre essi cercavano di ottenere condizioni migliori per Milano furono superati e senza dubbio il G. giocò un ruolo chiave con la sua lunga esperienza della politica milanese. Egli partecipò al progetto dei piani militari per l'imminente campagna che faceva parte delle discussioni.
Gli ultimi anni del G. furono assai meno attivi. Egli continuò a tenere occasionali cariche amministrative, come vicario di Vico Pisano nel 1483 e vicario del Mugello nel 1487. Svolse anche un importante ruolo nei negoziati del 1483 con Siena per la restituzione finale del territorio occupato dalle truppe senesi dalla fine della guerra dei Pazzi.
Il G. morì a Firenze nel 1487 e fu seppellito nella chiesa di S. Felicita.
Il G. fu uno degli uomini politici fiorentini più attivi della sua generazione. Fu tra i principali sostenitori del regime mediceo per oltre quarant'anni, servendo costantemente nei maggiori uffici e partecipando ai dibattiti politici in un periodo in cui l'accesso ai più alti livelli di influenza e decisionalità si andava restringendo. Allo stesso tempo egli era frequentemente fuori Firenze con incarichi diplomatici o militari, o come amministratore regionale o locale. Francesco Guicciardini nelle Memorie di famiglia lo caratterizza come "uomo animoso e di buono cervello ma un poco furioso e volontoroso nelle cose sue, che fu causa di fargli pigliare molte imprese di che riuscì con poco onore" e lo descrive come "uomo di corpo bello, statura grande, e bianco e gentile aria, e di complessione molto robusta. Fu libidinosissimo, etiam vecchio, circa le femine" (p. 27). Era considerato da molti a volte frettoloso e maldestro nei suoi giudizi, il che occasionalmente impedì la sua nomina in missioni delicate. Si sposò quattro volte; con Cosa o Nicolosa Peruzzi nel 1426; nel 1448 con Pippa di Nofri Parenti che fu la madre delle sue tre figlie; terza moglie fu Nanna di Giovanni Vespucci e, nel 1484, sposò Ludovica di Giovanni de' Venturi. Oltre a Cosa, Agnola e Bianca, ebbe un figlio illegittimo, Rinieri, che entrò nella Chiesa. Rinieri fu rettore dello Studio pisano dal 1477 al 1479 e in seguito divenne vescovo di Cortona nel 1502. Il G. condivideva una casa nella parrocchia di S. Felicita con i suoi fratelli e intorno all'anno 1445 acquistò una parte di una villa di famiglia a Poppiano. Possedeva anche una grande fattoria nella Val di Pesa. Nella sua dichiarazione al Catasto del 1480 riportò che manteneva un cappellano nella sua casa "per sodisfare alla coscientia mia" (Arch. di Stato di Firenze, Catasto, 995, pp. 39 s.), ma non vi sono prove documentarie dei suoi interessi commerciali o bancari.
Fonti e Bibl.: Per i documenti relativi al G. conservati presso l'archivio di famiglia, cfr. R. Ridolfi, L'Archivio della famiglia Guicciardini, in La Bibliofilia, XXXI (1929), pp. 17-19; per la corrispondenza relativa alla missione a Urbino nel 1482: Archivio Guicciardini, Legazioni e Commissarie, Carteggi, III; per dettagli sulle cariche da lui ricoperte: Ibid., Spogli; per le lettere del G. a Lorenzo de' Medici: Archivio Mediceo avanti il principato. Inventario, II, Roma 1955, ad ind.; III, ibid. 1957, ad ind.; sulle cariche da lui ricoperte, Arch. di Stato di Firenze, Tratte, Uffici intrinseci, 902, 903, 904; Tratte, Uffici estrinseci, 984, 985, 986; per la sua data di nascita, Tratte, Libri d'età, 79, c. 22v; Istorie di G. Cambi cittadino fiorentino, I, in Delizie degli eruditi toscani, XX (1785); A. Macinghi Strozzi, Lettere di una gentildonna fiorentina del secolo XV ai figliuoli esuli, a cura di C. Guasti, Firenze 1877, pp. 375-377, 407; F. Guicciardini, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1931, ad ind.; Id., Memorie di famiglia, in Id., Scritti autobiografici e rari, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1936, ad ind.; Protocolli del carteggio di Lorenzo il Magnifico per gli anni 1473-74, 1477-92, a cura di M. Del Piazzo, Firenze 1956, ad ind.; I registri delle lettere ducali del periodo sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1961, pp. 7, 15, 20; M. Palmieri, Della vita civile, a cura di G. Belloni, Firenze 1982, ad ind.; Lorenzo de' Medici, Lettere, I-VII, a cura di R. Fubini - N. Rubinstein - M. Mallett, Firenze 1978-98, ad ind.; M. Parenti, Ricordi storici, 1464-67, a cura di M. Doni Garfagnini, Firenze 2001, ad ind.; A. Messeri, Matteo Palmieri, cittadino di Firenze nel secolo XV, in Arch. stor. italiano, s. 5, XIII (1894), pp. 268 s.; G. Salvemini, La dignità cavalleresca nel Comune di Firenze, Firenze 1896, pp. 133-137, 146-148; G. Niccolini di Camugliano, The chronicles of a Florentine family [Niccolini], 1200-1470, London 1933, pp. 268, 277; C. Santoro, Gli uffici del dominio sforzesco (1450-1500), Milano 1948, p. 138; A. Rochon, La jeunesse de Laurent de Médicis, 1449-78, Paris 1963, ad ind.; R.A. Goldthwaite, Private wealth in Renaissance Florence, Princeton 1968, pp. 117-124; J. Hook, Lorenzo de' Medici, London 1984, ad ind.; P.C. Clarke, The Soderini and the Medici: power and patronage in fifteenth-century Florence, Oxford 1991, ad ind.; A. Brown, The Medici in Florence: the exercise and language of power, Firenze 1992, ad ind.; J. Davies, Florence and its University during the early Renaissance, Leiden 1998, pp. 90, 102-104; N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici (1434-94), a cura di G. Ciappelli, Firenze 1999, ad ind.; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Guicciardini di Firenze.