GRANATA, Luigi
Nacque a Rionero in Vulture, in Basilicata, l'11 nov. 1776 da Benedetto e Rosa Melchiorre. Il padre, medico aggiornato, tanto da vantare la traduzione di opere fisiologiche francesi, e ricco possidente, lo inviò a Napoli a seguire gli studi in giurisprudenza. Dopo essere stato allievo di F.M. Pagano ed essersi addottorato in utroque iure, indotto da una malattia, il neolaureato abbandonò, però, la capitale e la giurisprudenza per fare ritorno nel borgo avito, dove si dedicò agli studi naturalistici sotto la guida del padre e usufruendo della sua doviziosa biblioteca. Scoprì, insieme, l'attrazione delle pratiche agrarie e, contro il costume dei possidenti, prese a occuparsi personalmente della conduzione delle proprietà agrarie di famiglia.
Combinandosi, i due interessi ne orientarono le propensioni verso le applicazioni agronomiche, spingendolo alla lettura di J.-A. Chaptal, H. Davy, L.-J. Thénard, A. Thaer, V. Thompson: gli autori più originali delle discipline agrarie nei primi lustri del secolo.
All'alba dell'Ottocento il Regno borbonico vantava una pubblicistica agraria di considerevole vivacità: seppure nessun autore napoletano avesse contribuito, infatti, al progresso delle discipline agronomiche con scoperte originali, le nuove acquisizioni realizzate in Inghilterra e in Francia erano state divulgate con singolare tempestività da autori che ne avevano colto con lucidità il rilievo. Gli esponenti più illustri di una cultura priva di creatività sperimentale, ma animata da una vivace esigenza di aggiornamento, erano stati il teramano Berardo Quartapelle, autore dei Principii della vegetazione, stampati nella patria dell'autore nel 1801, e Niccola Onorati, lucano come il G. e francescano, che aveva pubblicato, a Napoli, tra il 1803 e il 1806, i dieci volumi Delle cose rustiche.
Fu il confronto con la seconda opera, di cui misurò, nella cornice delle acquisizioni più recenti, la vetustà, a indurre il G. al primo impegno pubblicistico, che prese corpo nei tre libri delle Teorie elementari per gli agricoltori, stampati a Napoli nel 1824, poi ristampati, a ragione della buona accoglienza, nel 1835.
Nata da un intento divulgativo, espressamente enunciato nella prefazione, l'opera realizzava i propositi dell'autore raccogliendo con ordine e lucidità cognizioni che, ancora rigettate da voci autorevoli, erano destinate a imporsi come i pilastri delle conoscenze agrarie posteriori. Sul terreno della fisiologia vegetale il G. professa l'origine atmosferica del carbonio assorbito dalle piante; su quello chimico attribuisce al lievito, di cui non può, palesemente, definire la natura vivente, il ruolo di agente della fermentazione; su quello patologico asserisce la natura crittogamica delle fondamentali malattie dei vegetali. Nella temperie della cultura agronomica italiana non era la professione di cognizioni scontate; era, anzi, prova di considerevole autonomia di giudizio: Filippo Re, il maggiore agronomo del Regno d'Italia di età napoleonica, aveva sostenuto con calore, ad esempio, negli Elementi di agricoltura (Parma 1798), tanto l'assorbimento del carbonio dal suolo quanto il carattere di mere alterazioni fisiologiche di tutte le fitopatie, le stesse tesi che nella seconda metà del secolo avrebbe ribadito, nel maggiore monumento agronomico in lingua italiana, Carlo Berti Pichat.
Il successo delle Teorie collocava il G. al centro della cultura agronomica del Reame: avvalendosi del proprio prestigio si impegnava per la creazione di un'azienda sperimentale che assolvesse alle finalità di sperimentazione e divulgazione per il cui espletamento gli alfieri dell'agronomia europea avevano dato vita alle prime istituzioni agrarie. Invano auspicata da Arthur Young, la creazione di una fattoria sperimentale era stato l'obiettivo realizzato, superando cento difficoltà, da A. Thaer a Möglin nel 1806, da M. de Dombasle a Roville nel 1822, da A. Bella a Grignon nel 1827.
Ricalcando le orme dei padri dell'agricoltura moderna, il G. promuoveva la costituzione di una società per azioni che avrebbe dovuto acquisire un latifondo di 2099 moggi napoletani (706 ettari) nella piana di Eboli, coltivato secondo il più arcaico sistema cerealicolo-pastorale, e intraprendervi un piano di trasformazione che ne facesse un'azienda agraria e zootecnica d'avanguardia. Il progetto non riusciva a superare le difficoltà iniziali. Se le avesse sormontate, l'impresa non avrebbe varcato, probabilmente, la soglia dei primi anni: i precedenti più illustri avevano conosciuto, infatti, la navigazione più travagliata e solo la trasformazione in enti pubblici, favorita dal prestigio dei fondatori, li aveva salvati dal collasso, il destino irreparabile, invece, delle iniziative meno illustri.
L'impegno a promuovere lo sviluppo dell'agricoltura del Regno valeva, comunque, al G., nel 1830, la cattedra di agronomia e scienza silvana alla Reale Scuola di applicazione di ponti e strade. Lo stesso anno vedeva la luce, ancora a Napoli, la sua seconda opera, l'Economia rustica per lo Regno di Napoli, un trattato che si propone la traduzione della dottrina economica e agronomica di Thaer per la realtà del Mezzogiorno, anch'esso destinato alla ristampa, che sarebbe stata realizzata nel 1835.
Con le Grundsätze der rationellen Landwirthschaft, stampate a Berlino tra il 1809 e il 1812, tradotte a Firenze nel 1818 col titolo di Principj ragionati d'agricoltura, Albrecht Thaer aveva analizzato le relazioni quantitative tra gli elementi dell'azienda: produzioni cerealicole e foraggere, numero di animali e produzioni dell'allevamento, quantità di letame e necessità di forza di traino. Per la definizione di quei rapporti vanta il titolo di fondatore dell'economia agraria. Il G. si impegnava a rimodellare quei parametri secondo le condizioni ambientali tipiche del Mezzogiorno.
Nelle sue indagini l'autore tedesco aveva dedicato cure particolari al tema dei capitali necessari a un piano di intensificazione, un problema di rilievo nelle regioni a grande latifondo, dove progetti di sviluppo aziendale affrontati senza le necessarie precauzioni economiche portavano a inevitabili insuccessi. Affrontando lo stesso tema, il G. illustra gli accorgimenti finanziari e agronomici previsti per la trasformazione del latifondo di Eboli. Si misura, così, col problema la cui sottovalutazione determinerà, per oltre un secolo, il fallimento degli sforzi per intensificare il tessuto agrario meridionale, un titolo di merito cui deve aggiungersi quello di avere preceduto, tra i fondatori dell'economia agraria italiana, Pietro Cuppari, il medico messinese che scriverà, all'Università di Pisa, una delle pagine più luminose delle discipline agrarie nell'Italia risorgimentale.
Il G. morì a Napoli nel 1841.
Opere. Oltre alle due opere maggiori, nel 1830 il G. pubblicò il Discorso su la geologia, le produzioni e la economia rustica del monte Ermio. Letto all'Accademia Pontaniana nelle tornate de' 7 e de' 28 febbr. 1830 (Napoli) e la Coltivazione delle piante conosciute più utili all'uomo e agli animali domestici. Segue il trattato di parecchie manifatture…, che fu ristampata nel 1835, nel 1839 un saggio Sui mezzi come migliorare l'economia rustica del Regno di Napoli e gli Elementi della agronomia e della scienza selvaria ad uso della Scuola di applicazione di ponti e strade. Nel 1841, l'anno della morte, videro la luce, a Napoli, il Catechismo agrario ad uso delle scuole elementari stabilite nelle Comuni del Regno, redatto per incarico del ministero dell'Istruzione, e Dell'architettura rurale e dell'apprezzo dei fondi rustici. De Horatiis definisce l'ultima opera incompleta: l'estimo, il secondo argomento del titolo non è, infatti, sviluppato. Nel 1851 due editori napoletani avrebbero ristampato un compendio delle opere maggiori col titolo Della economia rustica dell'Italia meridionale. Trattato elementare teorico-pratico, e Dell'architettura…. Scritti minori sono menzionati nel Catalogo dei libri italiani dell'Ottocento, Milano 1991. All'elenco è stata aggiunta un'opera anonima, che Niccoli attribuisce al G. e a F. Scapato, l'Istruzionesulla coltura della vite e sulla manifattura del vino col metodo della fermentazione in vasi aperti ed in vasi chiusi, pubblicata a Napoli nel 1832, il cui esame non suggerisce ragioni irrefutabili per l'attribuzione.
Testimoniano l'apprezzamento dell'opera del G. da parte del più autorevole cenacolo di studi agrari dell'epoca, l'Accademia dei Georgofili, la recensione dell'Economia rustica di C. Ridolfi sul Giornale agrario toscano, X (1836), pp. 395-399, e la sua menzione, nel Rapporto del segretario alle corrispondenze, Filippo Gallizioli, nella Continuazionedegli Atti della I. e R. Accademia economico-agraria dei Georgofili, XVI (1838), p. 26.
Fonti e Bibl.: Del G. scrisse il primo profilo G. D'Errico, L. G. Necrologia, Potenza 1841, seguito da A. Brando, Testimonio di onoranze alla memoria di L. G., e G. Bellotti, L. G., in Poliorama pittoresco, 9 ott. 1841, pp. 73-75. Propone una breve, completa biografia del G. P.F. De Horatiis, in Gli agronomi illustri, Milano 1879, pp. 58-60. V. Niccoli, nel Saggio storico e bibliografico dell'agricoltura italiana, Torino 1902, cita soltanto due opere del Granata. Una biografia completa, con accurata bibliografia, fornisce T. Pedio, in Diz. dei patrioti lucani (1700-1870), II, Trani 1972, pp. 475 s. Ricalca Pedio, con alcune integrazioni, F. Pietrafesa, Rionero. Note storiche e documenti, Napoli 1982, p. 124. Menziona il G. tra i cultori d'estimo S. Di Fazio, Canoni estimativi e imperizia di estimatori nella pubblicistica settecentesca, in Genio rurale, II (1984), p. 27. Cita il G. M. Morano, Storia di una società rurale. La Basilicata nell'Ottocento, Roma-Bari 1994, pp. 198, 247-249, 252, 519, 572.