GONZAGA, Luigi
Primo capitano di Mantova della casa di Gonzaga, nacque a Mantova da Corrado di Antonio (talora chiamato anche Guido) e dalla sua prima moglie, una donna della casata degli Estrambino o Strambino di San Martino. Considerando che alla morte nel 1360 era più che novantenne, la sua data di nascita deve risalire agli ultimi anni Sessanta del Duecento: la data prevalentemente accettata è il 1266.
Sulla casata della madre del G. permane qualche dubbio: mentre il Luzio ne nega risolutamente l'origine non mantovana generalmente accettata dalla storiografia locale, riconoscendo in San Martino il mantovano San Martino dall'Argine, Vaini torna all'opinione, divulgata sin da una disputa sulla nobiltà delle casate dei Gonzaga e dei Savoia nel 1622, che la madre del G. appartenesse a una famiglia piemontese, e che San Martino fosse San Martino Canavese. Dal primo matrimonio del padre nacque anche Pietro Giovanni o Petrozzano, canonico della cattedrale di Como, mentre non risultano altri figli di Corrado e della seconda moglie Tommasina di Ottobuono da Oculo.
La ricostruzione della storia della famiglia dei Corradi-Gonzaga per le generazioni precedenti il G. non è senza dubbi e controversie, dal momento che si tratta di un gruppo familiare radicato fra Mantova e Reggio Emilia che non ebbe sino al pieno Duecento un ruolo eminente nella società cittadina mantovana. I Gonzaga di Mantova derivarono da un gruppo familiare di milites canossiani cresciuti all'ombra del cenobio benedettino di Polirone: per quanto le ricerche più recenti attenuino talune sottovalutazioni del Luzio in merito all'importanza della famiglia - che sembra assai ben radicata già nella prima metà del Duecento sia a Marmirolo, nel distretto mantovano, sia a Gonzaga, nell'orbita di Reggio Emilia - è innegabile che essi non giocarono un ruolo di primo piano nelle lotte cittadine del Duecento mantovano, anche perché ancora oscillanti fra Mantova e Reggio Emilia. La supremazia bonacolsiana sulla città fu per i Gonzaga un evento di importanza capitale: Antonio di Guido, padre di Corrado, approfittò dell'eclisse delle famiglie comitali dei Casaloldo e dei da Marcaria tra il 1272 e il 1279, venendo riammesso in città e appropriandosi di parte dei beni di Marmirolo che aveva perduto nell'esilio da Mantova del 1264. Un'attenta politica matrimoniale e patrimoniale accrebbe considerevolmente la potenza e il prestigio della famiglia nelle zone di tradizionale influenza dei Gonzaga e in città. Al crescente spessore patrimoniale fece eco una progressione politica significativa: la generazione del padre del G. annoverò giudici e membri dell'oligarchia bonacolsiana; Corrado stesso fu presente a partire dai primi anni del Trecento alla stipulazione di buona parte dei principali patti con le città vicine; il fratello di Corrado, Alberto, frate minore, divenne nel 1289 vescovo di Ivrea; un altro fratello, Federico, fu canonico della cattedrale di Mantova.
Poche sono le notizie relative alla vita del G. prima dell'estate del 1328 quando prese il potere sulla città all'età già più che matura di oltre sessant'anni: quel che si può dedurre allo stato attuale degli studi in merito agli antecedenti di un colpo di mano che anche agli occhi dei contemporanei fu un evento sorprendente è che certamente il G. aveva consolidato in profondità la propria posizione in città senza porsi in luce in modo antagonistico rispetto alla famiglia dominante, badando in particolare a costruire le basi patrimoniali di una egemonia di fatto fra le famiglie dell'élite bonacolsiana grazie a un'attenta politica di acquisti e di infeudazioni in città e nel territorio.
Fu podestà a Modena nel 1313 e a Parma tra il 1318 (anno in cui dovette morire il padre Corrado) e il 1319. In questi anni aveva già almeno tre figli maschi, Guido, Filippino e Feltrino, e una femmina, Tommasina. La tradizione li vuole figli di Richilde (figlia di Ramberto Ramberti di Ferrara e di Margherita di Aimerico di Lavellolongo, di famiglia rurale bresciana), ma Daino solleva un dubbio sulla certezza di tale maternità considerando che il testamento di Richilde nel 1319 non nomina nessuno dei quattro, all'epoca già adulti. Daino ipotizza che il G. potesse avere avuto un'altra moglie prima di Richilde, forse quella Caterina di cui si ha un elenco di vesti e gioielli privo di data, senza però chiarire se non appartenesse a Caterina Malatesta, che è tradizionalmente riconosciuta come la seconda moglie di Luigi Gonzaga.
Né il G. né i suoi figli peraltro presero parte in modo consistente agli atti pubblici principali dei primi decenni del XIV secolo: egli sembra salire alla ribalta in modo assoluto soltanto nel 1328, allorché si pose alla testa del colpo di mano che eliminò dalla scena politica mantovana Rainaldo Bonacolsi detto Passerino, vicario imperiale di Mantova, e i suoi discendenti. Il 16 agosto il G. e i suoi figli Guido, Filippino e Feltrino, con il sostegno di contingenti veronesi guidati dal genero del G. Guglielmo di Castelbarco, entrarono in città cogliendo Rainaldo di sorpresa: nell'insurrezione che seguì, il Bonacolsi venne ucciso, il figlio Francesco e i nipoti, catturati, vennero incarcerati nella rocca di Castellaro, dove secondo la tradizione morirono di fame e di stenti.
Sugli antecedenti dell'evento del 16 ag. 1328 l'interpretazione corrente dei contemporanei - oltre a vedervi come causa scatenante le presunte disoneste attenzioni di Franceschino, figlio di Rainaldo verso la moglie di Filippino, figlio del G. - fu pressoché unanime nell'indicare in Cangrande Della Scala il protagonista principale del complotto.
È possibile che le manovre del Bonacolsi, collegatosi a Enrico di Carinzia, ormai nemico dello Scaligero, avessero convinto Cangrande a servirsi del G. per liberarsi dell'antico alleato e a impadronirsi di Mantova: le mire di Cangrande sulla città padana sono confermate dalla concessione imperiale del vicariato mantovano il 29 apr. 1329. Varanini ha peraltro messo recentemente in luce che il diploma di Ludovico il Bavaro concedeva il vicariato a Cangrande "et filiis suis": è possibile dunque che lo Scaligero pensasse a Mantova come appannaggio dei figli illegittimi, laddove i nipoti legittimi, Alberto (II) e Mastino (II), gli sarebbero subentrati nella signoria di Verona, Vicenza e Padova.
In ogni modo, il G. venne eletto capitano della città il 28 ag. 1328 (atto retrodatato al 26) con una formula che, fatta eccezione per il ritorno al titolo di capitano, dal momento che egli sarebbe divenuto vicario imperiale solo l'anno successivo, era una copia letterale della nomina di Botirone e Passerino Bonacolsi, con in più l'attribuzione al G. del diritto di scegliere il proprio successore. La dialettica fra il G., che teneva solidamente il potere in città, e lo Scaligero, che deteneva il vicariato imperiale e cui erano stati formalmente attribuiti i beni bonacolsiani, non sfociò immediatamente in un aperto conflitto: il G. era fra gli invitati alla magna curia che Cangrande indisse a Verona il 26 nov. 1328, dove venne fatto cavaliere. La situazione venne in ogni modo risolta dalla morte di Cangrande il 22 luglio 1329: Mastino (II), succeduto allo zio il 23 luglio, confermò l'alleanza con Mantova il 17 agosto, accettando il potere di fatto esercitato dal Gonzaga. L'11 novembre dello stesso anno quest'ultimo venne nominato vicario imperiale di Mantova da Ludovico il Bavaro, che rientrava in Germania dal viaggio che lo aveva portato ad assumere a Roma la corona imperiale: il G. dovette peraltro aspettare sino al 1354 per ottenere l'attribuzione formale da parte dell'imperatore (allora Carlo IV di Boemia) dei beni bonacolsiani.
Nel precario equilibrio dei poteri fra le signorie padane, il G. confermò nei primi anni del suo vicariato la politica filoscaligera di tradizione bonacolsiana: le manovre di Mastino (II) contro Brescia, posta sotto assedio dagli Scaligeri nel settembre 1330, provocarono però indirettamente l'intervento di Giovanni re di Boemia, chiamato in aiuto dagli intrinseci bresciani. Il G. riconobbe l'autorità del re boemo, che nei primi mesi del 1331 aggregava attorno alla propria bandiera città e signori dell'Italia settentrionale; egli, peraltro, dopo avere confermato l'alleanza scaligera il 16 apr. 1331, fu attivamente accanto a Mastino (II) nel coagulare l'opposizione a Giovanni di Boemia, sfociata nella lega difensiva di Castelbaldo fra Gonzaga, Scaligeri ed Estensi (agosto 1331) cui si unirono nella primavera la Comunità di Firenze, Azzone Visconti, Franchino Rusca e Pietro Tornielli, vicari di Milano, Corno e Novara. Il 16 sett. 1332 lo schieramento antiboemo e antipapale si definiva nella Lega di Ferrara: il coacervo di fedeltà raccolte da Giovanni di Boemia prese a sfaldarsi, e dopo la battaglia di Palazzolo, nell'aprile 1333, la tregua stipulata a Castelnuovo Veronese il 13 luglio 1333 sancì in pratica la fine dell'avventura boema. Nel convegno di Lerici (gennaio 1334) si stabilì formalmente la spartizione fra i membri della lega delle città lombarde già soggette al re di Boemia: fra queste, mentre Parma veniva destinata sulla carta a Mastino (II) e Modena ad Aldobrandino d'Este, Reggio Emilia doveva finire ai Gonzaga. Nel biennio 1334-35 le operazioni di guerra, nonostante il G. stipulasse una tregua con Giberto da Fogliano, vicario imperiale di Reggio Emilia (4 dic. 1334), portarono a una decisa offensiva dei collegati sia contro Parma (arresasi agli Scaligeri il 21 giugno 1335), sia contro Reggio: l'11 luglio 1335 il figlio del G., Guido, entrava in Reggio in nome di Mastino Della Scala e il giorno dopo riceveva dal Consiglio cittadino a nome del padre e dei fratelli la signoria sulla città, con il consenso degli Scaligeri. Iniziava così la dominazione gonzaghesca in Reggio, che si sarebbe conclusa solo nel 1371.
Il G. era dunque, nel 1335, vicario imperiale di Mantova e signore di Reggio Emilia: nel 1332 aveva avuto la soddisfazione di vedersi attribuire a titolo onorifico la cittadinanza veneziana e in questi stessi anni aveva intrapreso con impegno una attenta politica di riavvicinamento alla Curia papale che giunse nel 1354 a ottenere l'assoluzione definitiva dall'interdetto che gravava sulla città dal 1326.
Una congiura di Saraceno e Petrozanne Cremaschi, tra i fideles della prima ora e legati da legami di sangue ai Gonzaga, accusati nel 1338 di avere cospirato per assassinare il G. e i figli d'accordo con Mastino Della Scala e Giberto da Fogliano non ottenne alcun risultato e non pare fosse espressione di un qualche profondo dissenso interno alla società politica mantovana, quanto piuttosto il frutto della convulsa e aggressiva politica estera della dinastia.
Nel febbraio 1340, in una momentanea tregua nei continui conflitti padani, il G. indisse a Mantova una magna curia per festeggiare un quadruplice matrimonio in seno alla famiglia e insieme formalizzare in una cerimonia memorabile il potere raggiunto e consolidato: di fronte al fior fiore dell'aristocrazia dell'Italia settentrionale si festeggiarono con tornei e cerimonie cavalleresche quattro matrimoni familiari: quello dello stesso G. con la terza moglie Franceschina di Azzo Malaspina, quello del figlio Corrado con Margherita di Castellino Beccaria e quelli dei nipoti Ugolino di Guido con Verde Della Scala e di Tommasina di Guido con Azzo da Correggio.
Quanto alla struttura istituzionale e agli equilibri politici interni alla città di Mantova, non sembra che si possa ritenere il primo ventennio di dominazione gonzaghesca, quello più caratterizzato dalla personalità del G., particolarmente dirompente rispetto alla tradizione bonacolsiana: non vi furono infatti epurazioni paragonabili a quelle operate in seno alla classe dirigente comunale dalla presa del potere da parte di Pinamonte Bonacolsi, sessant'anni prima; a parte l'inevitabile emarginazione dei Bonacolsi, dal poco che si riesce a ricostruire del quadro istituzionale urbano non si intravedono trasformazioni significative.
Una valutazione globale dell'esperienza politica del G. si scontra però con il problema, di difficile soluzione allo stato attuale delle ricerche, della comprensione della reale quota di autorità e di potere decisionale esercitata personalmente da lui rispetto all'azione dei figli del primo matrimonio, Guido, Filippino e Feltrino, adulti e attivamente a fianco del padre sin dal 1328. Se si osservano i diplomi imperiali concessi al G., si può notare che i tre figli vennero sistematicamente nominati con il padre almeno a partire dalla concessione del vicariato imperiale su Reggiolo, Quarantola, Mirandola e Luzzara, avvenuta il 20 maggio 1331: le lacune documentarie rendono assai difficile determinare quando i fratelli abbiano preso realmente a gestire in modo autonomo la politica gonzaghesca, considerato che i primi carteggi sistematicamente conservati risalgono al 1340. Le fonti cronachistiche coeve peraltro, quando non annotano le azioni personali di uno dei figli del G., parlano genericamente sin dai primi anni Trenta dei "domini de Gonzaga", a testimonianza della collegialità del potere esercitato dal G. e dai figli ribadita il 6 marzo 1349 da Carlo IV con la concessione ai quattro Gonzaga del vicariato imperiale su Mantova, Reggio Emilia e una lunga serie di Comuni rurali del Reggiano, del Cremonese e del Bresciano.
Nei diplomi concessi da Carlo IV durante il suo soggiorno a Mantova nel novembre 1354 però per la prima volta il nome del G. venne meno: i diplomi vennero destinati ai soli Guido, Filippino e Feltrino, cui venne aggiunto Ugolino di Guido nel 1359, dopo la morte di Filippino nel 1356. Il peso del G. nelle scelte e nella condotta dei figli attraverso il succedersi dei conflitti con gli Scaligeri e con i Visconti e gli eventi scatenati dalla discesa dell'imperatore Carlo IV tra il 1354 e il 1355 sembra farsi meno incisivo, anche se l'esplodere dei sanguinosi e durissimi contrasti fra i diversi rami della famiglia che avrebbero caratterizzato gli anni Sessanta del secolo iniziò a manifestarsi solo negli ultimi anni della sua vita, prova del perdurare del suo ruolo egemone sui figli e sui nipoti praticamente sino all'ultimo. Tale peso iniziò a venire meno probabilmente allorché, dopo la morte di Filippino nel 1356, Ugolino, primogenito di Guido, venne assumendo una posizione dominante nei confronti sia del padre Guido, sia dello zio Feltrino e dei suoi figli, sempre più autonomi e legati al contesto reggiano. Gigliola Gonzaga, erede di Filippino e vedova di Matteo Visconti, descriveva il G. nel 1359 come "non abilis ad dictis filiis suis resistendum" allorché Guido e Feltrino nel 1357 l'avevano costretta a rinunciare all'eredità paterna a loro favore (Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 337, 17 maggio 1359).
Il G. morì il 18 genn. 1360: dal suo testamento, redatto il 20 maggio 1359, sappiamo che vivevano i figli Guido, Feltrino, Federico, Alberto, Azzone, Giacomo, Giovanni e Marco (questi ultimi quattro detti figli di Franceschina Malaspina, già defunta), e che erano premorti al padre Filippino e Corrado; il solo Bartolomeo risulta naturale; tra le figlie legittime, Tommasina e Lisina erano sposate rispettivamente a Guglielmo di Castelbarco e a Nicolò Fieschi, Damisella e Orietta erano ancora nubili (Damisella avrebbe sposato nel 1369 Alidosio di Roberto Alidosi da Imola); Costanza, naturale, era sposata a Mozinio Bocchi di Brescia.
Il suo corpo venne seppellito nella cattedrale di S. Pietro, dove vennero sepolti anche i figli Filippino e Azzone e il nipote Ugolino, prima che Guido inaugurasse, con la propria arca, l'uso successivo per i Gonzaga di farsi seppellire nella chiesa di S. Francesco.
Fonti e Bibl.: Si indicano qui soltanto gli atti di particolare rilievo per la ricostruzione della biografia del G.; per gli atti di governo e le fonti relative al periodo della sua signoria cfr. P. Torelli, L'Archivio Gonzaga di Mantova, I, Mantova 1920; II, A. Luzio, La corrispondenza familiare, amministrativa e diplomatica dei Gonzaga, ibid. 1922. Per le fonti narrative si citano solo le pagine in cui il G. compare da solo, sottintendendo che vada controllata ad indicem la voce domini de Gonzaga. Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, bb. 1-3, 17, 19, 79, 196, 215, 227-231, 245-248 (f. 2, 19, 20, 22, 84), 328, 335, 337, 385, 393 (f. 23), 409A, 416.I: G. Daino, De origine et genealogia ill. domus dominorum de Gonzaga, 833, 1301, 1848, 2882.1, 3136, 3350, 3451; Fondo D'Arco, 57: G. Daino, Series chronologica capitaneorum, marchionum ac ducum Mantuae usque ad annum 1550; Parisius de Cereta, Chronicon Veronense…, in L.A. Muratori, Rer. Ital. 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