GODARD, Luigi
Nacque a Senglea (Malta) il 19 genn. 1740, da Giovanni e Francesca Rossi. I contemporanei e la maggior parte dei biografi lo ritennero nativo di Ancona, dove trascorse l'infanzia salvo un periodo di studi nel collegio scolopio di Urbino e dove, nel dicembre 1757, divenne novizio di quell'Ordine. Pronunciati i voti solenni il 7 genn. 1759, si trasferì a Roma, dove completò il corso di studi prima presso il collegio Nazareno e poi, dal 1760 al 1762, nella casa generalizia. Qui conobbe il p. O. Corsini, che avrebbe avuto una notevole influenza sulla sua formazione. Fu poi inviato a insegnare retorica nel collegio di Capodistria, dove fu ordinato sacerdote e rimase, salvo forse un breve periodo a Murano, fino al 1767, quando fu trasferito ad Albano e successivamente a Rieti. Dal marzo 1769, tornato a Roma, insegnò nel collegio Nazareno, passando poi nel Calasanzio; fra i suoi allievi vi furono M.A. Monti e G. Fantoni.
Nel maggio 1772 passò a insegnare eloquenza nell'Università di Malta, su richiesta del gran maestro E. Pinto. L'anno successivo, morto quest'ultimo, l'Università venne chiusa e il G. tornò in Italia, dove in seguito alla soppressione della Compagnia di Gesù Clemente XIV gli affidò la cattedra di eloquenza nel Collegio romano. Al soggiorno maltese risalgono una Vision di Polinnia (Malta 1773) e un'orazione in lode del Pinto, che sono fra le prime stampe di G. insieme con tre orazioni latine pronunciate da studente e alcuni componimenti anonimi pubblicati a Rieti e a Roma, fra cui il poema La felicitàdei popoli, scritto in occasione dell'elezione di Clemente XIV (Roma 1769).
In questo periodo dovette maturare la decisione di abbandonare la vita religiosa. Nel settembre 1773 era ancora scolopio, ma già nel gennaio successivo è indicato come abate nei verbali dell'Accademia dell'Arcadia, nella quale aveva fatto il suo ingresso nell'agosto 1769 col nome di Cimante Micenio e dal 1772 faceva parte del Collegio dei dodici.
Già in precedenza era stato legato a C.I. Frugoni, del quale si disse poi allievo, condividendone la tensione a un rinnovamento del linguaggio poetico, coniugata con l'apertura nei confronti del gusto e delle idee illuministiche, un vivo interesse per la produzione straniera e il recupero del magistero dantesco. Dopo il rientro a Roma fu uno fra i principali collaboratori del nuovo custode generale, G. Pizzi, nel tentativo di riformare l'Arcadia in direzione d'una rottura con la tradizione idillico-pastorale, di apertura al gusto neoclassico e di una maggiore attenzione alla cultura filosofico-scientifica contemporanea, che trovava in G.C. Amaduzzi il principale e più risoluto ispiratore. L'Amaduzzi non fu estraneo alla redazione del discorso di L. Gonzaga, Il letterato buon cittadino, letto in Arcadia il 6 maggio 1776 ma già pubblicato alcuni mesi prima con un'introduzione di Pizzi e ampie note del Godard. Del discorso, che valorizzava la funzione civile dell'intellettuale nel contesto di un'esaltazione del "secolo" filosofico, decisa quanto rispettosa dell'ordine politico-religioso, il G. sottolineò e amplificò l'affermazione, cara all'Aufklärung cattolica, del contributo che la filosofia moderna, lungi dal condurre all'ateismo, offriva al benessere della società e alla stessa religione. In più punti, inoltre, espose le sue idee sulla letteratura, criticando i sistemi educativi italiani, elogiando l'Arcadia e proponendo un modello di poesia libero da pedanterie retoriche. In particolare, sulle note del G. si appuntarono gli strali di G. Baretti, che censurò anche il suo poemetto L'ombra di Pope (edito unitamente al saggio del Gonzaga). Nell'estate dello stesso anno il G. prese le difese di Corilla Olimpica (Maria Maddalena Morelli), l'improvvisatrice legata al Gonzaga, la cui incoronazione, "celebrazione della poesia fiorita dall'entusiasmo e dall'estro" (Dionisotti, p. 106) divise l'Arcadia, assumendo anche valenze politiche antigesuitiche. Nel Ragionamento pronunciato in occasione dell'incoronazione riprese il motivo dell'entusiasmo come facoltà da cui scaturisce l'ispirazione poetica, già sviluppato da S. Bettinelli, mediandolo però con una riproposizione della concezione edonistico-didascalica della tradizione arcadica, in cui innestò anche la preferenza per i contenuti filosofico-scientifici.
Forse per sottrarsi alle polemiche, ma anche per rinsaldare i rapporti fra l'Arcadia romana e le colonie, il G. lasciò Roma per alcuni mesi recandosi in Toscana e a Bologna. Al ritorno, il 28 ag. 1778, lesse in Arcadia un componimento in ottava rima dal titolo La novità poetica, pubblicato nello stesso anno a Roma.
L'opera era una sorta di manifesto della nuova Arcadia del Pizzi. Vi si celebrava la Novità, musa - insieme con la Meraviglia, liberata dagli eccessi del marinismo e riportata al modello ariostesco - d'una poesia che rifiuta le frivolezze dell'ispirazione pastorale, secondo l'esempio del Frugoni e di S. Maffei, P. Metastasio e molti stranieri (primo fra i quali W. Shakespeare) e trae ispirazione dalle verità delle scienze. Il riferimento a Metastasio non nascondeva una presa di distanza del G. dalla facilità del suo poetare, che si sarebbe palesata nell'ode Sulla tragedia (apparsa nel 1780 nel vol. XIII delle Rime degli Arcadi), dedicata a I. Pindemonte, tentativo di porre l'Arcadia al centro del rinnovamento del teatro italiano. L'aspirazione a un moderato rinnovamento fu la cifra dell'attività del G. durante il custodiato Pizzi: fra l'altro salutò con soddisfazione l'ascrizione fra i pastori di V. Alfieri, si adoperò per quella di G. Parini, prese inizialmente posizione a favore delle critiche alla tradizione letteraria italiana avanzate dell'irlandese M. Sherlock (nel Consiglio ad un giovane poeta, 1779, al quale contribuì con un elogio dell'autore e una traduzione di J. Dryden), salvo poi prenderne le distanze.
Fu questa la stagione più feconda della sua produzione poetica. In alcuni dei suoi componimenti, in parte confluiti nei volumi XIII e XIV delle Rime degli Arcadi (Roma 1780-81), si ritrovano i principî espressi nella Novità poetica: la rappresentazione della creazione del mondo di Raffaello lo portò a descrivere lo spettacolo della natura; in un'altra ode, rivendicando la novità del suo "intentato arduo cammino", si ispirò a un "ragionamento sopra i fenomeni delle conchiglie fossili" del padre F. Jacquier, del quale nel 1788 commemorò la scomparsa con un poemetto in versi sciolti d'ispirazione newtoniana.
Nel 1783 il G. fu nominato procustode d'Arcadia. In tale occasione raggiunse l'apice la sua rivalità con V. Monti, che ambiva alla stessa carica. Il loro conflitto peraltro risaliva ai primi anni del soggiorno romano del Monti, che fin dal 1779 in lettere a C. Vannetti esprimeva il suo fastidio nei confronti del G., attribuendo la loro rivalità alla gelosia di quest'ultimo per la sua popolarità. La polemica con Monti contribuì ad avvicinare il G. ad A. Mazza e M. Cesarotti. Dal 1783 fu in rapporto epistolare col secondo, che in un viaggio a Roma aveva visitato l'Arcadia; in seguito assunse le difese della sua traduzione dell'Iliade, criticata dallo stesso Monti, e del suo Saggio sull'origine delle lingue. Morto il Pizzi, il 25 nov. 1790 fu eletto custode generale dell'Arcadia, anche se i contrasti ancora presenti nell'accademia per le vicende dello scisma corilliano valsero al suo avversario, G. Petrosellini, il voto di 36 membri, cui va aggiunto quello di F. Cancellieri, assente alla votazione. Il G. lasciò il Collegio romano e l'incarico di segretario degli avvocati concistoriali. L'anno stesso diresse le celebrazioni per l'anno secolare di Arcadia. Durante il suo custodiato si attenuarono i fermenti che avevano caratterizzato il quindicennio precedente, a causa di eventi quali la morte di Pizzi e Amaduzzi (1792) e il trasferimento del Gonzaga in Francia, che privarono l'Arcadia dei maggiori sostenitori del rinnovamento, e il mutato clima politico seguito alla Rivoluzione francese. D'altro canto il G., se aveva condiviso con Pizzi l'impulso ad aprire l'Arcadia verso le nuove sollecitazioni della cultura europea, ne condivideva anche le remore a recepire fino in fondo le nuove esperienze culturali. L'aspetto più noto e studiato del suo lungo custodiato è l'atteggiamento nei confronti dei grandi sconvolgimenti politici che investirono Roma, portando alla caduta del governo pontificio e alla creazione della Repubblica Romana sotto il controllo francese (1798-99) e poi, dopo un breve periodo di restaurazione, all'annessione della città all'Impero napoleonico (1809-14).
Il 19 febbr. 1798 il governo provvisorio invitò il G. a indire un'adunanza per celebrare la Repubblica; in seguito egli affermò di avere prima avuto l'approvazione del cardinale vicario G.M. della Somaglia. Nei mesi successivi continuò a presiedere l'Arcadia, al cui interno orientamenti filorepubblicani, come quello di G.G. De Rossi, per un periodo ministro dell'interno, convissero con altri più tradizionalisti o velatamente antifrancesi, e intervenne all'Accademia Esquilina, nata nel 1795 per iniziativa dei fratelli F. ed E. Caetani, che nel dicembre 1798 si dotò d'uno statuto improntato a principî democratici. La celebrazione, secondo la tradizione dell'Arcadia, della ricorrenza del Natale valse al G. un aspro rimprovero da parte del ministro di Giustizia e Polizia, G. Martelli. La sua nomina al tribunato, una delle due Camere del Parlamento della Repubblica, avvenuta nel marzo 1799 in occasione del rinnovo parziale dei consigli, più che testimoniare una sua posizione filorepubblicana sembra inserirsi nella politica moderata dell'ambasciatore francese A.R.C. Bertolio. Caduta la Repubblica, il G. diresse l'adunanza che celebrò la liberazione di Roma e nel 1814, al termine dell'occupazione napoleonica, quella per il ritorno di Pio VII. Negli anni napoleonici ebbe corso il tentativo di restituire lustro all'accademia, che in una Roma imperiale investita dell'immagine e della funzione di "centro di formazione dei letterati e propagazione delle arti" secondo il modello neoclassico (Palazzolo, p. 181) ebbe il compito di indirizzare gli sviluppi della lingua e della letteratura italiana. La volontà del governo francese di riportare l'Accademia ai fasti originari si manifestò già in un decreto del 22 luglio 1809, con cui la neonata Consulta straordinaria per gli Stati romani ordinò il restauro del Bosco Parrasio, sotto la direzione di una commissione di cui lo stesso G. fu chiamato a far parte insieme con altri esponenti di rilievo: A. Chigi, A. Isaia e G. Alborghetti. Il successivo decreto del 10 ag. 1809 preannunciò una nuova organizzazione dell'Accademia, promulgata nel dicembre dell'anno successivo. In qualità di custode il G. presiedette le numerose manifestazioni in cui essa fu chiamata a celebrare i fasti dell'Impero.
Restaurato il governo pontificio, l'Arcadia stentò a ritrovare una collocazione nel panorama culturale romano, e la sua attività risultò alquanto ridotta. Gli avvenimenti più significativi furono le celebrazioni in memoria dei pastori illustri scomparsi, fra i quali A. Verri, legato al G. da una lunga amicizia, e le visite di esponenti delle casate regnanti che venivano ascritti all'Accademia, come, il 1° maggio 1819, l'imperatore Francesco I. Al di là della presenza a queste cerimonie si hanno poche notizie dell'attività del G.; dopo la sua morte, A. Chigi ne ricordò l'impegno per il ristabilimento delle colonie e per ottenere un provvedimento di Pio VII che conservò all'Accademia la sua sede. È probabile che perdurassero le sue ristrettezze economiche, già testimoniate nel 1805, in una lettera a Monti di m.me de Staël, che nella visita a Roma durante la quale era stata acclamata in Arcadia si era adoperata per ottenergli una pensione dal governo pontificio.
Nel 1823 vide le stampe a Roma presso l'editore Salvucci la raccolta delle Poesie di Cimante Micenio. Vi figurava, talora con modifiche, gran parte della produzione poetica del G. oltre a numerose versioni di odi oraziane, cui attendeva almeno dal 1787. Malato, e da diversi anni cieco di un occhio, morì il 13 marzo 1824. Fu sepolto nella chiesa di S. Nicola in Arcione; fu commemorato in Arcadia e in un'ode di G. Ventimiglia, dedicata al Cancellieri.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. della Curia generalizia dei padri scolopi, Reg. rel. 81, p. 357; 82, p. 77 (professione solenne); Reg. gen. 179, pp. 2, 15, 109; 214, pp. 1, 43 (carteggio da Malta con il generale dell'Ordine); Ibid., Bibl. Angelica, Archivio dell'Arcadia: Cataloghi dei pastori, b. 7, c. 81v; Atti, bb. 5-7; Mss. 33, c. 287 (altra documentazione relativa al G. è probabilmente conservata nelle sezioni attualmente non consultabili dell'Archivio); Diario di Roma, n. 22, 17 marzo 1824; G. Ventimiglia, In morte diL.G. custode di Arcadia. Cantica, Roma 1824; A. Chigi, Ragionamento, in Adunanza tenuta dagli Arcadi nella sala del seratojo il dì 23 sett. 1824 in lode del defunto Cimante Micenio, abate L. G., sesto custode generaled'Arcadia, Roma 1825, pp. III-XIX; G.F. Rambelli, in Biografiadegli italiani illustri, a cura di E. De Tipaldo, VI, Venezia 1838, pp. 126-128; Lettere di vari illustri italiani e stranieri del secolo XVIII e XIX a' loro amici e de' massimi scienziati e letterati nazionali e stranieri al celebre abate Lazzaro Spallanzani e moltesue risposte aimedesimi, I, Reggio 1841, pp. 170-194 (14 lettere di M. Cesarotti al G.); V. Forcella, Iscrizioni dellechiese e d'altri edifici di Roma, IX, Roma 1877, p. 448; L. Vicchi, Vincenzo Monti, le lettere e la politica in Italia dal 1750 al 1830, I, Fusignano 1885, pp. 269-272, 295, 299, 305, 309, 329, 331; II, Faenza-Fusignano 1883, pp. 218, 442, 479, 502; III, Faenza 1879, pp. 21, 30; IV, Fusignano 1887, pp. 14 s., 98; G. Biroccini, Storia dell'Arcadia, in L'Arcadia, I (1889), p. 680; II (1890), pp. 48, 106 s.; E. Portal, L'Arcadia, Bologna 1912, pp. 76-79; G. Baretti, Scelta di lettere familiari, Bari 1912, pp. 262-264; C. Calcaterra, Storia della poesia frugoniana, Genova 1920, pp. 374, 376 s., 380, 384; M. Maylander, Storia delle accademie d'Italia, I, Bologna 1926, pp. 272, 280 s.; D. Spadoni, L. G. el'Arcadia giacobina e napoleonica, in Per il II° centenario di Giovan Mario Crescimbeni…, Macerata 1928, pp. 31-46; V. Monti, Epistolario, a cura di A. Bertoldi, Firenze 1928-31, I, pp. 60-62, 79, 109 s.; II, pp. 381, 403, 415 s.; VI, pp. 422 s.; L. Picanyol, L'antico collegio Calasanzio, in Rass. di storia e bibliografia scolopica, II (1937), pp. 21, 23 s., 26, 31; Id., Intorno ai saggi letterari e scientifici dell'antico collegio Calasanziodi Roma, ibid., p. 52; Id., Le orazioni "De Christi resurgentis gloria" del collegio Nazareno, ibid., V (1939), p. 48; Id., Miscellanee scolopiche diS. Pantaleo, ibid., XV (1950), p. 54; XVI (1950), pp. 54, 56, 70; Id., La biblioteca scolopica di S. Pantaleoa Roma, ibid., XIX-XX (1952), p. 102; XXI-XXIII (1955), pp. 68, 161; G. Natali, Il Settecento, Milano 1947, ad indicem; C. Dionisotti, Ricordo di CimanteMicenio, in Atti e memorie dell'Arcadia, s. 3, I (1948), 3-4, pp. 94-121; A. Cipriani, Contributo per una storia politica dell'Arcadia settecentesca, ibid., s. 3, V (1971), 2-3, pp. 103 s., 137 s., 148-151, 166; L. Felici, L'Arcadia romanatra Illuminismo e Neoclassicismo, ibid., pp. 174-176, 179; N. de la Blanchardière, Un concours littéraire audébut du XIXe siècle: P.-L. Courier et l'Arcadie(d'après des documents inédits), in Cahiers P.-L. Courier, novembre 1973, pp. 5-16; G. Falcone, Politica e letteratura della seconda Arcadia, in La Rass. della letteratura italiana, LXXX (1976), 1-2, pp. 92-102; Id., L'aspirazione al teatro tragiconell'Arcadia romana degli anni 1770-1780, in Studiromani, XXVI (1978), 4, pp. 517-520; Gli Arcadi dal 1690 al 1800. Onomasticon, a cura di A.M. Giorgetti Vichi, Roma 1977, p. 53; M.T. Acquaro Graziosi, L'Arcadia, Roma 1991, pp. 36 s., 46-58, 84, 86; A. Vergelli, Letteratura e costume in Arcadia attraverso l'epistolario di Gioacchino Pizzi(1772-1790), in Roma moderna e contemporanea, I (1993), 3, pp. 156-158, 161-164, 172; M.I. Palazzolo, L'Arcadia romana nel periodonapoleonico (1809-1814), ibid., pp. 175-188; M. Battaglini, La Accademia Esquilina: aspetti della vita culturale nellaRepubblica Romana del 1798, in Rass. stor. del Risorgimento, LXXXIV (1997), 3, p. 324; M. Caffiero, Le "Efemeridi letterarie" di Roma (1772-1798). Reti intellettuali, evoluzione professionale e apprendistato politico, in Dall'erudizione alla politica. Giornali, giornalisti ed editori a Roma tra XVII e XX secolo, a cura di M. Caffiero - G. Monsagrati, Milano 1997, pp. 80-82; M.P. Donato, Accademie romane. Unastoria sociale, Napoli 2000, ad indicem; Id., I repubblicani. Per un profilo sociale e politico, in D. Armando - M. Cattaneo - M.P. Donato, Una rivoluzione difficile. La Repubblica Romana del 1798-1799, Pisa-Roma 2000, p. 148; Diz. encicl.della letteratura italiana, III, p. 152; Diccionario enciclopedico escolapio, II, 1983, sub voce.