GARZI, Luigi
Nacque a Pistoia nel 1638; nella città natale frequentò contemporaneamente la scuola di grammatica e quella di disegno, finché decise di dedicarsi esclusivamente a quest'ultima attività.
Giovanissimo si recò quindi a Roma dove, fino a quindici anni, apprese i primi rudimenti dell'arte presso "Salomon Boccali pittor di paesi" (Pascoli, p. 682). Passò quindi alla scuola di Andrea Sacchi i cui insegnamenti contribuirono a indirizzarlo verso il classicismo; quest'ultimo in particolare gli consigliò lo studio delle opere di Raffaello, del Domenichino (Domenico Zampieri) e di N. Poussin. Il G. guardò con interesse altri pittori classicisti emiliani, come G. Reni, e predilesse soprattutto G. Lanfranco; egli fu però influenzato in maniera determinante da Carlo Maratta, "tanto che lo si può considerare un parallelo minore all'azione svolta da quest'ultimo, ma con interessanti divergenze e anticipazioni presettecentesche" (Sestieri, 1994, p. 75).
Nel maggio 1664 partecipò al concorso che si teneva presso l'Accademia di S. Luca; gareggiò per la classe di pittura, ottenendo il secondo premio (I disegni di figura, pp. 25, 29). Quell'anno era principe dell'Accademia Maratta e la prova del non più giovanissimo G. (un disegno a sanguigna e gessetto raffigurante il Sacrificio di Numa Pompilio, rubato dalla collezione dell'Accademia, ma noto da fotografie) si adegua perfettamente allo spirito classicista dominante nella prestigiosa istituzione durante tutto il sesto decennio del Seicento.
Nel 1670 il G. diventò accademico di S. Luca, nel 1680 fu reggente della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon e infine, a coronamento ufficiale della sua carriera, nel 1682 venne nominato principe dell'Accademia di S. Luca (Missirini).
Quasi in contrasto con la rapida affermazione artistica va sottolineato che l'attività giovanile del G. è ancora in gran parte sconosciuta. Tra le cose certamente giovanili vanno ricordate quattro tele, copie degli Evangelisti del Domenichino in S. Andrea della Valle a Roma, (Sestieri, 1984, p. 755); i dipinti sono da considerarsi un ossequioso omaggio del giovane artista a uno dei suoi maestri ideali.
Tra le sue prime opere pubbliche romane vanno citate le due Storie di s. Filippo Benizi, nel convento di S. Marcello, datate 1671, e la pala raffigurante Ognissanti, conservata nella chiesa di S. Caterina a Magnanapoli, eseguita prima del 1674. Nelle Storie di s. Filippo Benizi, accanto a elementi di derivazione poussiniana e domenichiana, si evidenzia soprattutto l'influenza di Sacchi e del conterraneo L. Gimignani, anche lui allievo del maestro romano; la pala, invece, sembra risentire maggiormente della riflessione sui modelli dei pittori emiliani, in particolar modo su Lanfranco.
Al 1671-72 risale la partecipazione del G., insieme con Filippo Lauri e Gaspard Dughet, alla decorazione dei mezzanini di palazzo Borghese; il G. vi affrescò Le nozze di Arianna e L'allegoria della Fecondità. Del 1675 circa è la pala raffigurante Costantino e papa Silvestro, conservata in S. Croce in Gerusalemme, in cui si fanno più evidenti la funzione moderatrice e gli stilemi classicisti derivanti da una maggiore attenzione ai modi di Maratta.
Sempre nel 1671 aveva intanto iniziato a lavorare con l'équipe, coordinata probabilmente da Giacinto Brandi, impegnata nella decorazione pittorica delle navate e del deambulatorio della chiesa di S. Carlo al Corso. Il G. eseguì (entro il 1681) due affreschi: il primo raffigurante La Fede e la Purezza, e l'altro, di maggiore ampiezza, in un ovale sopra la volta del santuario dietro l'altare maggiore con una Gloria di angeli (il bozzetto dell'affresco è conservato a Roma presso l'Accademia di S. Luca: Sestieri, 1972, p. 93). Anche in queste opere sono evidenti gli influssi dei pittori emiliani, il Domenichino e Reni in particolare, ma soprattutto Lanfranco attivo nella chiesa romana di S. Andrea della Valle; non vanno poi assolutamente sottovalutati né Gimignani, né Brandi, entrambi partecipi dello stesso clima culturale classicheggiante all'interno del quale anche il G. aveva ormai acquisito una posizione di tutto rilievo.
Nel 1686 nella decorazione della cupola della cappella Cibo a S. Maria del Popolo, dove affrescò la Gloria di Dio, il G. fece tesoro di analoghe soluzioni compositive proposte precedentemente sia da Lanfranco, sia da Pietro Berrettini da Cortona, ma ne attenuò la drammaticità e il dinamismo. In altri lavori coevi in S. Maria in Campo Marzio (S. Gregorio Nazianzeno, circa 1686-87) e nella cappella Montioni in S. Maria di Montesanto (Visione di s. Francesco, circa 1686-87) è più evidente la matrice marattesca nell'impaginazione compositiva classicista delle tele.
Durante gli anni Novanta del Seicento il G. fu attivo sia a Roma, dove lavorò a S. Silvestro in Capite (1695-96), sia a Napoli, dove eseguì un'Estasi di s. Caterina, nella chiesa di S. Caterina a Formiello, caratterizzata da un senso di grande vivacità derivato dalla disposizione su piani diversi delle figure di ridotte dimensioni (circa 1696). Pascoli (pp. 685 s.), che fa risalire l'universale reputazione del G. all'attività napoletana (1696-98), ricorda altre decorazioni, oggi perdute, eseguite nella città partenopea: nella galleria del principe di Cellamare (famiglia Del Giudice), in palazzo reale e in S. Carlo all'Arena.
All'inizio del XVIII secolo, tornato nuovamente a Roma, il G. continuò a lavorare senza sosta, e il suo intervento venne ancora richiesto per le principali decorazioni dell'epoca. Verso il 1701 realizzò tre affreschi nella chiesa di S. Paolo alla Regola; nel 1710 dipinse la tela raffigurante Cristo morto, l'Eterno e i ss. Venanzio e Ansuino per l'altare maggiore della chiesa dei Camerinesi (l'edificio fu distrutto nel 1929-30 e da allora il dipinto è conservato presso l'oratorio del Gonfalone: Casale, 1982, pp. 747-750); tra il 1711 e il 1712 affrescò la cupola e i pennacchi della cappella di S. Giuseppe, restaurata dal cardinale G. Sacripante, in S. Ignazio con Storie di s. Giuseppe. Tra il 1712 e il 1714 dipinse la tela raffigurante Venere nella fucina di Vulcano facente parte del ciclo virgiliano del palazzo Bonaccorsi a Macerata.
Il dipinto e il relativo splendido bozzetto (Roma, collezione Lemme), che sembra denunciare una conoscenza diretta delle opere di Luca Giordano (Sestieri, 1984, pp. 759 s.), furono attribuiti da Miller (1963; 1964) prima a Paolo De Matteis, poi al Garzi.
L'iconografia dell'affresco eseguito nella chiesa di S. Caterina a Formiello fu riproposta dal G., con poche varianti, ma con effetti di moto più controllato, nel 1713 sul soffitto di S. Caterina a Magnanapoli.
L'opera, considerata il suo capolavoro per la calibrata struttura compositiva, per l'accurata esecuzione e per l'omogenea gamma cromatica, costituisce una valida e originale trasposizione su vaste superfici di idee marattesche e un vitale raccordo tra le decorazioni romane dei secoli XVII e XVIII (Sestieri, 1994, p. 75).
Il G., nonostante l'età avanzata, partecipò ancora ai due più importanti cicli decorativi del primo Settecento romano: la serie dei dodici profeti per la navata centrale di S. Giovanni in Laterano e la decorazione del palazzo De Carolis.
Il profeta Gioele, terminato nel 1718, grazie alla pacata compostezza e alla salda volumetria, non sfigura accanto alle opere di alcuni degli artisti più importanti del secondo decennio del Settecento. Del dipinto esistono anche il bozzetto (Roma, Galleria nazionale d'arte antica) e il cartone per l'affresco (Pinacoteca Vaticana).
Per il palazzo di Livio De Carolis (oggi proprietà della Banca di Roma), verso il 1720, il G. dipinse la grande tela raffigurante Apollo guida il carro del Sole. Il dipinto, che entro un linguaggio classicista utilizza a pieno gli espedienti della scenografia barocca, si ispira senza dubbio all'affresco di Reni nel casino Pallavicini e all'opera di G.F. Barbieri (detto il Guercino) nel casino Ludovisi, ma il G. ebbe ben presente anche l'affresco, di soggetto analogo, dipinto da G. Chiari in palazzo Barberini (circa 1680).
Negli stessi anni (forse nel 1717) il G. lavorava a S. Maria degli Angeli dove, sulla volta della cappella dell'Epifania, realizzò la Gloria di s. Brunone. Tra il 1720 e i primi mesi del 1721, nonostante fosse ormai malato, iniziò e portò a termine la Gloria di s. Francesco sulla volta della chiesa di S. Francesco alle Stimmate.
Il G. fu anche un apprezzato interprete di tele da cavalletto raffiguranti soggetti storici, mitologici e anche religiosi; sue opere sono citate in elenchi e inventari settecenteschi e ottocenteschi (Rybko, pp. 731 s.). Notevolissimi Apollo e Dafne e il suo pendantVenere e Adone (collezione della Banca di Roma), risalenti al secondo decennio del Settecento (Sestieri, 1984, p. 759; Bacchi, p. 59). Vi si afferma un indirizzo francesizzante, con particolare interesse verso Poussin; l'usuale aulicità di tali tematiche è stemperata con grazia presettecentesca, anticipando analoghi ma ben posteriori risultati di Agostino Masucci, P. Costanzi e F. Fernandi (detto l'Imperiali).
Il G. morì a Roma il 2 apr. 1721; le esequie si svolsero nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina (Pascoli, p. 685).
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