GALLUCCI, Luigi (Elisio Calenzio)
Il vero nome del G. sembra essere Elisio Calenzio, ossia il nome che da alcuni biografi era stato considerato uno pseudonimo o un nome accademico.
Come "Lisio Calenza", infatti, il G. sottoscrive un documento nel 1491, e nel suo testamento si trova più volte ripetuto "Calentium nomen"; inoltre il cognome Calenzo è attestato nella zona di cui il G. era originario. Secondo A. De Santis, che ha dedicato un intero saggio alla questione del cognome del G., "si deve dunque ritenere che Calenzio non sia un nome accademico, ma il vero cognome, latinizzato, mentre accademico sarà il "Gallutius" del Pontano, detto così o per la probabile origine della famiglia Calenzio da Galluccio o per i beni ch'essa possedeva in quella terra" (p. 33).
Il G. nacque a Fratte, l'odierna Ausonia in Terra di Lavoro, nel 1430. La data di nascita si ricava dal testamento, redatto nell'ottobre 1474, nel quale egli afferma di avere 44 anni, mentre il luogo di nascita, dopo una iniziale confusione dei primi biografi che lo indicarono nel castello di Anfratta, in Puglia, è accertato che sia stato Fratte. Ricevette la prima istruzione dal padre, alla morte del quale, secondo quanto egli stesso ci ha tramandato in una poesia inviata a Giovanni Pontano, si trasferì a Roma. Di questo primo soggiorno romano non restano altre testimonianze, cosicché non si sa con precisione quali studi abbia intrapreso. Successivamente, forse agli inizi degli anni '50 del XV secolo, si spostò a Napoli, dove proprio allora si stavano ripristinando le attività dello Studio. Qui il G. compì probabilmente gli studi giuridici e cominciò a frequentare l'ambiente culturale della corte di Alfonso d'Aragona che gravitava intorno ad A. Beccadelli, il Panormita. Verso i vent'anni, probabilmente nel 1448, in soli sette giorni, scrisse il Croacus, o De bello ranarum, poemetto eroicomico in esametri latini composto a imitazione della Batracomiomachia attribuita a Omero, che il G. rielaborò alcuni decenni più tardi.
Della sua attività di studioso, di poeta e di accademico pontaniano, e in particolare dei rapporti che ebbe con il Panormita e col Pontano, abbiamo diverse testimonianze. Del G. resta una lettera inedita al Panormita (Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 3372, c. 90v) e un epitaffio composto in occasione della morte di quest'ultimo, avvenuta nel 1471, stampato con gli Epistolarum libri V del Panormita (Venetiis 1553, c. 135v).
G. Resta ha anche avanzato l'ipotesi che il ms. vaticano Barb. lat. 2069 contenente poesie e prose del Panormita, sia appartenuto, e forse addirittura sia stato trascritto, dal Gallucci. Più significative le relazioni con il Pontano, che inserisce il G., con il nome "Elisius Gallutius", fra gli interlocutori del dialogo Antonius, scritto intorno al 1488, ma ambientato subito dopo la morte del Panormita. Nel dialogo al G. viene affidato l'importante compito di difendere Virgilio, grazie alla fama che aveva acquisito presso l'ambiente pontaniano con le sue opere, dalle quali risultava la grande conoscenza maturata di Virgilio. Nell'Aegidius il Pontano dedica al G. un compianto funebre, frutto di una rielaborazione del dialogo, che era stato scritto quando il G. era ancora in vita. Al G. sono inoltre dedicati dal Pontano il De Camino monte et musarum latebris, X carme del Parthenopei liber secundus, e due componimenti degli Hendecasyllabi: Laetatur de reditu Francisci Aelii, X del libro primo, e Ad Elisium Gallutium, II del libro secondo. Al Pontano sono dedicati alcuni versi del Gallucci.
Tra il 1463 e il 1464 il G. entrò al servizio della casata aragonese: in due lettere del suo epistolario si ha testimonianza di una missione compiuta per conto del re Ferdinando presso Anna Colonna, dopo la morte del marito, il potente principe di Taranto e Altamura Antonio Orsini, avversario di Ferdinando nella guerra contro i baroni. Il compito principale svolto dal G. fu quello di precettore e, successivamente, di segretario e tesoriere del figlio del re Ferdinando, Federico, che il padre aveva nominato luogotenente generale del Regno nelle Puglie e principe di Squillace. Nel 1465 il G. accompagnò a Milano il tredicenne principe Federico che vi si era recato per condurre a Napoli Ippolita Sforza, sposa di Alfonso duca di Calabria. A questo matrimonio il G. dedicò un epitalamio, In divam Ippolitam et Brutiorum ducem, anch'esso successivamente raccolto negli Opuscola. Durante questo viaggio il G. fu testimone del conferimento della Rosa d'oro a Federico da parte di papa Paolo II.
Ai primi anni di permanenza in Puglia e al compito di precettore risalgono le lettere scritte al principe Federico poi raccolte nell'epistolario Ad Hiaracum. Nell'ottobre 1474 il G. partì con il principe e con circa 400 uomini per la Francia: ufficialmente per consegnare al duca di Borgogna, Carlo il Temerario, l'Ordine dell'armellino conferitogli dal re Ferdinando, ma in realtà c'era in progetto il matrimonio di Federico con Maria di Borgogna, figlia di Carlo il Temerario, e la partecipazione di truppe napoletane alla guerra del duca di Borgogna contro gli Svizzeri. Nel 1476 la spedizione napoletana fece ritorno in Italia. Prima di partire per la Borgogna, il 27 ott. 1474, il G. aveva redatto il suo testamento, di cui si conserva, fra le altre, una copia autografa nel ms. Vat. lat. 3367. Dal testamento si ricavano notizie importanti sulla sua famiglia: il G. era sposato da almeno due anni con una donna, nominata Elisia, che è stata identificata con Manentia Brancaccio; nel 1473 era nato il figlio Lucio, e nel 1474 era già morto uno dei fratelli, Mario (in questa occasione il G. scrisse alcune lettere poi raccolte nell'epistolario), mentre ancora viveva l'altro fratello, Zaccaria; a Taranto, inoltre, viveva Isabella, una figlia naturale nata da una relazione con una donna del luogo.
Al ritorno dalla spedizione in Francia il G. continuò a risiedere con il principe a Taranto; nel febbraio 1479 tornò in Francia con Federico in missione presso Luigi XI, facendo ritorno nell'estate. Dal soggiorno tarantino si spostò poi solo per andare a conferire qualche volta con il re Ferdinando a Napoli. A Taranto, divenuta ormai città di adozione, il G. dedicò anche diversi componimenti poetici, fra i quali una Laus Tarenti, composta probabilmente quando Federico, nel 1485, divenne principe della città. Nel 1481 partecipò alla guerra di Otranto per la riconquista della città che era stata occupata dai Turchi, e nel 1483 Federico lo nominò governatore di Squillace. Dei successivi dieci anni non si hanno notizie precise: continuò probabilmente a vivere in Puglia fino alla venuta di Carlo VIII in Italia, quando si trasferì a Sulmona. Qui trovò ospitalità presso Francesco Colocci, fedele della monarchia aragonese e zio di Angelo Colocci, che il G. conobbe probabilmente proprio a Sulmona. Non si sa con precisione quanto tempo si fermò a Sulmona, dove intraprese l'opera di riscrittura e sistemazione delle sue opere, né che cosa fece dopo l'incoronazione di Federico a re di Napoli. Le uniche notizie certe sugli ultimi anni della sua vita sono che tornò nel suo paese di origine, Fratte, e che Federico nel 1501 gli concesse che i suoi possedimenti di Galluccio non fossero compresi nella concessione al duca di Gandia della terra alla quale appartenevano.
Fra il 1502 e il 1503 il G. morì a Fratte, dove venne sepolto, come da suo espresso desiderio, nella chiesa di S. Maria del Piano.
Le opere del G. vennero pubblicate a Roma, presso J. Besicken, poco dopo la sua morte, nel 1503, su iniziativa del figlio Lucio e per le cure di A. Colocci con il titolo Opuscola Elisii Calentii poetae clarissimi. Negli ultimi anni della sua vita il G. aveva rielaborato e raccolto le opere composte sin dagli anni giovanili: di questa rielaborazione rimane traccia in alcuni manoscritti conservati presso la Biblioteca apostolica Vaticana. Alla morte del G. il figlio Lucio si rivolse dapprima al Pontano e quindi al Colocci perché collaborassero alla pubblicazione degli scritti del padre. Il Pontano, ormai anziano, declinò l'invito (la lettera di risposta a Lucio Calenzio è pubblicata negli Opuscola), mentre il Colocci, una volta avuti in mano i manoscritti superstiti delle opere del G., iniziò un imponente lavoro di sistemazione, limatura e correzione che portò all'edizione del 1503. I manoscritti delle opere del G. posseduti dal Colocci presentano alcune differenze nel numero e nella collocazione dei componimenti rispetto alla edizione a stampa, come aveva già notato B. Croce, e come ha esaurientemente dimostrato A. Campana; per la maggior parte dei testi non è stato invece ancora compiuto un riscontro preciso sulle varianti. Nel ms. Vat. lat. 3367, appartenuto anche a Fulvio Orsini, con autografo del G., è conservata la maggior parte dei componimenti poetici presenti nell'edizione, il frontespizio dell'edizione così come lo aveva preparato Colocci, l'originale della lettera di Lucio Calenzio allo stesso Colocci, e il testamento del Gallucci.
I testi principali del G. che vi sono contenuti sono l'Hector orrenda apparitio, o Hector libellus, poema storico-mitologico sulla caduta di Costantinopoli e sulle conquiste dei Turchi, composto probabilmente nel decennio 1460-70; il Croacus o De bello ranarum (di questi due testi esiste una moderna edizione critica curata da M. De Nichilo: Elisii Calentii Poemata, Bari 1981); una Satyra contra poetas; un Carmen nuptiale, scritto per le nozze di Alfonso d'Aragona duca di Calabria e Ippolita Sforza, e il poemetto Nova fabula, di contenuto licenzioso; della Satyra ad Longum resta solo il titolo nel frontespizio della stampa e della minuta, mentre il testo non è stato tramandato. Il ms. Vat. lat. 2833 contiene alle cc. 67-103 l'esemplare per la stampa delle Elisii Calentii Amphraten. Elegiae Aurimpiae ad A. Colotium Aesinatem: si tratta di una serie di componimenti, la maggior parte scritti per celebrare e raccontare le vicende di un amore giovanile del G. per una donna di Ventosa, paese vicino a Fratte, cantata con il nome di Aurimpia. Infine, il ms. Vat. lat. 3909, autografo del G., e anch'esso esemplare di stampa, conserva la raccolta Ad Hiaracum epistolae: si tratta di un epistolario di 152 lettere, delle quali 49 indirizzate ad Hiaracum, ossia al principe Federico d'Aragona, e le altre ad amici e conoscenti del G., tra i quali il re Ferdinando, il Colocci, Giovan Marco Cinico, Iacopo Solimena, Lorenzo Miniato, Francesco Arcelli. Gli estremi cronologici dell'epistolario sono da situare fra gli anni 1463-64 e 1476.
Le opere del G. sono state composte tutte in latino - tranne forse un componimento in terza rima in volgare a lui attribuito in un manoscritto conservato presso la Biblioteca nazionale di Napoli (XIII.D.27) e riprodotto da F. Rossi (pp. 103 s.) - e si inseriscono all'interno della tradizione della letteratura umanistica latina, che poco o nulla concedeva al volgare, della quale il Panormita e gli intellettuali della corte di Alfonso d'Aragona erano i rappresentanti più importanti. Di questa letteratura il G. praticò i generi principali: l'epistolografia e la poesia elegiaca, epica ed eroicomica. La fortuna, o meglio la sfortuna degli Opuscola del G. è legata alla loro messa all'Indice perché di contenuto licenzioso: solo il poema Croacus e l'epistolario Ad Hiaracum conobbero alcune ristampe nei secoli successivi; in particolare il Croacus venne più volte ristampato anche in Francia a cura di A. Milesio, e una sua traduzione in francese (La bataille fantastique des roys Rodilardus et Croacus, Lyon 1559) venne attribuita a Rabelais (in La bataille fantastique des roys Rodilardus et Croacus. Avec une notice bibliographique par M. P. L. [Paul Lacroix], Genève 1867). Molte poesie ed epigrammi del G., oltre ad alcune notizie sulla sua vita, sono raccolte in codici conservati presso la Bibl. apostolica Vaticana, la maggior parte dei quali appartenuti ad Angelo Colocci: i principali sono il Vat. lat. 4831, c. 88v; e il Vat. lat. 3903, c. 377, nei quali vi sono appunti di Colocci sul G.; il Vat. lat. 5640, l'Ottob. lat. 2860, e il Vat. lat. 3352 nei quali, fra gli epigrammi che vi sono raccolti, se ne trovano molti del Gallucci.
Fonti e Bibl.: G. Pontano, Carmina, a cura di B. Soldati, Firenze 1902, II, passim; Id., Dialoghi, a cura di C. Previtera, Firenze 1943, passim; G.B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, II, 2, Napoli 1749 pp. 396-400; D. Gallo, Il Croacus di Elisio Calenzio, Bari 1907; E. Gothein, Il Rinascimento nell'Italia meridionale, Firenze 1915, ad nomen; A. Petronzio, Cenni biografici e letterarii su Elisio Calenzio, Roma 1920; F. Rossi, Elisio Calenzio poeta umanista del '400. Vita e opere, Lauria 1924; B. Croce, I carmi e le epistole dell'umanista Elisio Calenzio, in Arch. stor. per le prov. napoletane, n.s., XIX (1933), pp. 248-279 (poi, con modifiche, in Id., Elisio Calenzio, in Varietà di storia letteraria e civile, s. 1, Bari 1949, pp. 7-28); Id., Una elegia giocosa di Elisio Calenzio ristampata dall'unica edizione del 1503, Napoli 1933; A. Altamura, Un umanista innamorato di Taranto, Taranto 1938; Id., L'Umanesimo nel Mezzogiorno d'Italia. Storia, biografie e testi inediti, Firenze 1941, pp. 53-55, 191; A. De Santis, Il vero cognome dell'umanista Elisio Calenzio, in La Bibliofilia, XLVIII (1946), pp. 29-33; G. Resta, L'epistolario del Panormita. Studi per una edizione critica, Messina 1954, pp. 62-64, 137, 154; L. Monti Sabia, L'humanitas di Elisio Calenzio alla luce del suo epistolario, in Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Napoli, XI (1964-68), pp. 175-251; F. Ubaldini, Vita di mons. Angelo Colocci. Edizione del testo originale italiano (Barb. lat. 4882), a cura di V. Fanelli, Città del Vaticano 1969, p. 20 e passim; A. Campana, Angelo Colocci conservatore ed editore di letteratura umanistica, in Atti del Convegno di studi su Angelo Colocci, … 1969, Jesi 1972, pp. 265-268; L. Monti Sabia, Il testamento dell'umanista Elisio Calenzio, in Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Napoli, XVI (1973-74), pp. 103-120; M. Santoro, La cultura umanistica, in Storia di Napoli, IV, 2, Napoli 1974, pp. 452-454; M. De Nichilo, Elisio Calenzio "difensore" di Virgilio, in Atti del Convegno virgiliano di Brindisi nel bimillenario della morte, Brindisi… 1981, Perugia 1983, pp. 121-136; V. Rossi, Il Quattrocento, a cura di R. Bessi, Padova 1992, pp. 731, 767.