CASTELLANI, Luigi Francesco
Nacque a Sermide (prov. di Mantova) il 4 maggio 1727 da Giacinto, medico, e Isabella Mari, in una famiglia di condizione agiata. Il C. seguì l'intero corso di studi a Mantova nelle scuole dei gesuiti, formandosi una solida cultura letteraria ed un interesse per la poesia che nell'età matura lo porterà a versificare. Compiuti gli studi secondari, visse per un periodo con il padre a Pieve di Cento, dove questi esercitava la medicina, e cominciò ad impratichirsene; in seguito si iscrisse ai corsi di filosofia e medicina all'università di Ferrara, avendo tra gli altri come docente Giancarlo Maciga, e si laureò giovanissimo il 28 giugno 1746. Dopo la laurea tornò presso il padre per proseguire la pratica, che poi perfezionò a Ferrara e Bologna; il 6 giugno 1748 ottenne l'abilitazione all'esercizio della medicina nel territorio ferrarese. Dopo un nuovo periodo di collaborazione col padre decise di tornare nel paese natale, dove fu medico condotto per diversi anni.
L'atmosfera stagnante della provincia non gli tolse il desiderio di approfondire la sua preparazione teorica, anzi gli permise di disporre del tempo libero atto a proseguire gli studi con impegno e continuità, improntando la sua azione terapeutica ai progressi contemporanei delle ricerche. Questa consuetudine di studio gli tornò utile nel 1760 quando, dopo aver trattato un caso di dissenteria con l'uso di sostanze antimoniose, l'ammalato morì. Accusato da uno dei medici della zona di essersi valso di sostanze non terapeutiche, ma nocive, il C. rispose con uno scritto (Del vetro d'antimonio incerato nella dissenteria. Risposta anticritico-apologetica, Ferrara 1760), in cui l'uso della sostanza incriminata veniva dimostrato legittimo, nonché diffuso nella pratica. La serie di considerazioni mosse dal C. ottenne all'operetta l'assenso di molti tra i più noti clinici del tempo, tra cui lo stesso G. van Swieten, protomedico della corte austriaca.
Godendo ormai di una certa notorietà, il C. all'inizio del 1763 si trasferì a Mantova, ove si impose professionalmente e divenne in breve viceprimario dell'ospedale centrale, mostrandosi pervaso da spirito umanitario e pronto a intrattenere con i malati rapporti vivi e personali. Aperto alle idee cliniche più avanzate, fu il pnmo medico della zona di Mantova a praticare l'inoculazione del vaiolo e a sostenerne la validità in lettere a suoi corrispondenti (Dissertazione epistolare sulla inoculazione del vaiuolo, inserita nelle Osservazioni sopra alcuni innesti del vaiuolo, raccolte da Gian Maria Bicetti de' Buttinoni, Milano 1765). Neppure un episodio analogo a quello già citato, e cioè la accusa di aver procurato indirettamente la morte di un teologo mantovano, Ermenegildo Muti, con l'adottare una cura discutibile ne frenò l'affermazione; anche allora egli rispose convincentemente, riducendo al silenzio il critico (Storia ragionata de' mali che trassero di vita il m. rev. padre E. Muti mantovano, dell'Ordine dei Predicatori, Mantova 1770). Frequentava abitualmente i circoli colti di Mantova, e nel 1767 fu ammesso nella colonia virgiliana degli Arcadi, assumendovi il nome di Acasto Acarnanio; in essa, negli anni successivi, lesse diverse comunicazioni erudite e scientifiche, oltre a canzoni e sonetti.
Tra le prime è meritevole di menzione una breve biografia di Antonio Brasavola, in seguito pubblicata (De vita Ant. Musae Brasavolae Commentarius historico-medico-criticus, Mantuae 1767), che ha pregi di eleganza stilistica e di ampia informazione; tra le memorie scientifiche ve ne fu una sul problema della salubrità delle risaie, ed una, allora originale e audace, in cui il C. sosteneva il carattere non contagioso della tisi polmonare. Questa tesi fece discutere, specialmente quando fu pubblicata (Sulla insussistenza del contagio tisico. Dissertazione, Mantova 1777); nella polemica intervennero anche L. Targioni da Firenze ed il medico digionese H. Maret, che gli scrissero manifestando pareri contrari. Le risposte epistolari dei C. ad entrambi, pubblicate l'una, diretta al Targioni, nel vol. XXI della Raccolta di opuscoli fisicomedici, l'altra al Maret nel tomo VII della Racc. ferrarese di opuscoli scient. e letterari di chiar. autori italiani (Ferrara 1780), ben argomentate e ricche nell'esemplificazione, eliminarono le cause del dissenso, che nel caso di Maret si trasformò in un'amicizia epistolare salda e duratura.
Col tempo la notorietà e posizione professionale del C. crebbero parafielamente: fu nominato senza concorso primario dell'ospedale; la duchessa di Modena Maria Teresa Cibo Malaspina, cui dedicò lo scritto sul contagio tisico, lo scelse come medico personale, e nel 1780, quando il ginnasio di Mantova fu riorganizzato ed ampliato con l'introduzione della cattedra di clinica medica, questa venne affidata a lui. Cominciò i corsi nel gennaio del 1781, tenendo una propulsione latina, inedita, sulla necessità ed i meriti della clinica, contro gli scettici ed i sostenitori della spontanea forza terapeutica della natura; fino al 1791 fece parte della Commissione sanitaria di Mantova, e per un certo tempo ne fu assessore. Negli anni successivi all'assunzione della cattedra nel ginnasio pubblicò parecchi scritti.
Tra essi va ricordato un parere favorevole alla trasformazione in risaia d'un fondo valle paludoso nelle vicinanze di Mantova (Giudizio ragionato sulla risaia della Virgiliana, Mantova 1781), una ripresa dei precedenti studi sulla tisi (Sulla polmonare tisichezza, dissertazione indirizzata al nobil sig. Benigno Cannella celebratissimo prof. di medicina, Mantova 1791) e la difesa di un collega accusato di aver avventatamente usato il chinino nella cura di un paziente (China-china difesa. Consolatoria ad un amico, che la prescrisse ad uno, che poi morì, Guastalla 1794).
Altri scritti proseguono nella linea dei suoi interessi storico-eruditi, come la Vitadel celebre medico mantovano Marcello Donati, conte di Ponzano (Mantova 1788), e la Lettera intorno alla questione, se il... medico M. Donati possa dirsi anche correggesco (Guastalla 1792).
Morì a Mantova il 25 nov. 1794.
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 9283: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, f. 75; E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri, V, Venezia 1837, pp. 291 ss.; VI, ibid. 1838, pp. 461-464; I. Cantù, L'Italia scientifica contemporanea, Milano 1844, p. 121.