FIGINI, Luigi
Nacque a Milano il 27 genn. 1903 da Alessandro, che si occupava di contabilità e amministrazione, e da Pia Jardini che favorì i suoi interessi per la pittura e la musica stimolando in lui una vera passione per il disegno. La sua carriera scolastica fu brillante: nel 1921 conseguì la maturità classica; nell'ottobre dello stesso anno si iscrisse alla scuola preparatoria per architetti del politecnico di Milano e si laureò, a soli 23 anni, in architettura nel novembre 1926, avendo dovuto subire, lui così dotato nelle arti figurative, la triplice bocciatura in architettura, decorazione e prospettiva. Era il segno evidente della sua insofferenza per le imposizioni che provenivano da un insegnamento accademico che ripeteva stereotipate formule stilistiche, come testimoniano anche le successive bocciature (nel 1926 e nel 1927, in entrambi i casi a Roma) all'esame di Stato. Il F. conseguì l'abilitazione all'esercizio professionale, presso la facoltà di architettura di Napoli, solo nel 1929.
Ma quelli dell'università furono anni assai proficui per la crescita intellettuale dell'ancor giovane F., che di lì a poco sarebbe divenuto uno dei protagonisti più brillanti dell'architettura del "razionalismo" italiano. Nacquero allora l'amicizia e la collaborazione con il roveretano G. Pollini, che dovevano poi continuare per tutta la vita ed anche nella professione. Infatti, lasciata la scuola, quel sodalizio si tradusse nell'apertura dello studio di architettura Figini-Pollini, in cui da allora si svolse tutta l'attività progettuale del Figini.
Al politecnico egli conobbe anche altre giovani promesse dell'architettura italiana, in particolare C. E. Rava, S. Larco e G. Terragni. Tra loro maturò un affiatamento che derivava dalla comune ricerca di idee nuove e dal desiderio di seguire la strada aperta dai maestri europei e dal loro appello per un'architettura razionale e allo stesso tempo funzionale, depurata da intrusioni stilistiche, moderna e insieme internazionale.
"Fu Depero - scriveva E. Gentili Tedeschi nel primo testo critico pubblicato sull'opera del F. e Pollini - a portare, da Parigi, quello che doveva essere per loro il primo messaggio rivelatore: Vers une architecture di Le Corbusier. Subito dopo capitava nelle loro mani Internationale neue Baukunst di Gropius. Fu sufficiente perché si convincessero che non potevano seguire altra strada se non quella che li portava ad inserirsi nelle correnti rappresentate da Le Corbusier e Gropius" (Gentili Tedeschi, 1959, p. 13).
Da quegli incontri scolastici nacque nell'autunno del 1926 il Gruppo 7, formato da sette studenti del politecnico milanese: oltre al F. e Pollini, c'erano Terragni, Larco, Rava, G. Frette, U. Castagnoli, quest'ultimo ben presto sostituito dal trentino A. Libera. Convinti che l'esprit nouveau lecorbusieriano dovesse investire tutti gli aspetti della cultura e della vita contemporanee, i giovani del Gruppo 7 si prefissero di trasferire nella loro architettura i contenuti di critica, di storia, di etica, di impegno sociale affermati dal movimento moderno internazionale. Nel loro atteggiamento era forte la volontà di produrre un'arte che appartenesse al loro tempo. Commentava Gentili Tedeschi (1959): "tra l'"ieri"della cultura ufficiale e il "domani" delle avanguardie, la loro scelta era tranquillamente puntata sull'"oggi"". Elaborati in forma di vero e proprio manifesto della nuova architettura, i contenuti del dibattito interno al Gruppo 7 vennero pubblicati in una serie di quattro articoli, apparsi fra il dicembre del 1926 e il maggio dell'anno successivo sulla rivista Rassegna italiana (Patetta, 1972).
Quegli articoli furono un seme gettato in un terreno pronto a germinare: nacquero prima il MIAR (Movimento italiano per l'architettura razionale), che in due mostre a Roma, nel 1928 e nel 1931, si fece portavoce del rinnovamento architettonico italiano e, più tardi, la rivista Quadrante (1933), diretta da M. Bontempelli e P. M. Bardi, raffinato strumento editoriale di una élite intellettuale che proponeva un'architettura più "sana" per la vita del corpo e dello spirito. I primi frutti della collaborazione del F. con Pollini furono due progetti presentati alla prima mostra del MIAR a Roma: una casa del dopolavoro e un garage per 500 automobili, entrambi del 1927. Le Triennali del 1930 (a Monza) e del 1933 (a Milano) segnarono un momento decisivo per dimostrare che l'architettura italiana era tornata ad essere protagonista della cultura, richiamando intorno a sé l'attenzione del pubblico, trascinato nella polemica tra vecchio e nuovo. Il nuovo del F. e Pollini si materializzò nella "casa elettrica", presentata alla Esposizione internazionale delle arti decorative a Monza (1930).
La casa era un padiglione temporaneo costruito allo scopo di esporre le novità nel campo degli apparecchi elettrici per la gestione domestica. Fu un progetto comune del Gruppo 7, perché vide impegnati ben quattro dei suoi membri: l'architettura era del F. e Pollini, anche responsabili per l'arredamento della camera da letto del figlio; la sistemazione degli interni e i mobili furono curati da Frette e Libera, mentre P. Bottoni disegnò il vero "motore" della casa, ossia la cucina elettrica.
Con la successiva villa-studio per un artista presentata alla V Triennale del 1933, il periodo di formazione poteva dirsi concluso; il progetto parlava un linguaggio personale molto significativo in cui affiorava una componente "mediterranea", che prefigurava un modo di abitare più vicino alla natura. Queste suggestioni furono trasferite nella casa che il F. costruì per sé al Villaggio dei giornalisti (Milano, 1933-1934). Nel 1930 il F. aveva sposato Gege Bottinelli (1900-1984) che lavorava alla direzione della galleria del Milione. Fu un'unione portata avanti in perfetta letizia e, con la complicità di Gege, il F. fece della sua casa in via Perrone il laboratorio della sua personale ricerca.
La costruzione è piccola, elevata dal suolo su pilotis, ma dotata di tre terrazzi, aperti all'aria, al sole, al verde e al panorama. "La pianta della casa - con la forma di un rettangolo allungato - ha orientamento secondo la direttrice: nord-nordest e sud-sudovest. Ad evitare gli eccessi della insolazione estiva, le superfici vetrate più ampie sono state aperte a mattino... mentre ai raggi bassi e troppo caldi del sole di ponente corrispondono aperture più ridotte, difese da logge e dal piano aperto della scala esterna. A sud si apre la grande porta-finestra della camera da letto, di fronte alla terrazza-solario ... Il sottoportico ed i pieni e i vuoti soprastanti sono legati fra loro da rapporti armonici semplici: un modulo costante lungo l'asse delle ascisse ed uno lungo le ordinate, determinano le dimensioni" (Savi, 1990, p. 26).
Un momento determinante nella carriera del F. e di Pollini fu l'incontro con A. Olivetti, divenuto nel 1933 direttore generale del complesso industriale di Ivrea. Impegnato in un programma di rinnovamento e sviluppo dell'organizzazione dei suoi stabilimenti, Olivetti puntò sul F. e Pollini, che aveva conosciuto in occasione della V Triennale, per avviare un itinerario di trasformazione dell'area industriale del Canavese da semplice luogo di lavoro a comunità ideale della civiltà contemporanea, arricchita con edifici per trasporti, complessi sportivi, attrezzature collettive, nuovi quartieri residenziali. Un orientamento così complesso non poteva che trovare la sua naturale estensione nella sfera dell'urbanistica e nella ricerca di una dialettica equilibrata fra fabbrica e territorio. Negli anni 1934-1937 Olivetti finanziò la ricerca per il piano regolatore della Valle d'Aosta, progetto in cui coinvolse due studi milanesi: Figini-Pollini e BBPR (G. L. Banfi, L. Barbiano di Belgioioso, E. Peressutti e E. N. Rogers). L'idea di piano regolatore, che si proponeva come un momento dimostrativo e non come un'ipotesi esecutiva, si fondava su due elementi fra loro complementari: l'industria e il turismo. In questo quadro il F. e Pollini si occuparono del progetto per la riorganizzazione turistica dell'area di Courmayeur; furono inoltre responsabili della progettazione di un nuovo quartiere residenziale a Ivrea.
Con la costruzione dei nuovi stabilimenti Olivetti a Ivrea (1934-1935), su progetto del F. e Pollini, si avviò un complesso processo di trasformazione del rapporto fra organismo edilizio e territorio che portò, nel corso dei successivi venti anni, a risultati di eccezionale interesse, e fece del sogno olivettiano l'archetipo di una moderna comunità di lavoro. Nel 1939 il primo complesso delle officine Olivetti venne allungato e ingrandito, con l'aggiunta di un piano, e nel triennio successivo fu costruito un vero e proprio ampliamento.
"Il grande e complesso edificio rimane una delle più importanti realizzazioni del razionalismo italiano: sono in esso contenuti molti dei punti programmatici del movimento moderno, una interpretazione umana del mondo del lavoro, l'inserimento della fabbrica nella città, la fede in un contributo della architettura alla formazione della società" (Gentili Tedeschi, 1959). L'intera costruzione delle officine avvenne in quattro fasi distinte e occupò gli architetti fino al 1957. Sia in questo progetto, sia in tutte le successive realizzazioni, gli uffici tecnici della Olivetti lavorarono a fianco dei progettisti milanesi.
La lunga parete vetrata del secondo stabilimento (1939-1942), realizzata con un doppio ordine di infissi in ferro, faceva sì che l'architettura moderna diventasse veicolo per l'educazione politica e la crescita culturale della classe operaia. Quel radicale ribaltamento del concetto stesso di fabbrica, che comportava una visione "comunitaria" tinta di corporativismo, non poteva essersi verificato se non attraverso l'azione e la mediazione di tecnici e di intellettuali.
Il processo di umanizzazione, avviato con gli edifici industriali, fu di fatto esteso all'intero corpus delle realizzazioni per la Olivetti a Ivrea. Significativi sono l'asilo-nido e casa popolare al Borgo Olivetti (1939-1940) e le case per impiegati (1940-1942). Nel primo, la cura per la sistemazione ambientale e la ricerca di rapporti semplici e armonici fra le parti si riversarono in un manufatto edilizio la cui spazialità era riferibile unicamente al benessere dei grandi e piccoli fruitori. Dominava la linea orizzontale che si combinava con il profilo ondulato della collina; accurata era la scelta dei materiali, con una prevalenza della muratura di pietrame ad opera incerta, in sintonia con le indicazioni espresse nel piano dell'autarchia.
Gli edifici residenziali destinati ai dipendenti della Società Olivetti furono il primo nucleo di un nuovo quartiere, che stava sorgendo in una zona collinosa e verdeggiante, poco lontano dalle fabbriche. Si trattava di elementi lineari, con alloggi in serie, su due piani più un basso piano terra ed un antistante orto-giardino: essenziali sia nell'aspetto che nei materiali (la struttura è in muratura di mattoni). Con queste case il F. e Pollini realizzarono la loro prima esperienza positiva nel campo dell'abitazione popolare.
A metà degli anni Cinquanta la collaborazione con A. Olivetti, allentatasi durante il conflitto bellico, riprese intensa. Due le realizzazioni più interessanti: la fascia dei servizi sociali Olivetti (1954-1957) e la fabbrica Ico (1955-1957, in coll. con G. Boschetti), entrambe a Ivrea.
Negli anni della ricostruzione il F. e Pollini parteciparono al programma di edilizia economica e popolare lanciato dal piano Ina-Casa. Il loro progetto urbanistico per il quartiere di via Harar a Milano (1951, con G. Ponti) impresse una nuova direzione nella progettazione delle aree di espansione urbana. In risposta allo schematismo rigido dei quartieri della tradizione razionalista europea degli anni Venti e Trenta, il F. e Pollini proposero una soluzione basata sulla libertà compositiva che avrebbe dato vita ad un tessuto residenziale a densità urbana, immerso in un parco pubblico.
Il quartiere venne impostato su due tipi edilizi: case unifamiliari con orto e giardino, raggruppate in insulae e residenze plurifamiliari a più piani, con sviluppo lineare. Negli edifici lamellari multipiano la ricerca tipologica, memore di analoghe soluzioni lecorbusieriane, condusse alla realizzazione di corpi di fabbrica con appartamenti duplex, in tre serie sovrapposte, disimpegnate da ballatoi. Nella distribuzione della pianta nessun alloggio aveva una finestra sul ballatoio; il soggiorno-pranzo era un ambiente in parte a doppia altezza, che occupava tutto lo spessore del blocco, affacciato perciò su entrambi i fronti ed usufruiva così di una efficace ventilazione trasversale; le camere da letto erano situate al piano superiore.
Negli anni del dopoguerra, le mutate condizioni politiche comportarono un fervore e un'ansia nuova di scambi, incontri, esperienze. Nasceva in quel clima a Milano il Movimento di studi per l'architettura (MSA), un'associazione nata per riunire i protagonisti di una stagione che si era chiusa miseramente, ma che aveva contribuito al rinnovamento dell'architettura. Il F. e Pollini non tardarono a dare la loro adesione. Ma insieme il F. sentì l'urgenza di una fase di riflessione, di cui rimane traccia in uno scritto di grande suggestione lirica, pubblicato a Milano nel 1950, intitolato L'elemento verde e l'abitazione.
Scriveva il F.: "Non basta più introdurre il verde nella città, collocarlo tra casa e casa; occorre realizzare integralmente la città nel verde. Non basta pensare alla costruzione di blocchi di case orizzontali, verticali, a torre, distanti tanti e tanti metri l'uno dall'altro, defilati, orientati sull'asse eliotermico; e negli interspazi introdurre degli alberi. ... Non verde di alberelli simmetrici, equidistanti, ben potati; ma grandi vegetazioni di bosco e di giardino, pezzi di foresta, isole di natura intatta. Queste saranno le "aree fabbricabili" dove un giorno tra folto e folto d'alberi sorgeranno le case, naturalmente, come piante nuove in un bosco antico" (p. 52).
Riaffiorava con forza in questo atteggiamento quella religiosità che il F. aveva ereditato dalla sua famiglia e che era stato un aspetto sempre presente nel suo carattere, nella sua concezione del mondo e della vita. Il F. manteneva un riservato distacco mentre il dibattito culturale investiva le radici più profonde del movimento moderno e si svolgeva, a cavallo fra gli anni Cinquanta e la decade successiva, la polemica sul neo-liberty.
Le due chiese che il F. e Pollini realizzarono a Milano, a dieci anni di distanza l'una dall'altra, sono la testimonianza di un pensiero architettonico in corso di rigenerazione. La prima, la chiesa della Madonna dei Poveri (1952-1954), è un organismo architettonico che nasce dallo spazio interno, a sua volta determinato dalla illuminazione.
"Lo spazio interno", scrivevano gli architetti nella loro relazione al progetto, "deve discendere da ragioni funzionali, ma in più e soprattutto deve esprimere il contenuto spirituale inerente al tema. Perché sia possibile giungere - per tale via e nel clima architettonico odierno - alla realizzazione di un ambiente sacro (né salone per conferenze, né cinema, né teatro), di una vera chiesa, cioè, destinata al culto cattolico". In particolare, il problema della luce, un fattore che poteva condizionare l'impianto architettonico dell'edificio, venne risolto mediante una illuminazione naturale indiretta, facendo in modo così che tutte le fonti luminose esterne fossero disposte defilate all'occhio dell'osservatore.
Nel complesso parrocchiale dei Ss.Giovanni e Paolo (1964) la struttura formale ha invece perso il carattere volumetrico che contraddistingueva le rigide geometrie della chiesa della Madonna dei Poveri. L'impianto, generale è asimmetrico; i muri esterni, pieni e continui, sono quasi privi di aperture; la pianta libera, di sapore wrightiano, determina molteplici prospettive sia all'interno che all'esterno.
Negli ultimi anni la pittura riprese il sopravvento, insieme alla poesia; in entrambe il F. coltivava il piacere della memoria, un esercizio che coincideva appieno con l'arte.
Il F. morì a Milano il 13 marzo 1984.
Altre opere e realizzazioni significative dello studio Figini-Pollini sono: gli uffici per lo stabilimento De Angeli Frua (1930) e il bar Craja (1931), ambedue a Milano; l'edificio per appartamenti in via dell'Annunciata a Milano (1933-34); l'allestimento della "sala dei precursori" alla Mostra dell'aeronautica a Milano (1934); il concorso per il palazzo del Littorio a Roma (1934, in coll. con lo studio BBPR e l'ing. L. Danusso); il progetto per le scuole d'arte a Brera (1935, con P. Lingeri e G. Terragni); il concorso per i palazzi delle Forze armate all'E42 a Roma (1938); la cappella Manusardi (1941) e la tomba Achille (1950) al cimitero Monumentale di Milano; la villa Manusardi a Cartabbia (1942); l'edificio per abitazioni e uffici in via Broletto a Milano (1947-1948); il piano di Borgo Porto Conte in Sardegna e i progetti delle abitazioni e uffici pubblici (1951); il palazzo per uffici in via Hoepli a Milano (1955); il condominio residenziale in via Circo a Milano (1956); il complesso industriale della Pozzi ceramiche a Sparanise (1960-1963) e gli uffici-laboratori per la stessa manifattura a Ferrandina (1962, con C. Blasi); l'albergo e abitazioni in largo Augusto a Milano (1961, con C. Blasi); la villa Guida a Guanzate (1971); il concorso per il mercato dei fiori a Pescia (1972, con G. Marini e E. Mercatali); il progetto per la chiesa della Mater Ecclesiae a Roma (1978, con G. Marini).
Fonti e Bibl.: I documenti progettuali che riguardano l'attività professionale del F. sono ancora conservati presso lo studio Figini-Pollini di via Manin a Milano. L'inventario di tutti i materiali relativi alle opere di architettura è stato curato dal Museo d'arte contemp. di Trento e Rovereto - Archivio del '900 di Rovereto, presso cui è stata depositata una copia di quegli stessi materiali. Per un elenco completo dei progetti e delle realizzazioni cfr. L. F. e Gino Pollini. Opera completa (catal.), in corso di pubblicazione. Nello stesso catalogo è anche pubblicato un esaustivo regesto bibliografico, cui è allegato un elenco degli scritti del Figini. Fra i molti articoli apparsi al momento della morte del F. si vedano: G. Gresleri, L. F., in Parametro, XV (1984), 123-124, pp. 74 s.; G. Polin, L. F. 1903-1984. La bontà dell'architettura, in Casabella, XLVIII (1984), 502, p. 33. Cfr. inoltre (ad Indicem, se non diversamente specificato): A. D. Pica, Nuova architettura italiana, Milano 1941; R. Angeli, Edifici industriali, Milano 1949; B. Zevi, Storia dell'architettura moderna, Torino 1950; Ch. E. Sfaellos, Le fonctionnalisme dans l'architecture contemporaine, Paris 1952; P. Bottoni, Antologia di edifici moderni in Milano, Milano 1954; P. Nestler, Neues Bauen in Italien, München 1954; C. Pagani, Architettura italiana oggi, Milano 1955; G. Dorfles, L'architettura moderna, Milano 1955; G. E. Kidder Smith, L'Italia costruisce, Milano 1955; Olivetti 1908-1958, Ivrea 1958; R. Aloi, Nuove architetture a Milano, Milano 1959; E. Gentili Tedeschi, F. e Pollini, Milano 1959; C. Blasi, F. e Pollini, Milano 1963; F. e Pollini, in Selearte, XII (1964), 67, pp. 40-52; J. Rykwert, F. and Pollini, in Architectural design, XXXVII (1967), agosto, pp. 369-378; V. Gregotti, Orientamenti nuovi dell'architettura moderna italiana, Milano 1969; Milano 70/70. Dal 1915 al 1945 (catal.), Milano 1971; C. de Seta, La cultura architettonica in Italia tra le due guerre, Bari 1972; L. Patetta, L'architettura in Italia 1919-1942. Le polemiche, Milano 1972, pp. 119-132; E. Bonfanti-M. Porta, Città, museo e architettura, Firenze 1973; Politique industrielle et architecture: le cas Olivetti, in L'Architecture d'aujourd'hui, 1976, n. 188, pp. 1-41; Il razionalismo e l'architettura in Italia durante il fascismo (catal.), a cura di S. Danesi-L. Patetta, Milano 1976; Il dibattito architettonico in Italia 1945-1975, Roma 1977; M. Tafuri-F. Dal Co, Architettura contemporanea, Milano 1979, pp. 248 s.; 28-78. Architettura (catal.), Milano 1979; M. Grandi-A. Pracchi, Milano. Guida all'architettura moderna, Bologna 1980; Il disegno del mobile razionale in Italia 1928-1948, in Rassegna, II(1980), 4, pp. 35 s., 39-41, 44 s., 71 s.; C. de Seta, L'architettura del Novecento, Torino 1981; G. Polin, La casa elettrica di F. e Pollini, Roma 1982; C. Melograni, F. e Pollini nella ricerca architettonica europea, in Fausto Melotti, L. F., Gino Pollini, Renata Melotti (catal.), Rovereto 1984, pp. 53-62; A. Belluzzi - C. Conforti, Architettura italiana 1944-1984, Bari 1985; M. Tafuri, Storia dell'architettura italiana 1944-1985, Torino 1986; G. Polin, Gli interni di F. e Pollini come paesaggio artificiale, in Rassegna, IX (1987), 31, pp. 6-33; D. Doordan, Building modern Italy. Italian architecture 1914-1936, New York 1988; F. Alè - G. Bertelli - S. Guidarini, Itinerario Domus 36: F. e Pollini e Milano, in Domus, 1988, n. 695, pp. nn.; Italia. Gli ultimi trent'anni, Bologna 1988; G. Ciucci, Gli architetti e il fascismo. Architettura e città 1922-1944, Torino 1989; C. Belli, Interlogo. Cultura italiana tra due guerre, Milano 1990; V. Savi, F. e Pollini. Architetture 1927-1989, Milano 1990; G. Ciucci-F. Dal Co, Atlante dell'architettura italiana del Novecento, Milano 1991; R. Etlin, Modernism in Italian architecture. 1890-1940, Cambridge, Mass., 1991; S. Polano, Guida all'architettura italiana del Novecento, Milano 1991;M. G, Folli, Tra Novecento e razionalismo. Architetture milanesi 1920-1940, Milano 1991; Il Movimento di studi per l'architettura 1945-1961, Bari 1995; Diz. encicl. di archit. e urbanistica, II, Roma 1968, p. 332; Contemporary architects, a cura di M. Emanuel, London 1980, pp. 248 s.; Macmillan Encyclopedia of architects, II, New York 1982, pp. 578.