ROSSI, Luigi Felice
ROSSI, Luigi Felice. – Compositore, didatta, critico musicale, nacque il 27 luglio 1805 a Brandizzo, in provincia di Torino, da Lorenzo, veterinario, e Laura Pertengo, terzogenito dopo le sorelle Maria Angela e Maria Francesca.
Durante l’infanzia, tra il 1811 e il 1812, Rossi contrasse una grave malattia, all’origine di «quel malore, che per cagione di grave infermità sofferta a sei anni, gli rimase or celato or palese finché visse» (Barone, 1863, p. 28), fino a condurlo alla morte. Nello stesso periodo apprese i rudimenti della teoria musicale e imparò a suonare il flauto da autodidatta.
Nel 1817 rimase orfano di padre. Nel 1821 si immatricolò presso la Facoltà di filosofia dell’Università di Torino; l’abbandonò nei primi mesi del 1823 per dedicarsi agli studi musicali, affrontati in un percorso a un tempo solido e composito, condotto sotto la guida di insegnanti differenti per scuola e impostazione didattica. Nel 1824 fu ammesso al Liceo filarmonico di Bologna, dove frequentò il corso di pianoforte e organo di Benedetto Donelli e quello di contrappunto di Stanislao Mattei, al quale fu profondamente legato. Alla morte di Mattei (12 maggio 1825), Rossi passò al conservatorio napoletano di S. Pietro a Majella. Qui fu dapprima allievo di Pietro Raimondi, che gli impose rigorosi esercizi di contrappunto. Nel 1833, in seguito al trasferimento di Raimondi a Palermo, Rossi concluse gli studi con Nicola Zingarelli, dal quale apprese un linguaggio dalla più moderna matrice melodrammatica. Nella classe di Zingarelli fu condiscepolo di Vincenzo Bellini, Lauro Rossi, Luigi e Federico Ricci.
Rientrato a Torino, il 6 giugno 1835 Rossi presentò al teatro d’Angennes Gli avventurieri, opera buffa in due atti su libretto di Felice Romani (originariamente intonato da Giacomo Cordella: Milano, teatro della Canobbiana, 1825). L’accoglienza fu nel complesso positiva.
Sulla Gazzetta piemontese n. 129 del 10 giugno lo stesso Romani dedicò allo spettacolo una recensione circostanziata e obiettiva in cui, pur rilevando la qualità discontinua dell’allestimento, lodò apertamente la composizione. Riproposta il 15 ottobre alla Scala di Milano, l’opera riportò un insuccesso tale da essere ritirata dal cartellone all’indomani dell’unica recita. Deluso, Rossi decise di abbandonare il teatro musicale per dedicarsi in via pressoché esclusiva alla musica da chiesa.
La sua produzione in tale ambito comprende un centinaio di composizioni: dodici messe per coro maschile e strumenti (orchestra o organo), alcune delle quali in più versioni, e circa novanta pezzi, vari per organico e ampiezza, destinati all’impiego liturgico o d’ispirazione religiosa. La musica profana consiste di una quarantina di brevi composizioni vocali – per lo più pezzi di natura didattica e celebrativa, e romanze da salotto – e di una manciata di lavori strumentali, per orchestra e per banda (cfr. il catalogo in Bassi-Ariagno, 1994, pp. 149-235).
Lo stile musicale di Rossi è caratterizzato dalla tendenza a concepire forme e strutture come successioni di elementi isolati, e dal senso di fondamentale staticità che ne deriva. L’estrema regolarità e la propensione alla simmetria che governano il disegno melodico e la successione delle armonie conferiscono alla struttura un tratto, più che di sviluppo, di divagazione. Intorno al 1840 Rossi cominciò a svolgere regolarmente attività d’ambito critico, erudito, didattico. Collaborò alle prime cinque edizioni della Nuova Enciclopedia popolare italiana dell’editore torinese Giuseppe Comba, pubblicate tra il 1841 e il 1866, e dalla fine degli anni Cinquanta al Dizionario della lingua italiana di Niccolò Tommaseo e Berardo Bellini. Per quest’ultimo, in particolare, redigette la maggior parte delle voci attinenti alla musica, provvedendole di definizioni chiare, puntuali, spesso inclini all’enciclopedismo, nella particolare attenzione per l’etimologia, la più minuta varietà semantica e l’evoluzione storica dei concetti. Lavorò inoltre a un Dizionario del linguaggio musicale italiano destinato alla UTET, del quale stilò 8209 articoli, andati però perduti dopo la sua morte. Tra il 1842 e il 1846, come corrispondente della Gazzetta musicale di Milano, scrisse recensioni, articoli biografici, osservazioni sulla vita musicale torinese, in uno stile caratterizzato da spirito critico, obiettività, schiettezza di giudizio, e da un linguaggio chiaro e accessibile.
Curò le edizioni dei Partimenti ovvero Basso numerato di Fedele Fenaroli, integrata da un proprio Trattato d’accompagnamento (Milano 1841: datazione stabilita in base all’annuncio della pubblicazione in Allgemeine musicalische Zeitung, XLIII, n. 28, 14 luglio 1841, p. 542) e della Pratica d’accompagnamento sopra bassi numerati di Mattei (Torino 1843), e le traduzioni – condotte sulle versioni francesi – di metodi e trattati basati su lavori di Ludwig van Beethoven, Luigi Cherubini, Johann Philipp Kirnberger, Wolfgang Amadé Mozart, Anton Reicha.
Nel 1842, a Parigi, Rossi entrò in contatto con la metodologia didattica basata sull’impiego del canto corale elaborata da Guillaume-Louis Bocquillon Wilhem (Gazzetta musicale di Milano, 13 novembre 1842, p. 200). Nei tre anni successivi elaborò un progetto per introdurre in patria un metodo d’insegnamento modellato su quei principi, e nel dicembre 1845 ne propose l’applicazione al Comune di Torino. Avvalendosi del sostegno economico di una Società per le scuole infantili costituita all’uopo, nel febbraio 1846 intraprese l’insegnamento presso la scuola elementare maschile ‘Dora’, con una classe di pochi studenti. Adottò dapprima il metodo Wilhem, per elaborare poi un proprio sistema d’insegnamento, che avrebbe tramandato a una nutrita schiera di allievi – si segnalarono in particolare Luigi Angelo Villanis, Giulio Roberti e soprattutto Stefano Tempia – e illustrato nel Memoriale del metodo di lettura musicale e canto elementare del 1852 e successive rielaborazioni (Metodo di lettura musicale e canto elementare, 1854; Memoriale di canto corale, 1862; Metodo pratico per l’insegnamento simultaneo del canto corale, apparso postumo nel 1865).
Il metodo Wilhem, basato sulla pratica del mutuo insegnamento, prevede l’organizzazione degli allievi in gruppi affidati ad altrettanti istruttori (moniteurs). Il metodo di Rossi è fondato sull’insegnamento simultaneo: mantiene la divisione in gruppi e i relativi istruttori, chiamati «maestrini», la cui funzione è però limitata a riportare le indicazioni del maestro principale. L’apprendimento è sviluppato attraverso le fasi successive dell’imitazione e della razionalizzazione in termini teorici.
L’esito positivo riscontrato dal corso inaugurale permise a Rossi di proseguire l’attività didattica, estendendola dal successivo anno scolastico agli istituti femminili ‘della Provvidenza’ e ‘delle Aspiranti Maestre’, e dal 1852 alla scuola elementare pubblica ‘S. Barbara’.
Ancora nel 1852 fondò la Società pio-filarmonica per gli Stati sardi, associazione di mutuo soccorso per musicisti professionisti, cui nel 1853 progettò di affiancare un’analoga istituzione per i dilettanti. Nel 1854 l’insorgere di rivalità interne alla Società pio-filarmonica ne determinò lo scioglimento e spinse Rossi ad abbandonare il secondo progetto.
Sul piano personale, dal 1849 Rossi attraversò un periodo travagliato. Il 3 aprile sposò Maria Teresa Inz, trentasettenne originaria di Cagliari, mentre il 16 novembre subì la perdita della madre. Negli anni successivi il rapporto tra i coniugi si fece via via più teso: nel 1855 il matrimonio sfociò in una separazione, sancita dalla Curia arcivescovile l’8 maggio 1860.
Nel 1856 Rossi propose al Comune il riassetto dei corsi all’interno di una scuola di musica vocale con sezione serale per gli adulti. La nuova istituzione inaugurò le attività il 7 dicembre. La direzione fu assunta dallo stesso Rossi, che mantenne l’incarico fino al gennaio 1858, quando il progressivo peggioramento delle condizioni di salute lo indusse a rassegnare le dimissioni.
Il 26 aprile 1863 Rossi affidò al notaio Marco Pompeio Furno un Testamento segreto, con cui dispose la ripartizione dei suoi libri tra la Biblioteca dell’Università di Torino e pochi amici, tra cui Tempia, e destinò la maggior parte dei suoi possedimenti alla fondazione e al mantenimento di un asilo infantile presso Brandizzo, poi inaugurato il 6 ottobre 1872 e rimasto in attività fino al 1961, quando fu trasferito in una nuova struttura.
Morì il 20 giugno 1863 nel suo appartamento torinese di via Gioberti n. 6. Il 22 fu sepolto nella tomba di famiglia, nel cimitero di Brandizzo.
Fonti e Bibl.: F. Romani, Gli avventurieri. Melodramma comico in due atti, messo in musica dal M° L. R. (recensione), in Gazzetta piemontese, n. 129, 10 giugno 1835 (ripubblicata in Miscellanee del cavaliere Felice Romani, Torino 1837, pp. 215-219); C. Corghi, Lettura musicale e canto elementare. Metodi Wilhem e Rossi, in Il mondo illustrato. Giornale universale, I, 28, 10 luglio 1847; F. Barone, Discorso funebre del maestro cav. L.F. R., Torino 1863; R. Cognazzo, R., L.F., in Dizionario enciclopedico della musica e dei musicisti. Le biografie, VI, Torino 1988, p. 443; I. Bonomi, L.F. R. principale redattore delle voci musicali del Tommaseo-Bellini, in Lingua nostra, LI (1990), pp. 66-72; P. Bassi - C. Ariagno, L.F. R., Torino 1994; A. Rostagno, R., L.F., in The new Grove dictionary of music and musicians, London 2001, XXI, pp. 727 s.