FECIA, Luigi
Nacque a Torino il 1º ott. 1841, da Luigi (generale, sottocapo di stato maggiore e aiutante di campo di re Carlo Alberto nella campagna del 1849) e Maria Giuseppina Regnier. Frequentò la R. Accademia militare dal 1857, dopo che il padre ne aveva lasciato il comando. Nominato sottotenente dei granatieri il 7 ott. 1859, nel novembre dell'anno successivo il F., ad appena diciannove anni, fu promosso luogotenente, dopo essersi distinto durante la campagna dell'Italia centrale e meridionale: in particolare partecipò alla presa di Perugia del 14 sett. 1860 contro le truppe pontificie comandate dal legittimista francese L. Lamoricière, e all'attacco di Mola di Gaeta del 4 novembre contro l'esercito borbonico. Nelle due battaglie il giovane sottufficiale meritò rispettivamente la menzione onorevole al valor militare e la medaglia d'argento.
Al termine della campagna, il 5 maggio 1861, il F. passò con lo stesso grado al corpo di stato maggiore, divenendo poi capitano il 25 ott. 1863. A Custoza, nel giugno 1866, meritò la sua seconda medaglia d'argento. Nel dicembre del 1873 passò al corpo dei bersaglieri, col grado di maggiore del 7º reggimento. La carriera del F., anche in tempo di pace, proseguì rapidamente e nel marzo 1879 tornò col grado di tenente colonnello al corpo di stato maggiore, al comando della divisione di Roma. Nel 1882 fu di nuovo assegnato, con la promozione al grado di colonnello, al corpo dei bersaglieri, al comando del 9º reggimento, che resse fino al 1886, quando gli fu affidato dallo stato maggiore il comando del IX corpo d'armata.
Nel 1889 il colonnello F. si recò nei presidi d'Africa alla testa della brigata "Sicilia", in qualità di comandante in seconda e con l'attribuzione del comando della piazza di Massaua, nucleo di partenza dell'impresa coloniale progettata dal presidente del Consiglio F. Crispi.
Nel marzo di quell'anno l'imperatore Giovanni d'Etiopia fu ucciso durante uno scontro con i dervisci malidisti e Menelik, ras dello Scioa e avversario dell'imperatore, si proclamò suo successore e cominciò le trattative per stabilire i confini con la colonia italiana: del negoziato fu incaricato da Crispi il conte Pietro Antonelli, nipote del cardinale e noto esploratore; questi però agì troppo spesso indipendentemente dai generali A. Baldissera e B. Orero, che si succedettero in quegli anni al vertice militare della colonia. Tra gli alti comandi e l'improvvisato diplomatico avvennero così dei malintesi, determinati soprattutto dal fatto che i due generali divergevano dall'idea che il conte aveva sul confine da stabilire.
Di un incidente avvenuto tra l'Antonelli e l'esercito fu protagonista il F.: nel marzo del 1890 il generale Orero lo inviò insieme con il capitano P. Toselli in missione speciale dal negus Menelik, in segno di formale riconoscimento da parte italiana della sua autorità. Lungo la strada presso Sciket, nel Mareb, la delegazione incontrò il conte Antonelli che stava guidando una carovana di scioani oltre il Tigrè, dove, secondo i patti da lui stipulati, essi avrebbero dovuto prendere possesso di alcuni territori. Il F. sapeva invece che Orero era contrario a tale concessione e impedì perciò il passaggio a quella che, dopo una lunga marcia, appariva come un'orda affamata. L'attrito con il conte Antonelli fu piuttosto acceso e arrivò al limite dello scontro armato. Si trattò di un episodio secondario, ma sul momento apparve molto grave, poiché causò uno stallo nelle trattative con il negus Menelik. A farne le spese furono sia il generale Orero sia il colonnello F., che vennero rimpatriati qualche mese dopo. Nel gennaio 1891, comunque, il F. fu promosso maggiore generale sempre al comando della brigata Sicilia, segno che la sua carriera non era stata compromessa dall'incidente dell'anno precedente.
Ma con l'avvento del governo Rudini emersero alcune rivelazioni su scandali avvenuti tra il 1888 e il 1889 nella colonia Eritrea e in particolare nella zona di Massaua, tenuta allora dal colonnello F.: furono rilevate innanzitutto pesanti irregolarità in alcuni processi svoltisi contro notabili locali; da queste si risalì a una lunga serie di delitti e soprusi commessi dalle autorità italiane.
Uno degli incriminati, il tenente dei carabinieri D. Livraghi, che era stato capo della polizia indigena della colonia, rifugiatosi dopo l'ordine di cattura in Svizzera, inviò al Secolo un memoriale in cui indicava le pesanti responsabilità che nelle vicende avevano avuto gli alti comandi: oltre ai generali Baldissera e Orero, le accuse colpirono anche il generale Fecia. Risultò infatti che egli aveva commesso alcuni atti arbitrari e in particolare aveva proceduto a un'esecuzione sommaria nei confronti di un notabile locale, tale Osman Naib. Di fronte alla commissione d'inchiesta il F. ammise di avere dato a Livraghi l'ordine di esecuzione assumendo la piena responsabilità di tale vicenda e scagionando dall'accusa il generale Orero dal quale disse di aver ricevuto carta bianca. Per giustificare la scelta di quella condanna sommaria il F. spiegò che il caso particolare aveva richiesto una decisione immediata e che Naib, su cui pendevano pesanti accuse, rappresentava una minaccia costante per la colonia italiana. Anche i generali Orero e Baldissera confèrmarono di avere inferto dure condanne, ma negarono di avere accondisceso alle razzie e a tutti gli atti sanguinosi che si erano verificati (vedi l'ampio resoconto dell'inchiesta in A. Bizzoni).
Il F. e i suoi due superiori furono deferiti al tribunale militare di Massaua, presieduto dall'allora colonnello 0. Baratieri (poi governatore della colonia dal 1892). Gli abusi commessi furono minimizzati o giustificati e i tre iinputati vennero assolti. Tale conclusione indignò il Parlamento e contribuì ad aumentare il discredito sulle forze armate e sui metodi di giustizia militari. È però opportuno sottolineare che da una parte lo scandalo fu strumentalizzato da chi si opponeva all'avventura africana, dall'altra, come risultò dalle testimonianze del F. e del Baldissera, che sulla vicenda avevano avuto un peso non indifferente le difficili condizioni e l'atmosfera di ostilità che i colonizzatori si erano trovati ad affrontare.
Il pluridecorato generale F. non tornò più in Africa, neppure durante la recrudescenza del conflitto tra il 1895 e il 1896. Promosso tenente generale nel dicembre 1896, comandò successivamente le divisioni di Bari, Cuneo (1897), Roma (1900); assunse poi il comando del III corpo d'armata nel 1902 (il 27 maggio fu insignito del gran cordone della Corona d'Italia) e nel 1905 quello del IX corpo d'armata, all'interno del quale svolse anche la mansione di presidente della commissione per l'esame delle proposte di ricompensa al valor militare.
Nel dicembre 1905 il F. fu nominato senatore del Regno. Nel 1908, quasi settantenne, fu designato per il comando di un'armata in guerra, ma in posizione ausiliaria dall'anno successivo. Solo alla vigilia del conflitto mondiale venne collocato a riposo per anzianità di servizio. Cessò di appartenere alla riserva nel giugno del 1921, pochi mesi prima della morte.
Il F. morì a Firenze il 14 dic. 1921.
Fonti e Bibl.: Roma, Ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito, Stato di servizio, Sezione biografie, cart. 28, fasc. 17; Gazzetta ufficiale, 7 dic. 1891, n. 286, pp. 4729 ss. (rapporto della commissione d'inchiesta sui fatti denunciati dal memoriale Livraghi); A. Bizzoni, Eritrea nel passato e nel presente, Milano 1897, ad Indicem; R. Battaglia, La prima guerra d'Africa, Torino 1958, pp. 424 s., 472-477; A. Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale. Dall'Unità alla marcia su Roma, Bari 1976, pp. 377, 442-449; A. Malatesta, Ministri deputati e senatori dal 1848 al 1922, Milano 1940, p. 407; Enciclopedia militare, III, p. 676; Diz. del Risorg. naz., ad vocem.