FARAVELLI, Luigi
Nacque a Stradella (Pavia) il 29 ott. 1852, da Carlo e Antonia Depetrio. Nel 1866 entrò come allievo nella marina militare e ne uscì cinque anni dopo con il grado di guardiamarina. Fu promosso sottotenente di vascello nel 1875 e tenente nel 1881. Compì la sua prima esperienza di navigazione sulla nave scuola "Euridice", una corvetta a vela, passando poi al vascello ad elica "Re Galantuomo" e infine alla prima nave con scafo in ferro e corazza, la "Terribile". Nel luglio del 1890 raggiunse il grado di capitano di corvetta e nel 1896 quello di capitano di fregata.
La sua prima formazione avvenne quindi negli anni più difficili per la marina: dalla sconfitta di Lissa alla conseguente convinzione, presso una parte della opinione pubblica, della inutilità della flotta, al deperimento del materiale, alla confusione sulle nuove costruzioni. Ma partecipò anche, in un secondo tempo, al generale movimento di rilancio della stessa.
Il rinnovamento maturava in seguito al formarsi di una diversa mentalità presso le varie forze politiche, allo sviluppo delle navi in ferro, all'avanzare di più organici criteri di impiego, a più complessi moduli organizzativi e al rapido sviluppo della scienza e della tecnica. E così, mentre nel 1873 l'ispettore del genio navale B. Brin iniziava i progetti per le prime due grandi e moderne navi corazzate ("Duilio" e "Dandolo"), veniva aggiornata anche l'organizzazione centrale con la costituzione di una Direzione generale di artiglieria e torpedini.
Il F. entrava a far parte di questa ultima fin dal 1881 e vi lavorava, seppure saltuariamente, fino al 1888, con esperienze sulle nuove armi che si andavano approntando (siluri, torpedini, canna rigata per le artiglierie, meccanismi di caricamento).
Come comandante in seconda della corazzata "Morosini" il F. operava nella crisi di Creta del 1896-97.
In seguito all'esplodere del malcontento delle popolazioni locali e alla conseguente repressione turca, erano sbarcate sull'isola truppe greche che tentavano di strappare il possedimento al sultano. Forze navali delle diverse potenze europee erano intervenute per un'opera di mediazione e più ancora per conservare il precedente equilibrio. Qui, poiché il comandante della nave aveva dovuto lasciare il proprio incarico per assumere la direzione dei distaccamenti da sbarco e il compito di intermediario tra insorti greci e regolari turchi, il F. ebbe modo di mettere in evidenza le proprie doti di comando e le proprie capacità organizzative, dovendosi evitare che le parti contendenti ricevessero rinforzi.
Promosso capitano di vascello nel 1900, tenne il comando della stessa "Morosini" e poi della corazzata "Regina Margherita". Con il grado di contrammiraglio il F. divenne vicecomandante dei corpo degli equipaggi marittimi, capo di stato maggiore del primo dipartimento (1904-1905), direttore generale del personale e dei servizi militari (1908-1910), comandante della piazza marittima della Maddalena e comandante del terzo dipartimento e della piazza marittima di Venezia (1911).
La guerra di Libia (29 sett. 1911-15 ott. 1912) lo vide raggiungere, con il grado di viceammiraglio, le massime responsabilità militari, mentre il suo nome veniva legato alla conquista di Tripoli.
All'approssimarsi delle ostilità, mentre il comando dell'intera flotta era tenuto dal viceammiraglio A. Aubry, assumeva la direzione della seconda squadra, articolata su due divisioni, e che comprendeva sette corazzate, quattro incrociatori oltre al naviglio minore, e faceva rotta per la Tripolitania. Ma era costretto ad effettuare una deviazione in direzione di Bengasi in quanto era giunta notizia che la squadra turca sembrava intenzionata ad intercettare le navi italiane. Scomparso il pericolo, la mattina del 1° ott. 1911 giungeva in vista del porto di Tripoli. Qui valutò che le opere fortificate potessero essere facilmente distrutte, ma, essendo presenti truppe turche, inviò un messaggio a Roma, richiedendo l'invio di un primo contingente di almeno 3000 uomini, per le operazioni di sbarco e di conquista, da affiancare alle proprie compagnie di marinai. Ma, poiché il corpo di spedizione si stava ancora radunando in Italia e il governo, di fronte al tiepido appoggio o alla diffidenza delle grandi potenze, sentiva la necessità di creare il fatto compiuto, ricevette al contrario l'ordine di intimare subito la resa e di passare senz'altro al bombardamento dei forti. Visto frattanto che le trattative con le autorità turche non erano approdate a nulla, il F., avvertiti i consoli delle diverse nazioni, concedeva un breve lasso di tempo per lo sgombero degli eventuali profughi, per l'uscita dei piroscafi e quindi, il pomeriggio del 3 ottobre, avendo diviso le proprie forze navali in tre gruppi (rispettivamente guidati da P. Thaon di Revel, R. Borea Ricci e lo stesso F.), iniziava il bombardamento. Il giorno successivo, smantellate le opere difensive, cessava il fuoco. Si trovava di fronte a questo punto ad una scelta non facile, anche perché nessuna direttiva precisa gli era stata fornita su come affrontare la situazione che si era venuta a creare. Decise (affiancato dalle sollecitazioni del console tedesco, che temeva il saccheggio, e del suo sottoposto, capitano di vascello U. Cagni) di effettuare lo sbarco e di tenere la città, pur avendo a disposizione un numero di uomini che, se era sufficiente per mantenere l'ordine, non avrebbe potuto sostenere un attacco in forze di reparti nemici. Raccolti poco più di 1700 marinai e postili agli ordini dello stesso Cagni, guidava felicemente le operazioni di sbarco. E per circa una settimana i marinai rimanevano a presidiare Tripoli, cercando con alcuni stratagemmi (come quello di far marciare continuamente piccole colonne) di apparire più numerosi di quello che in realtà fossero. Un attacco condotto da pattuglie arabo-turche in direzione dei pozzi che assicuravano il rifornimento idrico alla città veniva respinto e la situazione rimaneva sotto controllo fino al giorno 11 quando, finalmente, giungevano i primi contingenti dell'esercito.
La decisione gli valse l'onorificenza di grande ufficiale dell'Ordine militare di Savoia. E se è vero che le capacità di reazione dell'avversario erano certo piuttosto limitate per l'isolamento e la confusione e che i marinai italiani avevano l'appoggio della flotta, va preso atto che si trattò comunque di una iniziativa coraggiosa che facilitò lo svolgimento successivo delle operazioni. Nella stessa settimana il F. provvedeva anche a nominare un governatore per la città nella persona del contrammiraglio Borea Ricci e ad emanare, d'intesa con quest'ultimo, dei decreti con l'intento di tranquillizzare e di rendere ben disposta la popolazione araba.
In essi si assicuravano il rispetto per la religione e per le donne, si promettevano sgravi di imposte e in alcune frasi gli Arabi venivano solennemente nominati come figli o fratelli. Tali dichiarazioni, pur essendo in linea con quanto consigliato dal governo, sembrarono poi eccessive ed in particolare la questione degli sgravi di imposte procurarono al F. qualche polemica e l'accusa di aver esagerato nei poteri concessigli. Ad ogni modo furono smentite dal proseguimento della guerra e possono ritenersi, con un certo grado di probabilità, o frutto dell'entusiasmo del momento, o un espediente legato ad una conoscenza superficiale della realtà araba, o dettato forse anche dal timore di immediate insurrezioni.
La squadra operò poi, sempre al comando del F., con bombardamenti e sbarco di reparti presso Marsa, Tobruk, Derna, Bengasi, Homs. Si pensò ad una azione nell'Egeo, ma alla realizzazione di questa direttiva contrastava l'atteggiamento delle diverse potenze, sicché la squadra fu impegnata nei mesi successivi ancora come appoggio all'esercito nella conquista del litorale e nella vigilanza affinché non arrivassero, via mare, rinforzi di uomini e armi all'avversario. Il 4 marzo del 1912, essendo venuto a mancare l'ammiraglio Aubry, il F. assumeva il comando dell'intera flotta. In questo suo nuovo incarico e poiché era ormai evidente la necessità di accelerare la conclusione della guerra con una più forte pressione nei confronti della Turchia, migliorata la situazione diplomatica, elaborava e presentava al ministero un progetto per un'azione navale da svolgersi nel Levante. Tale progetto prevedeva, nel dettaglio, un attacco ai Dardanelli, l'occupazione delle isole di Rodi e Coo, un'azione contro i forti di Smirne. Non ebbe tuttavia modo di portare a termine questo nuovo impegno perché, colpito da una grave malattia, chiese di lasciare il comando. Il suo incarico passò all'ammiraglio L. Viale. Nominato senatore in data 17 marzo 1912, fu presidente del Consiglio superiore di Marina e ricevette una serie di altre onorificenze legate alla anzianità di navigazione e all'impresa libica.
Morì a Roma il 22 marzo 1914.
Fonti e Bibl.: Roma, Ministero della Difesa, Arch. dell'Ufficio storico della Marina, fasc. personale; necrol. in L'Illustrazione italiana, 29 marzo 1914, p. 308; G. Roncagli-C. Manfroni, Guerra italo-turca (1911-12), Cronistoria delle operazioni navali, Milano 1918, 1, pp. 64, 172 s., 175, 177-185, 187, 212, 215; II, pp. 79 s., 101; I senatori del Regno dal 1848 al il genn. 1941, Roma 1941, pp. 35, 121; V. Tur, Plancia ammiraglio, Roma 1958-1960, I, p. 86; II, pp. 105, 114 s., 176, 183 s., 187, 190, 208; Ministero degli Affari esteri, L'Italia in Africa, II, L'opera della marina, a cura di G. Fioravanzo-G. Viti, Roma 1959, pp. 30, 32, 35, 41, 66; G. Fioravanzo, La marina militare nel suo primo secolo di vita (1861-1961), Roma 1961, pp. 119 s., 125; A. De Lalla, L'ammiraglio F. e l'occupazione di Tripoli, in Rivista militare, XVII (1961), luglio-agosto, pp. 1411, 1416; Ufficio storico della Marina militare, Le navi di linea italiane, a cura di G. Giorgerini-A. Nani, Roma 1969, p. 236; F. Malgeri, La guerra libica (1911-1912), Roma 1970, pp. 393, 406; R. Bernotti, Cinquantanni nella marina militare, Milano 1971, pp. 31, 79; G. Colliva, Uomini e navi, Milano 1972, p. 73; M. Gabriele-G. Friz, La politica navale italiana dal 1885 al 1915, Roma 1982, pp. 178-182, 184 s.; A. Del Boca, Gli italiani in Libia, Tripoli bel suol d'amore (1860-1922), Bari 1986, pp. 76, 94, 98 s., 169; Enc. mil., III, p. 664.