DOVARA (di Dovara, da Doara), Luigi
Figlio di Federico, di antica e nobile famiglia, e di Barbara Conegrana, gentildonna mantovana, nacque nel 1535 forse a Cremona o a Isola Dovarese, territorio su cui la sua famiglia vantava un'antica giurisdizione.
Il padre, Federico di Luigi e di Veronica Persico, militò sotto le insegne di Antonio de Leyva e del marchese del Vasto, Alfonso d'Avalos. Passò quindi al servizio del duca di Firenze Cosimo I nel 1546, prima come luogotenente di Rodolfò Baglioni, poi come capitano di una propria compagnia. Nominato nell'aprile 1550 prefetto della cavalleria medicea (patente in Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, f. 6429, c. 13), partecipò alla guerra di Siena nel 1554 con i figli Luigi e Flaminio. Rimase in seguito nei ruoli dell'esercito mediceo con il grado di capitano di cavalli e lanciaspezzata. Morì nel 1580 e fu sepolto nella chiesa di S. Lorenzo a Firenze.
Il D. venne iniziato giovanissimo, fino dal 1546, al mestiere delle armi ed allevato dal padre nella fedeltà alla famiglia Medici. Nel 1554 partecipò con una propria compagnia alla guerra di Siena, distinguendosi peraltro, sebbene non sia chiaro con quanta responsabilità, in una delle azioni più disonorevoli dell'assedio: l'attacco a un convoglio di donne e bambini dell'ospedale di S. Maria della Scala (le cosiddette "bocche inutili") che il 5 ott. 1554, nel tentativo di uscire da Siena, vennero sorpresi a Casciano e respinti in città.
Nominato capitano di cinquanta cavalli l'11 febbr. 1557 (ibid., f. 6428, c. 461), l'anno seguente la sua compágnia venne soppressa ed egli fu inviato con il padre in Lombardia ad arruolare soldati. Fu tra i primi ad essere ammesso, il 22 apr. 1562, nell'Ordine cavalleresco di S. Stefano, in cui ricoprì anche la carica di consigliere e la dignità di priore di Lunigiana (il 5 maggio 1589). Nel 1563 venne inviato a Ferrara per condolersi con il duca della morte di Francesco di Lorena, duca di Guisa, marito di Anna d'Este, e quindi a Milano presso il governatore Consalvo de Córdoba per ringraziarlo del favore dimostrato in Spagna al principe Francesco de' Medici ed assicurarlo della fedeltà di Firenze alla Corona spagnola e ai suoi ministri (istruzione del 18 marzo 1563: ibid., f. 2634).
Questa missione segnò l'inizio della sua lunga carriera diplomatica. Nell'ottobre di quello stesso anno visitò Emanuele Filiberto di Savoia e due anni dopo fece parte del seguito che accompagnava il principe Francesco incontro alla sposa Giovanna d'Austria. Al suo rientro in Toscana prese residenza nel palazzo dei cavalieri di S. Stefano in Pisa per seguire da vicino gli affari dell'Ordine, soprattutto la costruzione delle nuove fabbriche in Livorno. Nel 1570 si recò a Milano insieme con Francesco Gonzaga e Giovanfrancesco Sommi per curare l'acquisto di armi e cavalli da inviare a Carlo IX di Francia per la guerra contro gli ugonotti. Nominato maestro di campo della cavalleria leggera nella fortezza di Siena (1576), presenziò a nome del granduca con tutta la sua compagnia alla posa della prima pietra di Livorno (28 marzo 1577: si veda la relazione, ibid., f. 695, cc. 2, 68-70). Il granduca Francesco I lo inviò quindi in Spagna come ambasciatore straordinario con l'incarico, sotto il pretesto delle condoglianze per la morte del principe Ferdinando, di trattare un prestito di 400.000 scudi in cambio di uno stabile incarico presso la corte spagnola per il fratello don Piero de' Medici.
Partito da Pisa nel gennaio 1579, giunse il 5 febbraio a Barcellona e il 20 a Madrid. Dopo un incontro con Antonio Pérez, segretario di Filippo 11 (24 febbraio), e con lo stesso re (18 marzo) il D. riuscì ad ottenere il generalato delle fanterie italiane per don Piero nonché la stima e la fiducia del re che, favorevolmente impressionato dalla sua franchezza, volle nominarlo maestro di campo, suscitando l'ammirazione di quanti, come Baccio Orlandini, ambasciatore residente, ne lodarono tanto "la destrezza ... grande a maraviglia" quanto "la bontà e devozione sua verso il servizio [del granduca] per la quale ha saputo ricusare gradi e onori spontaneamente offertili" (ibid., f. 4910, c. 238).
Appena rientrato in Italia (giunse a Genova il 29 maggio 1579), il granduca volle che accompagnasse il fratello don Giovanni a Venezia per rin 1 graziare quel Senato degli onori tributati a Bianca Capello (Cappello) e alla sua famiglia. Dopo aver vanamente tentato di evitare una sosta a Ferrara per le note questioni di precedenza tra i Medici e gli Este (6-7 luglio), vennero ricevuti dal doge e dal Senato veneto (9-10 luglio), che onorarono il D. di un trattamento di particolare favore. Seguì una seconda missione spagnola (istruzione del 10 ott. 1579: ibid., f. 321, cc. 63v-66v) nella quale il D. aveva non solo il compito di accompagnare don Piero, che si recava in Spagna al comando di un grosso contingente di fanti, ma anche di giustificare con il re il matrimonio del granduca con Bianca Capello, di ottenere una serie di provvedimenti a favore della casa de' Medici e di convincere Filippo II a tenere un suo ambasciatore residente a Firenze.
Imbarcatisi il 12 novembre a La Spezia, giunsero il 19 dicembre a Madrid, dove trovarono Filippo II già intento a preparare con le armi la sua successione al trono del Portogallo. In vista di tale impresa a don Piero venne riconosciuto il titolo di luogotenente della fanteria italiana e al D., che già aveva rifiutato il comando di 4.000 fanti, la carica di consigliere di guerra.
Occupato in molteplici affari, come testimonia il carteggio di questo periodo (ibid., ff. 4912, 4913 e 5022), il D. dovette affrontare fra gli altri il problema dei rifornimenti e delle paghe per le truppe, scontente per i maltratta - la menti da parte dei comandanti spagnoli. questione dell'eredità di Margherita d'Austria, già moglie del duca Alessandro, che il granduca Francesco avrebbe voluto venisse avocata da Napoli al Consiglio reale di Spagna; la stipulazione di un contratto per dieci galere toscane da mettere al servizio del re allo stesso soldo e alle stesse condizioni di quelle di Giovanni Andrea Doria; la liquidazione dei crediti concessi al re e ammontanti a ben 560.000 scudi e l'invio di un ingente quantitativo di armi fatte raccogliere dal granduca a Brescia e mandate a Cartagena per mezzo di Domenico Simoni. Ad accrescere le difficoltà si aggiungevano la condotta irresponsabile di don Piero ed i contrasti con la famiglia de Toledo il cui odio per il Medici, che aveva assassinato la moglie Eleonora Alvarez de Toledo, finì per coinvolgere anche il D., fatto oggetto di accuse e lamentele presso il granduca da parte del duca d'Alba (ibid., f. 4913, cc. 132-135). Falliti i tentativi di convincere don Piero a nuove nozze con una Colonna, il D. riuscì comunque a sventare un suo progetto di fuga in Inghilterra. Anche lo spinoso problema della liquidazione dei conti fra il re e il granduca, rimandato all'infinito dalle lungaggini dei ministri spagnoli, sembrava non trovare concrete soluzioni, tanto da autorizzare il D. a trattare con il re favori ed onori in cambio della mancata restituzione: furono così ottenuti il riconoscimento del titolo di "altezza" e l'onorificenza del Toson d'oro per il granduca, la protettoria di Spagna per il cardinal Ferdinando, il principato di Capestrano per don Antonio de' Medici e, dopo grandi difficoltà per le opposizioni all'interno del Consiglio reale, il generalato perpetuo della fanteria italiana per don Piero. Vennero invece mancati altri obiettivi quali il titolo di "re di Toscana", la concessione delle roccaforti e dei presidi di Portoferraio e Porto Ercole (per le quali il granduca si era dichiarato disposto a rinunciare alla restituzione dei crediti) ed un progettato matrimonio fra Filippo II e la primogenita del granduca, Maria, per il quale il D. si era procurato il consenso dell'imperatore.
Dopo aver finalmente ottenuto anche la restituzione dei crediti con un assegnamento sulla flotta delle Indie, riscosso poi solo in parte e a prezzo di altre estenuanti trattative, il D. rientrò in Italia nel luglio 1584. Conquistatosi la piena fiducia del granduca per il suo operato in Spagna e grazie al favore di Bianca Capello e del potente segretario Antonio Serguidi, "facilmente si rese l'arbitro della corte e del governo", inimicandosi peraltro il cardinal Ferdinando che "si vedde escluso dalla confidenza delli affari più rilevanti" (Galluzzi, Istoria del Granducato..., IV, p. 7). Questi contrasti si aggravarono nel corso dell'ultima missione spagnola del D. (giugno 1585) quando, inviato per trattare dell'impresa contro i Turchi e per rendere noti al re i retroscena del conclave da cui era uscito eletto Sisto V (istruzione del 10 apr. 1585, in Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, f. 322, cc. 93-95), per il suo lealismo verso il granduca, cui rivelava tutte le manovre dei fratelli presso la corte spagnola, si trovò in netto contrasto sia con don Piero sia con il cardinal Ferdinando, il quale lo sospettò di tramare per defraudarlo della successione a favore di don Antonio de' Medici. Incaricato quindi di recarsi a Roma per far presenti al papa i dubbi del re di Spagna circa l'opportunità di una guerra contro i Turchi in un momento in cui egli si trovava impegnato in numerose altre imprese (istruzione del 28 febbr. 1586: ibid., f. 2636, cc. 123-124), vi si trattenne fino a maggio, rientrando a Firenze per la morte del fratello Flaminio.
Nel dicembre si recò a Cremona, incontrandosi anche con il cardinale Nicolò Sfondrati - il futuro Gregorio XIV - che in una lettera a Bianca Capello lo definisce "amico mio di tanti anni" (ibid., f. 5946, c. 774), quindi a Genova nel gennaio 1587, di nuovo in Toscana all'inizio di marzo, presso il duca di Mantova a maggio e a settembre. Alla morte di Francesco I e di Bianca Capello, nell'ottobre 1587, non venne allontanato da corte come temeva e come accadde ad altri intimi del defunto granduca. Fu al contrario inviato dal cardinal Ferdinando al Senato veneto a partecipare la morte del fratello e trattare alcune vertenze fra le marine toscana e veneta. Il nuovo granduca, dimostrandogli un inaspettato favore, lo utilizzò in seguito in altre ambascerie, sebbene di sempre minore importanza: a Roma e a Napoli nel gennaio 1589 ad annunciare le nozze di Ferdinando I con Cristina di Lorena e di don Piero con la portoghese Beatrice Meneses; a Milano nel giugno di quello stesso anno per convincere il governatore a permettere una leva di 1.000 fanti per don Piero; a Roma nel 1590 per felicitare il nuovo papa Gregorio XIV ed infine di nuovo a Roma nel maggio 1592 per complimentare il neoeletto Clemente VIII.
Resosi conto che la sua posizione a corte andava declinando, nel settembre 1592 si ritirò a Cremona e quindi a Isola Dovarese, nel convento francescano di S. Bernardino. Incapace di rassegnarsi ad una vita inattiva, nel 1592, senza alcun mandato ufficiale, si recò di nuovo in Spagna con la speranza di riuscire a comporre i disaccordi tra il granduca e don Piero, azione che nella corte toscana venne interpretata come un tentativo di cercare un impiego in Spagna in grazia del favore dimostratogli in passato da Filippo II.
Nelle istruzioni che il nuovo ambasciatore Francesco Guicciardini ricevette a suo riguardo dal segretario Belisario Vinta si raccomandava di "usare industrioso artificio per tenerlo amorevole e confidente e intanto non si fidar di lui nei punti importanti ... non lo fare autore di negoziazione" facendogli però credere "che voi confidate sommamente in lui" (ibid., f. 263).
Amareggiato, malato e in gravi difficoltà economiche, dopo aver in un primo momento respinto l'aiuto del granduca perché offeso dalla sua pretesa di garanzie, ripartì per l'Italia nel maggio 1594, lasciando al Guicciardini, che era stato così mal prevenuto nei suoi confronti, il ricordo di un "devoto e sviscerato servitore" della casa Medici, sebbene troppo incline "a volersi ingerire nelle cose del mondo" (ibid., f. 4923, lettera del 10 sett. 1594). Ricevuto l'ordine dal granduca di non accostarsi a Firenze, "per l'essersi di sua autorità attribuito incarichi non affidatigli" (lettera dell'8 ag. 1594: ibid., f. 2637), si ritirò a Isola Dovarese.
Morì a Cremona, in casa del conte Ottavio Affaitati, il 2 genn. 1596. Venne sepolto nella chiesa del convento di S. Bernardino a Isola Dovarese.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Indice Segreteria vecchia, n. 383, cc. 34-51v, 277, 281, 285v. Le istruzioni per le varie ambascerie si trovano Ibid. Mediceo del principato, ff. 62; 277, cc. 147v-149v; 321, cc. 63v-66v; 322, cc. 93-95; 2634; 2636; 2639. Il carteggio relativo alle stesse missioni è conservato ibid., ff. 715; 719; 729; 792; 807; 826; 830; 4910; 4912-4915; 4922; 5022; 5034; 5048, ins. 3; 5080; 5112; Ibid., Miscell. Medicea, f. 165, ins. 15; Arch. di Stato di Pisa, Ordine di S. Stefano, Provanze di nobiltà; Arch. general de Simancas, Papeles de Estado, Estados pequeños de Italia, legajos 1450 (1577), n. 38; 1451 (1578-1583), nn. 1, 54; 1452 (1584-1598), nn. 1, 2, 7, 20; 1485, nn. 2, 31; P. E. Marcobruni, Raccolta di lettere di diversi principi ad altri signori, Venetia 1595 (riporta quattro lettere del D. ad Ottavio Affaitati); R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, Firenze 1781, IV, pp. 6-7; A. Di Montalvo, Relaz. della guerra di Siena, Torino 1863, p. 33; G. Sommi Picenardi, L. D., gentiluomo cremonese, agente mediceo alla corte di Filippo II, in Arch. stor. ital., s. 5, XLVII (1911), pp. 49-129. Su Federico: Arch. di Stato di Firenze, Depositeria, f. 523, c. 16; Mediceo del principato, ff. 471, c. 163; 2329, cc. 16-17; 6429, c. 13.