DOTTESIO, Luigi
Nacque a Como da Carlo e da Antonietta Casartelli il 15 genn. 1814; ma forse la data va corretta in 14 gennaio, sulla base di un documento parrocchiale, che alla data del 15 genn. 1814 lo dice "hieri (sie) natum" (Monti, p. 48). Le umili condizioni della famiglia - il padre era un filatore - non gli consentirono di studiare oltre le prime classi delle elementari. Dotato di una certa vivacità d'ingegno, di un senso laico della umana solidarietà e di una non comune prestanza fisica, nel 1836 si prodigava per la popolazione della sua città colpita da una epidemia di colera; in premio il Municipio gli conferì un posto di vicesegretario comunale e nel 1838 lo designò a rappresentare la città, vestito dell'antico costume di araldo, in occasione dell'incoronazione milanese dell'imperatore Ferdinando I. In quegli stessi anni il D. cominciava a frequentare il casino dei nobili, dove primeggiava l'irrequieto marchese G. Raimondi, e la farmacia di L. Bonizzoni, la cui moglie, Giuseppina Perlasca, riuniva intorno a se i giovani del posto nei quali più vivi erano i sentimenti di avversione alla dominazione austriaca e più ardente il desiderio di tradurre in atto la predicazione insurrezionale mazziniana.
Nello stesso ambiente sì muoveva anche Alessandro Repetti che, erede dal 1840 delle sostanze paterne, nel 1844 acquistava la Tipografia elvetica di Capolago, una ben avviata impresa editoriale ticinese che nelle sue mani avrebbe perso l'originaria caratterizzazione moderata per porsi con le sue pubblicazioni al servizio della causa democratica. Molti anni più tardi, nel 1874, in una intervista a F. Giarelli, il Repetti avrebbe fornito una ricostruzione assai fantasiosa di questo periodo (ricostruzione poi ripresa nell'opuscolo 1840-1895. L. D. da Como e la Tipografia Elvetica di Capolago. Ricordi, Roma 1887, che pur recando sul frontespizio il nome del Repetti era in realtà da attribuire, come ha dimostrato il Caddeo, a G. Molli), facendo risalire proprio "all'intrepido Dottesio" il suggerimento che lo avrebbe spinto all'acquisto della tipografia per farne un centro della produzione e dello smercio nella vicina Lombardia di stampe e opuscoli di propaganda.
Tutte le notizie fornite dal Repetti all'intervistatore, dalla descrizione dei suoi inizi di editore al racconto della partecipazione col D. alla difesa di Roma nel 1849 e della successiva fuga con Garibaldi, sono prive di fondamento, e ciò nonostante sono state in parte utilizzate da altri memorialisti e anche da alcuni storici; la sola cosa che si può accettare è forse la definizione del ruolo del D. nei termini di un ascoltato consigliere e di sagace organizzatore del contrabbando librario tra la Svizzera e il Lombardo-Veneto.
A questa attività, che è probabilmente da ricollegare alle direttive mazziniane, il D. affiancò occasionalmente anche quella di scrittore, pubblicando nel 1847, per una collana della Tipografia elvetica, di "Notizie biografiche degli illustri comaschi", un fascicolo sul podestà T. Perti, cui un altro ne sarebbe seguito nel 1848 (Il vescovo di Como), dedicato ad illustrare la figura dell'austriacante mons. C. Romanò. Intanto si legava sentimentalmente con la Bonizzoni, rimasta vedova ed crede di una cospicua sostanza, ragione questa abbastanza valida perché i parenti di lei avversassero ogni ipotesi di matrimonio. Rispettando i canoni dei romanticismo, la relazione mescolava i motivi affettivi a quelli patriottici; quando nel 1848 giunse a Como la notizia dell'insurrezione milanese, il D. si aggregò alle formazioni volontarie che, inquadrate da A. Arcioni, puntarono su Milano per sostenervi la lotta popolare e, trovata la città già libera, stemperarono il loro spirito combattivo in una breve e improduttiva campagna nell'alta Lombardia: male armati, poco disciplinati, non sempre adeguatamente sorretti dal governo provvisorio milanese, i corpi franchi, in cui il D. raggiunse rapidamente il grado di maggiore svolgendo compiti di collegamento con il comando generale, furono presto sciolti.
Tornato a Como, il D., che il 18 maggio aveva pubblicato un manifesto di consenso al voto per la fusione, cercò ancora di contribuire come capitano della guardia nazionale alle operazioni militari: la guida più sicura per l'azione, anche nel momento della sconfitta militare piemontese, gli veniva dal Mazzini che, raccogliendo gli elementi sbandati tra Piemonte e Canton Ticino, affidava a D. D'Apice e all'Arcioni (dal quale il D. era nominato maggiore addetto allo stato maggiore) il tentativo della Vai d'Intelvi, subito abortito per i contrasti insorti tra i due comandanti. Ma il succedersi delle delusioni non placava la volontà di riscossa dei mazziniani: nel marzo del 1849, alla ripresa della guerra, ancora una volta il D. si sforzò di alimentare la lotta partigiana contro l'Austria, cosa che gli costò un mandato d'arresto della Delegazione provinciale di Como (20 apr. 1849), la cui revoca nel settembre successivo lo mise nella condizione di tornare a Como ma non di riottenere l'impiego municipale toltogli per i trascorsi rivoluzionari. Forse per questo motivo decise allora di porsi definitivamente alle dipendenze della Tipografia elvetica, divenuta, all'indomani della sconfitta e sotto la guida di C. Cattaneo, la fucina dei pensiero politico e della riflessione storica della democrazia italiana.
Malgrado l'indirizzo antiunitario assunto dall'Elvetica, il D., legato a F. Dall'Ongaro e a quello che nel 1850 sarebbe stato il comitato di Lugano, restava fedele alla formula mazziniana del "Dio e popolo", rilanciata, in una cornice che ora comprendeva le altre nazionalità oppresse, attraverso la capillare diffusione del prestito nazionale: certo, al D. interessava anzitutto "la diffusione d'ogni opera che più specialmente militi sotto il vessillo repubblicano" (Caddeo, Perché..., p. 12), ma è evidente che questa penetrazione di idee avrebbe avuto senso solo se avesse mirato a fare di ogni elemento raggiunto con la propaganda un cardine per la futura lotta armata. A lungo visto dagli storici come un semplice contrabbandiere di libri sovversivi, il D. fu in realtà uno dei più risoluti esecutori della strategia che tendeva a coprire il Lombardo-Veneto di una fitta rete di cospiratori, nella prospettiva, dal Mazzini ritenuta imminente, di una nuova insurrezione generale: il suo primo compito era quello di distribuire la stampa prodotta a Capolago, ma, una volta presi i necessari contatti, il D., che aveva la sua base d'operazioni a Milano, passava alla fase operativa.
Tra il gennaio e l'agosto del 1850 la sua azione ebbe una svolta grazie a due viaggi che lo portarono a Verona con l'obiettivo di sondare gli umori dei patrioti veneti e di costituire un comitato in grado di collegarsi con i centri di Milano e Lugano. Qualcosa di questo suo lavorio dovette però giungere fino alle autorità di polizia, forse grazie all'intervento di un delatore che R. Caddeo, lo storico dell'Elvetica, ha voluto individuare in G. Daelli, uno dei più fidati collaboratori del Repetti, e che invece fu, più probabilmente, il bresciano L. Mazzoldi: quale che ne fosse l'origine, comunque, il 12 genn. 1851 il D. fu arrestato a Maslianico mentre passava clandestinamente la frontiera per incontrarsi con la Bonizzoni. Gli trovarono addosso carte molto compromettenti, lettere di cospiratori e una circolare di istruzioni della Società patria che, da poco fondata dal Daelli, si proponeva "la pronta e larga diffusione di libri e stampe tendenti a far fronte alla sistematica scola d'errore che si esercita dai nostri nemici ed a divolgare e a propugnare le idee della più pura democrazia" (Caddeo, La Tipografia..., p. 123). Il D. prima cercò dì liberarsi dei documenti che aveva indosso, poi sostenne poco credibilmente di ignorarne il contenuto; forse se la sarebbe cavata con una lieve condanna se altri arresti effettuati in Veneto nel giugno 1851 nel quadro di un giro di vite poliziesco che aveva visto prevalere la politica repressiva del Radetzky su quella più conciliante dello Schwartzenberg non avessero portato alla luce l'esistenza di quella organizzazione clandestina mazziniana che proprio il D. aveva contribuito ad erigere e il cui scardinamento si sarebbe concluso con i processi del 1852 e con le condanne di Belfiore.
Prima detenuto a Como, quindi trasferito nel luglio a Venezia, il D. nei costituti che subì si difese strenuamente, non fece nomi, respinse le offerte di impunità e solo ammise quelle circostanze per cui il carico delle prove era schiacciante. Vigendo il codice militare, fu imputato di alto tradimento e portato il 25 luglio e il 30 ag. 1851 davanti ad un Consiglio di guerra che il 5 settembre lo condannò a morte mediante impiccagione; e vani si rivelarono poi tutti gli sforzi della Perlasca Bonizzoni per ottenergli la grazia dato che con la sua morte l'Austria conseguiva almeno tre importanti obiettivi: bloccare con una condanna esemplare la trama veneta, lanciare un monito alla Tipografia elvetica piantando la forca dinanzi a Capolago, come ebbe ad osservare G. Ferrari, e indurre le autorità svizzere ad essere meno ospitali con gli esuli. L'esecuzione del D. ebbe luogo a Venezia l'11 ott. 1851 e secondo taluni fu particolarmente dolorosa per il cattivo funzionamento dello strumento adoperato dal boia per l'impiccagione; la stampa internazionale del tempo raccolse inoltre la voce secondo cui a spingere gli Austriaci a comminare la pena capitale al D. aveva contribuito l'atteggiamento del Consiglio municipale di Como che si era rifiutato di prestare il dovuto omaggio all'imperatore in visita alle province italiane e che per tale motivo il Radetzky si era affrettato a sciogliere con decreto del 9 ott. 1851.
Nel 1868 i resti del D. furono portati da Venezia a Como e deposti nelle urne destinate ai caduti del 1848.
Fonti e Bibl.: Dopo le testimonianze del Repetti sopra richiamate, il primo lavoro critico sul D. è quello di C. Poggi, G. Perlasca e L. D., Como 1896, poi ripreso e completato da R. Caddeo, La Tipografia Elvetica di Capolago. Uomini, vicende, tempi, Milano 1931, passim, ove è esposta, ma in modo niente affatto persuasivo, la tesi del tradimento del Daelli, peraltro subito confutata da G. Aliati, Per la verità storica. I rapporti di G. Daelli con L. D. ..., Como 1931, e da M. Cugnasca, G. Daelli nel volume di R. Caddeo sulla Tipografia elvetica, in Como, II (1931), estr. Ribadita da R. Caddeo, Le ediz. di Capolago. Storia e critica, Milano 1934, ad Indicem, la tesi antidaelliana è stata sostanzialmente abbandonata dallo stesso nell'articolo Perché l'Austria immolò D., in La Martinella, III (1954), pp. 11-15. Per le polemiche che la morte del D. suscitò fra unitari e federalisti si vedano E. Lavelli-P. Perego, I misteri repubblicani e la Ditta Brofferio, Cattaneo, Cernuschi e Ferrari, Torino 1851, pp. 134, 161 ss.; Ediz. naz. degli scritti di G. Mazzini, XXXVII, XLV, XLVII, ad Indices; A. Monti, Un dramma fra gli esuli, Milano 1921, pp. 48-54, 114, 118; C. Cattaneo, Epistolario, a cura di R. Caddeo, I-II, Firenze 1949-52, ad Indices; Id., Scritti dal 1848 al 1852, in Tutte le opere di C. Cattaneo, a cura di L. Ambrosoli, V, Milano 1967, pp. 839 s. (è il testo della protesta pubblicata dal Repetti una settimana dopo l'esecuzìone del Dottesio). Per altre notizie, anche sulla giovinezza del D. e sui suoi contatti con i mazziniani, cfr. inoltre L. Zini, Storia d'Italia dal 1850 al1866, Milano 1866, I, 1, pp. 322 s; II, 1, pp. 300 s.; V. Ottolini, La rivoluz. lombarda del 1848 e 1849, Milano 1887, pp. 3, 63, 360 ss., 447; C. Poggi, Como 1848. Spigolature storiche, Como 1889, p. 51; G. De Castro, I processi di Mantova e il 6 febbr. 1853, Milano 1893, pp. 61, 123 s., 140, 142-152, 174 s., 180-190; R. Barbiera, L.D. e Giuseppina Perlasca, in Figure e figurine del sec. XIX, Milano 1921, pp. 341-364; R. Rogora, L'esilio di C. Cattaneo nel Canton Ticino, in Arch. stor. della Svizzera ital., V (1930), pp. 176, 189 ss., ove è accolta la notizia di una partecipazione del D. alla difesa di Roma nel 1849 poi accettata anche da C. Spellanzon-E. Di Nolfo, Storia del Risorg. e dell'Unità d'Italia., VIII, Milano 1965, pp. 87 s.; L. Marchetti, Il decennio di resistenza, in Storia di Milano, XIV, Milano 1960, pp. 511 s; U. Baroncelli, Dalla Restaurazione all'Unità d'Italia, in Storia di Brescia, IV, Milano 1964, p. 327. Fondamentale per la ricostruzione della trama lombardo-veneta R. Fasanari, La propaganda mazziniana di L. D. a Verona (1850-51), in Atti e mem. dell'Acc. di agric. scienze e lettere di Verona, s. 6, VII (1955-58), pp. 329-422. Altre indicaz. su lavori per lo più di stampo celebrativo in Inventario della Raccolta Bertarelli, Milano 1925, II, ad Indicem, e in Bibliografia dell'età del Risorg. in onore di A. M. Ghisalberti, IV, Indici, Firenze 1977, ad nomen.