DI LIEGRO, Luigi
Nacque a Gaeta (Latina) il 16 ottobre 1928, da Cosimo e Anna Catanzano, in una famiglia numerosa e povera; fu battezzato il giorno successivo nella chiesa parrocchiale di Gaeta, S. Giacomo di Terra Rossa, da don Levi Panico. Ereditò il nome Luigi da uno dei fratelli, morto l’anno prima della sua nascita. Il padre, pescatore, aveva cercato a più riprese di trovare un lavoro più redditizio emigrando negli Stati Uniti, dove da tempo, però, l’immigrazione era regolamentata da norme più restrittive. Per questo i suoi diversi tentativi di raggiungere quel Paese non erano riusciti, ma tali esperienze segnarono il piccolo Luigi, che un giorno avrebbe messo gli immigrati al centro delle sue attenzioni.
La formazione e il sacerdozio
A Gaeta frequentò le classi elementari fino alla terza e fece il chierichetto nella sua parrocchia, dove fu noto anche per la sua vivacità. Per la quarta e la quinta fu invece alunno della scuola del Divino Amore, situata in Castel di Leva, sotto la guida del rettore del santuario, don Umberto Terenzi.
L’ingresso di Luigi nel seminario del Divino Amore, il santuario romano dove era già presente la sorella maggiore, suor Maria, ha qualcosa di romanzesco: il padre era infatti contrario a quella scelta e Luigi fece una vera e propria fuga da casa. Venne ritrovato nel santuario proprio dal papà, che di fatto fu costretto ad accettare la sua decisione. Le testimonianze, non sempre concordi, lasciano pensare che sia stata la sorella maggiore, suor Maria, a facilitarne la fuga da casa e le stesse testimonianze sono invece concordi nel narrare che, all’arrivo del padre, Luigi si sarebbe nascosto in un confessionale, da dove sarebbe uscito quando si rese conto della sofferenza del genitore, che accettò di lasciarlo in seminario.
Ricevette la formazione abituale di molti preti del suo tempo: gli studi nel piccolo seminario romano di viale Vaticano e quindi nel Pontificio seminario romano maggiore. Nel 1947 conseguì, con una votazione medio-bassa, la maturità classica presso il Pontificio istituto S. Apollinare, un ginnasio-liceo legalmente riconosciuto. Nell’ottobre del 1947 entrò nel Seminario romano maggiore, frequentando i corsi di filosofia e teologia dell’Università Lateranense fino al conseguimento della licenza in teologia. Fu uno studente diligente, senza grandi acuti, come si può desumere dai voti dei suoi esami, in genere buoni o discreti, ma che si fece notare soprattutto per altri interessi, quelli sociali, assecondato in questo dal padre spirituale, mons. Pericle Felici (1911-1982), il futuro segretario generale del concilio Vaticano II. Non è casuale che i suoi compagni lo chiamassero «Di Vittorio», il noto sindacalista, anch’egli di origini meridionali.
Dal Prenestino al Vicariato di Roma
Concluse gli studi nel 1953: il 4 aprile fu ordinato sacerdote. Arrivò così la prima nomina, in una località dove il don Luigi-‘Di Vittorio’ poté dedicarsi proprio a quegli interessi sociali che lo avevano tanto coinvolto negli anni del seminario: il giovane prete fu infatti inviato presso il S. Leone Magno al Prenestino. Si trattava di un quartiere operaio romano, di periferia, con tutti i problemi delle periferie delle grandi città. Don Luigi iniziò a occuparsi dei problemi della zona. Poco tempo dopo decise di tentare una prima indagine di carattere sociologico sulla religiosità del quartiere, premessa per le varie indagini sulla religiosità dei romani che negli anni successivi avrebbero coinvolto alcuni docenti dell’Università Gregoriana, dapprima il gesuita padre Pedro Beltrão, poi Emile Pin e Paolo Tufari.
Contemporaneamente avvenne la scoperta della JOC (Jeunesse Ouvrière Chrétienne), l’associazione fondata negli anni Venti da un giovane prete belga, Joseph Cardijn, che in futuro, anche da cardinale, avrebbe dimostrato una profonda amicizia verso il prete romano. Lo studio della JOC, con il metodo della revisione di vita e del vedere-giudicare-agire, alimentò in don Luigi la voglia di conoscere meglio il movimento e i suoi metodi di apostolato. Iniziarono così le sue letture sempre più frequenti e più attente soprattutto della rivista francese espressione di quella forma di apostolato, Masses Ouvrières, dalla quale trasse molti articoli con i quali formò i suoi dossier. Colse poi l’occasione di un corso svoltosi in Belgio, al quale parteciparono anche molti preti italiani, per studiare sul posto, in una zona mineraria, quel tipo di pastorale. Il viaggio in Belgio, nel 1958, e la visita alle miniere (si conserva una foto in cui viene ritratto con in testa il tipico caschetto del minatore) avrebbe fatto nascere un mito, privo di fondamento ma regolarmente ripreso dai suoi biografi, di don Luigi prete operaio in Belgio, fatto assolutamente impensabile sia per il periodo in cui ciò sarebbe avvenuto sia per il carattere di don Luigi, che non avrebbe mai compiuto una scelta contro la volontà dei superiori ecclesiastici. Proprio in quegli anni vigeva, infatti, la decisione romana di proibire il lavoro salariato dei preti, un’esperienza che aveva avuto un certo sviluppo a partire dal secondo dopoguerra, soprattutto in Francia, grazie anche all’appoggio ricevuto dal cardinale di Parigi, Emmanuel Suhard.
All’esperienza della pastorale parrocchiale si affiancò presto, a partire dal 1957, un altro tipo di incarico, quello di vice assistente e poi assistente del Movimento lavoratori della Gioventù italiana di azione cattolica. Fu la premessa per la sua chiamata in Vicariato, nel 1964, presso l’Ufficio pastorale. Qui studiò un piano per la riorganizzazione delle parrocchie romane, con la divisione in cinque settori, da cui sarebbero scaturite le successive riflessioni sulla riorganizzazione di tutta la diocesi. Un possibile modello poteva essere la diocesi di Parigi, che in quegli anni stava elaborando una nuova organizzazione pastorale e la suddivisione del territorio in diverse diocesi: per questo don Luigi raccolse informazioni e documenti sulle scelte della Chiesa parigina.
Per offrire a don Luigi un luogo di riferimento e di vita, nel 1967 fu nominato rettore dell’oratorio romano del Ss. Sacramento di piazza Poli. Alla chiesa era annesso un alloggio che diventò poi la sua dimora abituale.
La collaborazione con i gesuiti della Gregoriana si fece più intensa, e nel 1969 fu promossa un’indagine sulla religiosità dei romani che gli servì per programmare le sue attività future; nel 1972 venne infatti chiamato in modo formale alla direzione del Centro pastorale diocesano per l’animazione della comunità cristiana e i servizi sociali. Una delle attività che ebbe un maggiore impatto sull’opinione pubblica fu il convegno del 1974 dedicato a La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di giustizia e di carità nella diocesi di Roma, pensato come un momento di riflessione coinvolgente tutte le forze religiose, politiche e sociali che agivano a Roma, e che sarebbe entrato nella cronaca come il convegno sui «mali di Roma». Don Luigi ne fu il vero animatore e molti degli interventi del cardinale vicario di Roma, Ugo Poletti, furono scritti sulla base delle sue proposte e dei suoi appunti.
Anche questo è un capitolo spesso rievocato da varie angolature. Molti giornali scrissero che don Luigi aveva forzato la mano al cardinale Poletti. I manoscritti dell’archivio Di Liegro provano il contrario: i testi di Poletti sono quasi sempre scritti da don Luigi, le correzioni fatte dal cardinale sono in genere orientate verso una maggiore apertura e accentuano alcune critiche che don Luigi non aveva indicato. Anche da parte della Curia romana vi furono critiche all'operato di don Luigi. Tutto venne ribadito, al momento della sua morte, in un articolo di Orazio La Rocca pubblicato su La Repubblica il 13 gennaio 1997.
Don Luigi risultò comunque uno dei veri protagonisti dei lavori, attirando simpatie ma anche non poche antipatie, soprattutto da personaggi politici legati alla Democrazia cristiana che avevano interpretato il convegno come una denuncia delle loro inadempienze. Tra l’altro, questo fu uno degli episodi che spinsero un noto protagonista della vita politica romana, l’onorevole Vittorio Sbardella, ad accentuare la sua diffidenza nei confronti di don Luigi. Da notare che Sbardella lo avrebbe poi voluto al suo fianco al momento della morte.
Probabilmente proprio in seguito a quel convegno sarebbero arrivate a don Luigi alcune proposte di un incarico politico. Don Luigi non le accettò, ma fu coinvolto in un Comitato di coordinamento che iniziò a operare nel 1975 e raggruppò diversi studiosi e personaggi politici, con lo scopo dichiarato di contribuire a un profondo rinnovamento della Democrazia cristiana romana.
Dall’aprile del 1976 don Luigi smise di partecipare alle riunioni del Comitato, non a causa dei molti impegni, come si disse allora, ma in seguito a una precisa richiesta del cardinale Poletti, vicario di Roma, il quale gli fece notare che la sua presenza in quel Comitato significava di fatto un impegno politico della diocesi di Roma, dal momento che lo stesso don Luigi era responsabile di uno degli Uffici del Vicariato.
Negli stessi anni, e precisamente dal 1975, iniziò a occuparsi, facendo le funzioni di parroco, del centro Giano di Acilia. Il centro fu costituito in parrocchia nel 1985, e don Luigi ne fu nominato amministratore. Nel 1995 le autorità ecclesiastiche decisero di regolarizzare la situazione con la nomina di un parroco della parrocchia che venne intitolata a S. Maria del Ponte e S. Giuseppe. Don Luigi pensava probabilmente, una volta lasciate le sue attività nel Vicariato, di scegliere quel luogo per ritirarvisi come parroco. La nomina di un altro prete, con decreto datato 1° agosto 1995, fu certamente per lui fonte di grande amarezza, anche se non gli fece rinunciare a recarvisi per la celebrazione domenicale della Messa.
La nascita della Caritas e lo sviluppo delle altre attività
Le riflessioni, le denunce, le proposte scaturite dal convegno sui mali di Roma condizionarono fortemente la nascita e gli sviluppi della Caritas romana, avvenuta nel 1979 e diventata da quel momento, grazie alla sua direzione, il vero centro motore di tutte le iniziative della Chiesa romana rivolte ai meno fortunati, ai più poveri e agli emarginati della città.
Sarebbero stati per don Luigi diciotto anni di attività ininterrotta, sempre alla ricerca dei modi migliori per fronteggiare le nuove povertà e soprattutto per promuovere varie attività in grado di affrontarle, dai barboni agli immigrati, dai carcerati agli emarginati fino ai malati di AIDS, considerata in quegli anni la nuova peste del XX secolo. Don Luigi rivelò ben presto uno straordinario talento per affrontare queste nuove realtà e i suoi bisogni. Nel 1981 fu aperto un Centro ascolto per stranieri in via delle Zoccolette, nel 1983 un ambulatorio per chi non usufruiva di assistenza medica, affiancato poi da un centro odontoiatrico. A partire dallo stesso anno iniziò la vicenda delle mense, aperte in vari luoghi della città e della periferia e diventate un punto di riferimento per un numero sempre più alto di bisognosi, in primo luogo i barboni, particolarmente colpiti dal rigido inverno del 1984, quando il freddo provocò la morte di alcuni di loro. Vennero dunque aperti ostelli e mense in viale Manzoni, a Ostia, a Primavalle, spesso incontrando l’ostilità dei residenti che temevano che quelle istituzioni avrebbero attirato nella zona una folla di emarginati. Il risultato più significativo fu comunque la mensa e l’Ostello della stazione Termini, inaugurati in seguito a un accordo con le Ferrovie dello Stato, che misero a disposizione i locali.
Don Luigi scopriva sempre nuovi bisogni, riusciva ad attirare collaboratori, discuteva con le autorità di ogni tipo, cercava appoggi da qualsiasi parte, fino alla grande battaglia per la Casa famiglia per malati di AIDS a Villa Glori, nel quartiere Parioli. L’esito fu positivo, ma le amarezze, gli attacchi, gli insulti che il prete degli ultimi dovette affrontare e subire da parte dei residenti non si contano, e spesso proprio basati sugli argomenti più desolanti, al limite del ritorno a una concezione classista della società, in cui i paladini dei poveri vengono considerati come coloro che intendono prima di tutto punire i ricchi in quanto tali, come si legge in diversi articoli apparsi in quei giorni in alcuni giornali.
L’altra grande battaglia, questa volta persa, fu attorno alla Pantanella, vecchio pastificio in una zona centrale di Roma, dismesso e diventato rifugio prima di centinaia e poi di migliaia di stranieri senza dimora. Don Luigi collaborò per dare a quell’edificio la parvenza di una casa abitabile, soprattutto nel corso dell’inverno tra il 1990 e il 1991, fino a quando le autorità decisero di sgombrarlo con la forza. Anche questo fu per lui un momento di particolare impegno e anche di profonda sofferenza.
Il problema degli immigrati ridiventò drammatico con l’arrivo di migliaia di rifugiati albanesi, occasione per don Luigi di mettere in atto un progetto Albania, di cui parlò in un articolo di Italia Caritas dell’estate 1991, arrivando a organizzare un gemellaggio con Tirana e a prepare diversi progetti da realizzare in quel Paese. Anche il capitolo Albania fu occasione, e ancora lo è, per varie interpretazioni: Di Liegro fu inviato laggiù perché era un nuovo campo di azione per combattere le povertà, o per il solito e classico motivo, promoveatur ut amoveatur? Anche l'eventuale promozione di don Luigi all’episcopato fu vista come un modo per allontanarlo dalla diocesi romana.
Negli anni Novanta venne anche coinvolto nell’attività delle organizzazioni che andavano sorgendo, in primo luogo nella città di Napoli, contro l’usura.
Un altro capitolo di grande significato della vita di don Luigi fu il suo rapporto con la realtà carceraria, che conobbe profondamente grazie a suor Teresilla, l’angelo delle carceri, morta tragicamente mentre a piedi si recava al santuario del Divino Amore, proprio quel santuario da cui don Luigi aveva iniziato il suo cammino verso il sacerdozio. E di grande rilievo fu anche il lavoro effettuato da Di Liegro con gli ex brigatisti, sia quelli detenuti nel carcere di Rebibbia sia i fuorusciti che avevano cercato asilo politico a Parigi, dove si recò alcune volte per tentare di avviare un dialogo con loro, allo scopo di convincerli a rientrare i Italia, accettare la pena e chiudere un capitolo difficile della loro vita e della vita del Paese.
Fra le sue grandi gioie si può ricordare la visita fatta da Giovanni Paolo II il 20 dicembre 1992 alla mensa di Colle Oppio. Il papa conosceva bene le attività di quello strano prete e in diverse occasioni aveva espresso la sua ammirazione e la sua approvazione nei suoi confronti (avrebbe detto a don Luigi, nel corso di un’udienza, come ricordano alcuni dei presenti, di non preoccuparsi di quelli che lo criticavano, «sono gli stessi che criticano anche me»).
La malattia e la morte
Fra i vari problemi che fu costretto ad affrontare in ultima posizione don Luigi collocava quelli della sua salute. Non ne parlava, e rinviava sempre quelle cure che forse avrebbe dovuto fare per combattere il diabete e per i diversi disturbi cardiaci. Così il suo cuore cominciò a dare segni di stanchezza, al punto da convincerlo ad accettare un ricovero all’ospedale S. Raffaele di Milano, dove il suo cuore cessò di battere il 12 ottobre 1997, quel cuore, come gli scrisse esplicitamente un carcerato dal carcere romano, che don Luigi aveva consumato per amare tanti suoi fratelli. I funerali, celebrati in S. Giovanni in Laterano il 15 ottobre dal cardinale Ruini, furono per tutti la più grande testimonianza di quello che quell’uomo di Dio aveva significato per la comunità dei credenti e per tanti altri: dal presidente della Repubblica fino al più umile e povero dei barboni, si raccolsero in silenzio per salutare ancora una volta «il monsignore degli ultimi».
Dalla vita e dalle attività di don Luigi emergono alcuni elementi che aiutano a comprendere meglio lo spirito che lo ha animato. Un primo dato riguarda la sua preparazione culturale. Nonostante un’attività assolutamente prodigiosa, il susseguirsi ininterrotto di impegni di ogni genere, si aggiornò continuamente, preparò dossier sugli argomenti di cui si occupava leggendo libri, riviste e giornali che ritagliava, sottolineava, tormentava; e scrisse, raramente parlò a braccio, redasse schemi o testi integrali dei suoi interventi, quasi sempre a mano, con una grafia talvolta facilmente leggibile, altre meno, probabilmente a causa del fatto che approfittò di ogni luogo e di ogni situazione per scrivere, prendere appunti, fermare sulla carta i suoi pensieri. L’altro aspetto meno noto è la sua vita spirituale. Alle volte ci si è chiesti dove trovasse l’alimento per un tipo di vita privo di riposo, di spazi personali, di vita privata. Gli amici che lo hanno conosciuto meglio rispondono a tale quesito: don Luigi era un uomo di azione, tutti lo pensavano e lo vedevano soprattutto in quella luce, ma era anche un uomo di preghiera, alla quale dedicò molto tempo. Era lui stesso a dire agli amici (come testimoniano in particolare don Angelo Pansa e don Bruno Nicolini) che spesso al mattino, prima di essere travolto dagli impegni, dedicava ore al silenzio, alla meditazione, al colloquio con il Signore: solo così pensava di avere la forza per reggere a ritmi fisici e a preoccupazioni quotidiane che avrebbero stroncato anche una persona con una salute molto più solida della sua.
Opere
I suoi scritti sono apparsi in alcune riviste tra cui Roma Caritas e Roma Sette –settimanale diocesano della Chiesa di Roma, supplemento domenicale di Avvenire – e Rivista religiosa di Roma, mensile della diocesi di Roma. Tra le sue opere: Vangelo e Vita. Indice analitico del Nuovo Testamento sui comportamenti dell’uomo d’oggi, Roma 1987; Per conoscere l’Islam. Cristiani e Musulmani nel mondo di oggi, a cura di L. Di Liegro, F. Pittau, Casale Monferrato 1991; Immigrazione. Un punto di vista, in collaborazione con F. Pittau, Roma 1997; Emarginati, in Dizionario di omiletica, a cura di M. Sodi, A.M. Triacca, Torino 1998, pp. 440-443.
Fonti e Bibliografia
L’archivio di don Luigi, conservato a Roma presso la Fondazione che porta il suo nome, contiene buona parte della documentazione che lui stesso aveva raccolto, spesso in modo non del tutto sistematico, e che permette di ricostruire molti dei momenti della sua vita. Esistono altri archivi che possono offrire ulteriore documentazione, in particolare l’Archivio del Vicariato di Roma e quello dell’Azione cattolica. La sua vita ha dato anche origine a una fiction, trasmessa su Canale 5 e su Rete 4 (L’uomo della carità. Don Luigi Di Liegro, 2007) e a vari programmi televisivi, tra cui si ricorda Don Luigi Di Liegro: un prete romano, all’interno di Speciale Tg1, Raiuno, 30 maggio 2010.
Sono numerosi gli articoli a lui dedicati in giornali e riviste, sia durante la sua vita sia al momento della morte; si citano qui solo i titoli di opere che trattano esplicitamente della sua vita e della sua opera: R. Curcio, Shish Mahal, Roma 1991; M. Melliti, Pantanella. Canto lungo la strada, Roma 1992; M. Armellini, Sulla frontiera dell’Aids. La battaglia di Luigi Di Liegro e di Villa Glori contro la “peste” della paura, Dogliani 1999; Educare alla carità. Testimonianze e riflessioni in memoria di don Luigi Di Liegro, a cura della Fondazione internazionale don Luigi Di Liegro, Roma 2001; Vangelo e vita nel nuovo millennio, a cura della Fondazione internazionale don Luigi Di Liegro, Roma 2002; Esclusione e comunità. Decentramento e partecipazione nel pensiero e nell’azione di don Luigi Di Liegro, a cura di G.B. Sgritta, Roma 2004; O. La Rocca, “Avevo fame… avevo sete…”, Roma 2005; P. Ciociola, Luigi Di Liegro. Prete di frontiera, Milano 2006; A. Valle, Teresilla. La suora degli anni di piombo, Milano 2006; L. Badaracchi, Luigi Di Liegro. Profeta di carità e giustizia, Milano 2007; M.A. Pezza, Don Luigi Di Liegro. La voce degli ultimi, Genova 2007; F. Placidi, Accanto a don Luigi Di Liegro. Testimonianze, Roma 2007; M. Guasco, Carità e giustizia. Don Luigi Di Liegro (1928-1997), Bologna 2012.