Luigi Dal Pane
Luigi Dal Pane (Castel Bolognese, 1903-Faenza, 1979) lesse giovanissimo – da militante socialista e poi comunista – le opere di Labriola. A Roma nel 1922, presso i familiari del filosofo, poté studiarne le carte: ne risultò il tentativo – importante, ma filologicamente poco curato – di ricostruire sulla base di appunti del corso del 1900-1901 (e di altri materiali eterogenei) il ‘quarto saggio’, progettato da Labriola e mai portato a termine (Da un secolo all’altro. Considerazioni retrospettive e presagi, a cura di L. Dal Pane, 1925). Nel 1935 pubblicò Antonio Labriola: la vita e il pensiero (riproposto e ampliato poi come Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, 1975). La prefazione di Gioacchino Volpe al volume, che accentuava la distanza di Labriola dal Partito socialista, indugiando sui ‘precorrimenti’ del fascismo nelle sue posizioni sulla politica estera e la questione coloniale, favorì la circolazione del testo in pieno regime (pp. XIV-XVII). L’opera segnò la ripresa d’interesse nei confronti di Labriola, dopo un lungo oblio (negli anni successivi apparvero la ristampa degli studi su Marx di Gentile, 1937, e la riedizione dei Saggi curati da Croce, 1938-39), ripresa continuata poi ininterrottamente a partire dal dopoguerra. Docente di storia economica (a Bari, Perugia e Bologna), Dal Pane progettò l’edizione integrale degli scritti di Labriola, editi e inediti, della quale uscirono però, per dissensi con l’editore, solo i primi tre volumi (Opere, 1959-1962), contenenti le opere giovanili.
Il volume del 1935 e la successiva riedizione sono ancora oggi assai utili per la ricca mole di inediti e documenti che chiariscono in punti decisivi la vicenda di Labriola. Il fondo manoscritto raccolto da Dal Pane (costituito dalle carte, da parte del carteggio e da trascrizioni di corsi di mano degli allievi), ora acquisito dalla Società napoletana di storia patria, è la fonte principale del testo critico previsto dall’Edizione nazionale delle Opere di Labriola in corso di attuazione. Dal Pane giunse a scrivere, accentuando alcuni motivi dell’edizione del 1935, che l’importanza dei corsi universitari è «superiore a quella degli stessi lavori a stampa» (Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, cit., p. 421). Questo giudizio si spiega con la crescente propensione di Dal Pane, sulla base della problematicità del marxismo dell’ultimo Labriola, a scinderne l’opera storica da quella politica (che Labriola concepiva invece come strettamente unite, anzi inseparabili), sottolineando la «prevalenza» dei «criteri scientifici e positivi» su quelli «ideologici»: al punto che il materialismo storico nella versione labrioliana (superiore persino a quella di Marx) non sarebbe più «né socialistico, né antisocialistico» (pp. XIV, 333, 380). Labriola, sarebbe perciò autore di un sistema «aperto» e di una rivoluzione nei «metodi della storiografia», della quale lo stesso autore ebbe solo in parte coscienza (pp. 374, 444). Dal Pane finiva così per consentire con il primo Croce sul valore del marxismo di Labriola come canone di metodo storico, respingendone invece la lettura come «semplice ideologia rivoluzionaria» (pp. 449, 457). Gli autentici eredi di Labriola non furono così, per Dal Pane, Croce o Gramsci, ma piuttosto due autori con i quali egli aveva avuto stretti contatti, ossia Rodolfo Mondolfo e Volpe. La «filosofia della praxis» di Mondolfo sarebbe in qualche modo implicita nel materialismo storico di Labriola, il quale, nonostante i suoi residui deterministici e la preminenza data all’economia nella spiegazione dei fatti storici, si accosterebbe alla comprensione dell’«infinita varietà e complessità» della vicenda umana. Il primo Volpe per parte sua – quello degli studi sulle istituzioni medievali – mostra secondo Dal Pane l’assimilazione più consapevole del metodo storiografico di Labriola, alieno da qualsiasi «sociologismo astratto» (pp. 370-72, 466-68).