CRESPI, Luigi
Nacque a Bologna il 23 genn. 1708 da Giuseppe Maria e da Giovanna Cuppini (Bologna, S. Pietro, Registro d. Battistero, ad a., c. 18v; Ibid., Bibl. com., ms. B 872: B. Carrati, Cittadini maschi battezzati in S. Pietro, c. 173).
Crebbe nella bottega paterna e si sforzò, pur non dotato come il padre, di assimilarne lo stile quale si andava evolvendo negli anni '20 del secolo. Ne rimase così coinvolto che il dipinto con il Sogno di s. Giuseppe (Bologna, Conservatorio del Baraccano) è già segnalato nella guida Pitture di Bologna del 1732 come "bell'opera dello spiritoso giovanetto Luigi Crespi degno figliolo di Giuseppe, e del quale molto si può sperare" (p. 214). Ma nell'edizione del 1782 della stessa guida si afferma che il quadro è opera "del Canonico Luigi Crespi, sostenuto e aiutato sommamente da suo padre Giuseppe", con un'approssimazione al vero di gran lunga superiore e significativa, che ci illumina su una pratica largamente adottata nella bottega crespiana, in cui i figli vennero aiutati dal padre che, sin che poté, suggerì la traccia delle composizioni, ritoccandone poi di sua mano la stesura pittorica. Per meglio distinguere la maniera di Giuseppe Maria da quella del figlio, sono da meditare alcuni casi di collaborazione rispetto ai quali una fonte autorevole e coeva come lo Zanotti 1739) non ci è di aiuto, poiché assegna senz'altro al C. le pale di S. Sigismondo di Bologna (Ss. Giuseppe, Liborio, Pasquale, Anna e la Vergine col Bambino) e della chiesa di S. Bartolomeo della Buona Morte di Finale Emilia (Madonna e ss. Andrea Avellino e Giovanni Nepomuceno), ora trasferita nel duomo.
Nel dipinto bolognese è invece chiaro che del C. sono soltanto s. Liborio e l'angelo che regge la mitria, mentre le restanti figure corrispondono ai modi stilistici propri di Giuseppe Maria verso il '35. Altrettanto può dirsi della pala di Finale, ove però le parti sono invertite, spettando a Giuseppe Maria almeno il s. Giovanni Nepomuceno e i due angeli della parte inferiore e a Luigi l'altro santo e la zona soprastante.
Altra opera di collaborazione è il S. Giovanni Nepomuceno portato in gloria dagli angeli, nel convento di S. Giuseppe in Bologna, ove il padre ripete puntualmente lo schema dell'Assunzione della chiesa del Crocifisso a Lucca, ma lasciando al figlio l'esecuzione dell'angelo di destra e le tre teste di cherubini ai piedi del santo.
Per trovare un'opera eseguita dal solo C. (segnalazione dello Zanotti, 1739, p. 72) occorre considerare la pala della parrocchiale di Bastiglia (Modena), con i Ss. Clemente e Gimignano, che si dimostra interamente sua per quella corsività un po' facile e grezza che salta subito all'occhio, per quell'impegno febbrile negli ornati e nelle descrizioni minute d'abiti e oggetti... Per quanto attiene la cronologia, le prime opere datate risalgono al 1732: la Madonna del Rosario e santi (Prato, Conservatorio di S. Nicolò), la Madonna del Rosario nel santuario di Valdibrana (Pistoia) e i ritratti di Lambertino Cellesi e della moglie di questo Elisabetta, rispettivamente nel Museo civico di Pistoia e negli Staatliche Museen di Berlino-Dahlem (Evangelisti, 1981; Mannini, 1982). Nel 1742, per incarico di Carlo Emanuele III di Savoia, fu commissionata a Giuseppe Maria l'Adorazione dei pastori (Torino, Galleria Sabauda), che tuttavia già il Voss (1913) ritenne giustamente doversi attribuire a Luigi. Il fatto è eloquente e prova che il C. ebbe una parte di rilievo nella bottega paterna. Sembra infatti che anche l'Angelo annunciante, donato da Giuseppe Maria all'oratorio di S. Maria della Maddalena (Bologna) nel 1741, possa essere ascritto in parte a Luigi, mentre del padre è sicuramente il pendant con l'Annunciata. D'altra parte, se il C. non avesse firmato il Ritratto di architetto della Pinacoteca nazionale di Bologna, si sarebbe indotti a crederlo del padre, per la matura indagine del tipo umano e la materia soda e corposa. Per un riscontro persuasivo giova confrontare con il Beato Arcangelo Canetoli, approdato alla parrocchiale di Grizzana (Bologna) intorno al 1745-50 (Arcangeli, 1966, n. 21), quando cioè Giuseppe Maria era stato colpito dalla cecità.
Il dipinto è un altro documento della miglior vena del C., che vi esibisce un impeto luministico neoguercinesco e passaggi di brillante abilità, da ritrovarsi in altri dipinti firmati e datati, egualmente di buon livello, come il Beato Giovanni da Prato del convento dell'Osservanza a Bologna, del 1744 (Oretti, Notizie..., c. 378), e il S. Giuseppe col Bambino e s. Giovannino del convento dei servi a Ronzano (Bologna), firmato e datato 1745; mentre meno riuscita, se pur con passaggi apprezzabili, è la Cena in Emmaus di Lugagnano Val d'Arda (Piacenza), firmata e, datata 1748.
Nel 1748 il C., che alcuni anni prima era stato nominato dal card. Lambertini "segretario generale della visita della città e diocesi" (Crespi, 1769, p. 221), fu nominato canonico della collegiata di S. Maria Maggiore in Bologna e due anni dopo cappellano segreto del Lambertini, divenuto papa Benedetto XIV. Il 6 marzo 1751 si recò a Modena "desiderando quel principe rimettere in qualche parte la sua galleria" (lettera del C. al Bottari; cfr. Bottari-Ticozzi, 1822, IV, p. 367). Tra il 1752 e il 1753 soggiornò sette mesi a Dresda su istanza di quella corte, dopo aver sostato nel corso del viaggio a Venezia, Trieste e Vienna (lettere del C. al Bottari; ibid., IV, pp. 3953 404, 406). Nel 1753 firmò e datò il S. Ignazio eseguito assieme ad altri tre dipinti (S. Procolo, S. Antonio, S. Rocco) per l'oratorio della Maddalena in Bologna, mentre altri dipinti di argomento sacro recano le date del 1761 (Ritratto del p. Gioacchino Banzi, Bologna, convento di S. Giuseppe) e del 1762 (Sacra Famiglia, già in coll. privata a Bologna). Ma indubbiamente la parte migliore dell'attività del C. è quella che riguarda la ritrattistica, che portò avanti con costante impegno, pervenendo ad una peculiarità di modi che segna una fase significativa nello svolgimento del genere, con lucido anticipo della finezza esecutiva dei neoclassici.
La mostra fiorentina del Ritratto italiano (1911) documentava, con i già citati ritratti del balì di Pistoia, Lanfredino Cellesi (1732) e della moglie, un'attività giovanile del C. in questo settore. Quanto al già menzionato Ritratto di un architetto della Pinacoteca naz. di Bologna, se pur con un ipotizzabile intervento finale del padre, registra una larghezza di impasti e una perspicuità di definizione che son tutte prerogative riscontrabili in opere certe del C. appartenenti al quinto decennio. Occorre dunque ammettere una notevole crescita, in tali anni, della pittura del C., maturata dopo un lento e quasi succube tirocinio col padre. Se frettolosi e abborracciati appaiono dipinti come il Procaccia e il Cacciatore della Galleria Davia Bargellini di Bologna e il Ritratto del marchese Marsigli come cacciatore (Bologna, coll. T. Mazzoli), che sono soltanto mediocri versioni divulgative di memorabili risultati della ritrattistica paterna, si può ipotizzare che già nel quarto decennio del secolo la ritrattistica del C. assunse una peculiare fisionomia. Lasciate le "volate" del pennello non confacenti ad un temperamento di gran lunga più flemmatico rispetto a quello del focoso genitore, si applicò con attenzione minuta, non priva di un singolare garbo.
Della frivola società frequentata il C. seppe fornire una gustosa panoramica, in una serie di ritratti di dame e cavalieri agghindati di tutto punto, compiaciuti manichini alla moda. Nel genere sono segnalabili il Ritratto di una Bargellini (Bologna, Gall. Davia Bargellini), il Ritratto di una principessa Hercolani, del Fogg Art Museum di Cambridge (Mass.), con il probabile pendant della Kunsthalle di Amburgo e il già menzionato Ritratto di Elisabetta Cellesi (Berlin-Dahlem, Staatliche Museen), certo il più prezioso e fine prodotto uscito dal suo pennello, dove peraltro si rischia lo sconfinamento in una metafisica dell'orpello; rischio peraltro riferibile anche ad una serie di ritratti maschili: quello del Conte Ugo Molza (Bologna, coll. privata) e del Gentiluomo del Museo Poldi Pezzoli di Milano, forse entrambi degli anni '50; del bolognese Conte Ferdinando Gini (1759), del bergamasco Giulio Lupi (1769) e del pisano Pietro Franceschi (1770). Tutti e tre nei depositi della Pinacoteca naz. di Bologna, realizzati nell'occasione di un loro "principato" accademico nel collegio bolognese dei barnabiti che frequentavano.
Sono gli anni dei più autorevoli risultati della ritrattistica batoniana e il C. avvertì in prima istanza la necessità di un'inversione di corso all'interno della situazione bolognese, già sensibilizzata dall'azione paterna; per un'esigenza di chiarezza e perspicuità e per un'indagine sulla realtà condotta per approssimazioni graduali, controllando empiricamente le proprie reazioni; al fine di restituire di quella realtà una più lucida ma stilizzata immagine, a maggior vanto di una peculiare abilità riproduttiva. Come egli stesso scrisse, "talvolta è più da stimarsi una sola testa ben dipinta, di carne viva, e vera, di quello che sia un quadro storiato, tutto ammanierato, privo di pastosità, di gusto, e del vero ... ".È fuor di dubbio che il C. è profondamente convinto che i suoi ritratti rispondano alle prerogative enunciate, vista la sua assiduità nel frequentare il genere, utilizzando anche la propria figura allo specchio, come nell'Autoritratto oggi nella Villa di Poggio Imperiale a Firenze, nel tardo e scarso Autoritratto delle Gallerie dell'Accademia di Venezia (1776), donato in seguito alla nomina ad accademico onorario, in cui si ritrae tra i volumi da lui scritti, in atto di dipingere un quadro allegorico. Anche il dipinto della Pinacoteca naz. di Bologna (datato 1771), raffigurante il C. che esibisce il tomo terzo della Felsina pittrice, sembrerebbe piuttosto di sua mano anche se, per una ragione che ci sfugge, reca una scritta antica con il nome del fratello Antonio, mentre collima perfettamente con i modi di Luigi. Pure suo, anche se di qualità inferiore al suo standard, è il Ritratto del musicista Giuseppe Corsini (Bologna, Conservatorio musicale), firmato e datato a tergo 1769. Complessivamente le opere del C. oggi note si possono valutare intorno alla ottantina, superstiti di una produzione che dovette essere ben più folta, anche se talora corriva e ripetitiva. Il complesso più ricco tuttora sussistente è quello della chiesa di S. Maria Assunta di Borgo Panigale a Bologna, che è ornata da ben dodici tele del pittore.
Negli ultimi anni il C. ottenne riconoscimenti da parte dell'Accademia di Firenze, di cui fu nominato nel 1770 "consocio professore", di quella di Parma, di cui diventò accademico onorario nel 1774, mentre nel 1776 lo diventò di quella di Venezia. Non riuscì però mai ad essere accolto nell'Accademia Clementina di Bologna, evidentemente per gli aspri giudizi che su quell'istituzione e su alcuni suoi membri autorevoli aveva espresso.
Il C. morì a Bologna il 2 luglio 1779 (Bologna, S. Maria Maddalena in via S. Donato, Libro dei morti, ad annum;cfr. Oretti, Notizie..., c. 383).
L'opera più importante del C. scrittore è certamente il terzo tomo della Felsina pittrice, in prosecuzione dei due volumi pubblicati da C. C. Malvasia nel 1678. La prima idea di tale lavoro era balenata alla mente del C. sin dal 1753 (Bottari-Ticozzi, 1822, III, pp. 471 s.), ricevendone incoraggiamento sia da Giampiero Zanotti sia da mons. Giovanni Bottari. Il progetto, in un primo tempo assai più ambizioso, venne in seguito a limitarsi notevolmente; tuttavia l'opera dà notizia di oltre duecento pittori e comprende ben 73 biografie, talune ampie, altre concise, precedute da quella dedicata a C. C. Malvasia.
Una seconda parte, che doveva contenere le vite di tutti gli scultori e architetti bolognesi, non fu pubblicata (ma si veda il ms. B. 101, della Bibl. comunale di Bologna). Come ha accertato l'Arfelli (1957), la maggior fonte inedita del C. è l'aggiunta alla Bologna perlustrata di Antonio di Paolo Masini (scritta circa tra il 1680-90), a noi nota nel ms. 765 n. 2della Biblioteca universitaria di Bologna, già in proprietà dell'erudito U. Zanetti, che infatti il C. cita (p. XV) come "possessore diligente di molti manoscritti originali". Altri aiuti gli vennero dallo Zanotti, da G. Mazzoni e da G. Scandellari (lettera al Bottari del 27 ott. 1759, in Bottari-Ticozzi, 1822, IV, pp. 420-24). Già in alcune lettere al Bottari il C. aveva espresso la sua scarsa considerazione nei confronti dell'Accademia Clementina, ma fu soprattutto la lunga, irosa "tirata" del padre contro l'Accademia, riportata e forse enfatizzata dal C. nel terzo tomo della Felsina pittrice, a provocare violenti malumori e aspre reazioni alla pubblicazione, stampata a Roma e dedicata a Carlo Emanuele III di Savoia. Il malcontento si formalizzò per opera di G. L. Bianconi, consigliere della corte di Sassonia presso la S. Sede, che stese le Lettere sopra il libro del Crespi intitolato Terzo Tomo della Felsina pittrice (in Bottari-Ticozzi, VII, pp. 307-56) in nome del segretario dell'Accademia di S. Luca in Roma, indirizzandole al segretario dell'Accademia Clementina di Bologna, per difendere l'Accademia medesima e riabilitare E. Lelli bistrattato dal Crespi. La replica venne organizzata dal C. con la stesura dei Dialoghi di un amatore della verità scritti a difesa del terzo tomo della Felsina pittrice (in Bottari-Ticozzi, VII, pp. 108-94). Sia il Bottari che lo stesso Bianconi riconoscono alla scrittura del C. pregi di chiarezza e di modernità espressiva che lo distinguono da tanta letteratura troppo paludata dell'epoca. Particolarmente tali doti si evidenziano nella biografia del padre, di cui il C. approfondisce e interpreta pienamente taluni atteggiamenti anticonformistici, oltre che le qualità di pittore originale e decisamente autonomo rispetto al contesto accademico locale. Se abbastanza ovvia appare la completezza a proposito della biografia paterna, è pur vero che varietà e ricchezza di annotazioni si riscontrano in molte altre biografie di artisti importanti, con la sola eccezione del Bigari, per il quale inspiegabilmente il C. rimanda alla "Vita" pubblicata dallo Zanotti trent'anni prima e quindi inevitabilmente incompleta. Difetto vistoso dell'opera è poi la proporzione (in negativo o in positivo) di talune biografie rispetto al valore degli artisti trattati; altro difetto è la propensione a digressioni del tutto marginali. In sostanza il terzo tomo della Felsina pittrice alterna il gusto della vecchia polemica locale (per esempio l'astio verso Ercole Lelli, che si era battuto contro l'ammissione del C. all'Accademia Clementina) con l'esigenza di contribuire realmente ad un ampliamento delle conoscenze sulla scuola pittorica bolognese.
Il ms. B. 13 della Bibl. comunale di Bologna è una silloge di frammenti, spesso ripetitivi, da servire per la progettata redazione di un quarto tomo della Felsina, tomo che poi non ebbe compimento, dedicato agli architetti e scultori bolognesi. Spiccano, per la rinomanza degli artisti e l'ampiezza dei testi, le vite degli scultori A. Algardi, G. Mazza, A. G. Piò e dell'architetto Carlo Francesco Dotti.
Altri scritti del C.: Descrizione delle scolture, et architetture della città e sobborghi di Pescia, Bologna 1772; La Certosa di Bologna nelle sue pitture, ibid.; Vita di S. Giannotti intagliatore, ibid. 1770; nel 1773 pubblicò una raccolta di lettere fatta figurare (cfr. Fantuzzi, III, 1783) come settimo volume della raccolta del Bottari, ad insaputa di lui. Ha scritto inoltre: Discorso sopra I. Francucci da Imola e B. Ramenghi da Bagnacavallo, Bologna 1774; Dissertazione anticritica... contro il sentimento di chi crede che s. Luca Evangelista fosse pittore, Faenza 1776.
I tempi nuovi si avvertono in taluni scritti del C. per gli interessi che egli esprime rispetto alla conservazione delle opere d'arte antiche, deplorando le frequenti mutazioni del gusto (Felsina..., 1769, pp. 112, 155-157, 297, 330), foriere di distruzione dei manufatti artistici (e qui è anche una nota di apprezzamento per i "primitivi") o di svendita e migrazione dei medesimi. A questo interesse si collega la sua intenzione, non andata in porto, di realizzare un'opera in cui alla parte letteraria si unisse la copia "di tutte le superbe tavole da Altare che sono in Bologna, tutte di una grandezza in fogli Imperiali, dipinte a oglio, graticolate tali e quali" (lettera al Bottari del 3 ott. 1758). Ma non fu egli stesso immune da pecche in questo delicato settore, se alla sua mediazione si debbono le malaugurate migrazioni da Bologna di opere capitali come l'Annunciazione del Cossa (allora creduta del Mantegna) e di due scomparti di predella di Ercole Roberti (Passione di Cristo); tutte finite nella Galleria di Dresda. Altro problema che gli stava a cuore riguarda il restauro delle opere d'arte (Felsina..., 1769, p. 126), di cui tratta in due importanti lettere del 1756 a F. Algarotti (Bottari-Ticozzi, 1822, III, pp. 387-417, 419-443), in cui dimostra di conoscere a fondo le buone tecniche del restauro e l'ampia problematica connessa, persino occupandosi della "patina" che il tempo conferisce ai dipinti. Ivi si legge un'ardita stroncatura dei restauri-rifacimenti condotti dal Maratta sugli affreschi delle Stanze vaticane e della loggia della Farnesina, che il Bellori aveva invece assai lodato. Da buon conoscitore di pittura, collezionista e persino trafficante, affrontò anche il tema scottante delle valutazioni dei dipinti, la cui stima a suo avviso doveva essere riservata ai più esperti professori dell'Accademia.
I manoscritti B. 15 e B. 162 della Bibl. comunale di Bologna contengono centinaia di lettere inviate al C. dai suoi corrispondenti. Il loro esame offre un quadro eloquente della trama di relazioni da lui intessute con studiosi ed eruditi come G. Bottari, G. Carrara, C. G. Ratti, A. Scalabrini, A. M. Zanetti, T. Temanza e moltissimi altri.
Fonti e Bibl.: G. Zanotti, Storia dell'Accad. Clementina di Bologna, Bologna 1739, 11, pp. 31, 71 s. (cfr. R. Roti, in A. Ottani Cavina-R. Roli, Commentario..., Bologna 1977, p. 51); L. Crespi, Felsina Pittrice. Tomo terzo, Roma 1769, pp. 220 s.; Bologna, Bibl. com., ms. B. 162: Lett. di diversi a Giuseppe Maria e L. Crespi;Ibid., ms. B. 131: M. Oretti, Notizie de' professori del disegno, cc.376-85; G. Fantuzzi, Notizie degli scritt. bolognesi, III, Bologna 1783, p. 229; IX, ibid. 1799, p. 89; G. L. Bianconi, Opere, III, Milano 1802, pp. 33, 79; G. Bottari-S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura, Milano 1822, 11, pp. 406-76; III, pp. 387-472; IV, pp. 364-431; VII, pp. 5-194, 202-356; M. Gualandi, Memorie originali riguardanti le Belle Arti, I, Bologna 1840, pp. 15-19; G. Campori, Gli artisti ital., e stranieri negli Stati Estensi, Modena 1855, p. 174; J. Dumesnil, Histoire des plus célèbres amateurs français, I, Paris 1858, pp. 67-76 (per i rapporti con P-J. Mariette); A. Longhi, Un canonico pittore bolognese (L. C.), in Il Resto del Carlino,19ott. 1902; H. Voss, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, Leipzig 1913, pp. 95 s.; M. Marangoni, in Enc. Ital., XI, Roma 1931, pp. 844 s.; G. Zucchini, Quadri di Giuseppe Maria e L. Crespi, in Comune di Bologna, agosto 1934, pp. 22-29; P. A. Corna, Storia e arte nel convento dell'Osservanza presso Bologna, ibid., luglio 1935, p. 60; R. Longhi-G. Zucchini, Mostra del Settecento bolognese (catal.), Bologna 1935, pp. 23 s., 76 s., 51, 89; R. Longhi, Antologia della critica caravaggesca, in Paragone, II (1951), 21, pp. 47 s.; Id., Letter. artistica e letter. nazion., ibid., III (1952), 33, p. 13; J . Schlosser Magnino, La letteratura artistica, a cura di O. Kurz, Firenze 1956, pp. 530, 579; A. Arfelli, Bologna perlustrata di A. di P. Masini e l'Aggiunta del 1690, in L'Archiginnasio, LII (1957), p. 203; G. Previtali, Le prime interpretazioni figurate dei primitivi, in Paragone, XI (1960), 121, pp. 15 s., F. Arcangeli, La chiesa di S. Domenico in Cesena e i suoi dipinti, Bologna 1964, pp. 60 s.; M. Sabbadini Bedogni, L. C. scrittore e conoscitore d'arte, tesi di laurea, univ. di Bologna, anno accad. 1963-64; G. Roversi, Il commercio dei quadri a Bologna nel Settecento, in L'Archiginnasio, LX (1965), pp. 456, 503 s.; Omaggio a G. Morandi. Mostra di dipinti restaurati del territorio di Grizzana, a cura di F. Arcangeli, Grizzana 1966, nn. 21-22; A. Ghidiglia Quintavalle, Arte in Emilia, III (catal.), Modena 1967, p. 117; Id.-L. Fornari, Arte in Emilia, IV (catal.), Parma 1971, pp. 55 s.; Nuove acquisizioni per i Musei dello Stato 1966-1971 (catal.), Bologna 1971, pp. 95 s.; A. Conti, Storia del restauro e della conserv. delle opere d'arte, Milano 1973, pp. 109, 227, 230; A. Paolucci, La montagna pistoiese, Firenze 1976, p. 30; R. Roli, Pittura bolognese 1650-1800..., Bologna 1977, passim e ad Indicem (con bibl.); G. Bonsanti, Restauri fra Modena e Reggio (catal.), Modena 1978, pp. 32 ss.; L. Grassi, Restauro, in L. Grassi-M. Pepe, Diz. d. critica d'arte, II, Torino 1978, p. 473; L. Grassi, Teorici e st. della critica d'arte, III, Il Settecento in Italia, Roma 1979, pp. 77-50, 100 s.; I materiali dell'Ist. delle scienze (catal.), Bologna 1979, ad Indicem; S.Evangelisti, in L'arte del Settecento emiliano. La pittura (catal.), Bologna 1979, pp. 38-41; M. Pajes Merriman, G. M. Crespi, Milano 1980, passim;A. Conti, Vicende e cultura del restauro, in Storia dell'arte ital., X, Torino 1981, pp. 53 s . S. Evangelisti, Alcuni ritratti di L. C., in Paragone, XXXII (1981), 379, pp. 36-52; M. P. Mannini, in Museo civico di Pistoia. Catal. d. collez., Firenze 1982, pp. 176 s.; Dipinti di Maestri dei sec. XVI-XVII (catal.), a cura di C. Volpe, Finale Emilia 1982, pp. 37 ss.