CORTI, Luigi
Nacque a Gambarana in Lomellina (allora provincia del regno sardo, ora in prov. di Pavia) il 24 ott. 1823 da Gaspare, marchese di Santo Stefano Belbo, e da Beatrice dei marchesi Malaspina di Carbonara. Era fratello di Alfonso, celebre scienziato.
Laureato in matematica all'univ. di Pavia nel 1842, ammesso come volontario nella carriera diplomatica sarda nel dicembre 1846, si arruolò nell'esercito piemontese all'aprirsi della campagna austro-sarda del 1848 e vi riportò il grado di luogotenente d'artiglieria. A guerra finita tornò alla diplomazia: nominato segretario di legazione a Londra nel 1850, vi rimase fino al 1863, nell'ultimo periodo come consigliere di legazione. Incaricato d'affari a disposizione dall'ottobre di quell'anno, fu nominato ministro residente a Stoccolma, quindi, sul finire del 1867, inviato straordinario e ministro plenipotenziario presso la stessa corte scandinava, dove rimase fino all'agosto 1867. Ministro plenipotenziario a Madrid (credenziale 10 ag. 1867), quindi all'Aja (aprile 1869) e a Washington (credenziale 17 febbr. 1870), è qui da segnalare l'arbitrato, affidatogli di comune accordo dalla regina d'Inghilterra e dal presidente statunitense, nella commissione di Washington per il regolamento delle questioni pendenti tra i due Stati (1872-73). La sua nomina a Costantinopoli (credenziale 17 luglio 1875) coincise con l'accendersi, a seguito della rivolta in Erzegovina, della crisi orientale che troverà soluzione nel congresso di Berlino. Ebbe incarico di plenipotenziario alla conferenza di Costantinopoli (11 dic. 1876-20 genn. 1877), proposta dall'Inghilterra ed appoggiata dalle potenze per tentare una soluzione della crisi. La conferenza fallì per il rifiuto opposto dalla Porta alle proposte formulatevi; tuttavia la pratica della questione orientale acquisita dall'osservatorio di Costantinopoli contribuì alla designazione del C. a ministro degli Esteri ed a primo plenipotenziario italiano al congresso di Berlino.
L'interesse per il C. resta eminentemente legato alla molto discussa diplomazia italiana in quel congresso, cui si riconducono le origini di una crisi che, ulteriormente acuita dall'occupazione francese della Tunisia, avrebbe determinato in breve giro di anni l'allineamento italiano nella Triplice Alleanza e il successivo trentennale orientamento.
Esponente della Destra, il C. era d'avviso che l'Italia, uscita appena dal travaglio della unificazione, dovesse ricercare il proprio consolidamento in una politica di ordine e di stabilità internazionale: "L'Italia non è uno stato antico; - egli diceva - le sue finanze, gli ordini amministrativi, le forze di terra e di mare hanno ancora bisogno di svilupparsi... I popoli debbono regolare le loro azioni a seconda delle fasi storiche in cui si trovano ... Ora era tempo di posarsi, di raccogliersi per non compromettere con una politica avventurosa l'avvenire della patria". Non nascondeva le proprie divergenze con i recenti governi della Sinistra, in specie per le debolezze di cui avevano dato prova di fronte alla intempestiva agitazione irredentistica. A tali concetti di disinteresse, di statu quo, di "mani libere" o "nette" che avevano improntato la politica estera della Destra, e che l'avvento della Sinistra non aveva senz'altro ripudiato, il C. avrebbe ispirato il proprio programma ministeriale.
Giunto a Roma il 25 marzo 1878, il C. faceva valere in colloqui con il presidente incaricato Cairoli, con lo Zanardelli e con lo stesso re Umberto propri motivi di riserva ad accettare l'offerta del ministero, di ordine personale - la nessuna pratica parlamentare e ministeriale -, e di ordine politico, in un gabinetto cui la direzione del Cairoli conferiva una connotazione accesamente irredentista. Diceva di considerare i rapporti con l'Austria come il punto nodale della nostra politica estera, ed intendeva che questi si mantenessero "sopra un piede di franca ed onesta cordialità". Avendo ricevuto piena adesione dagli interlocutori, ed autorevoli sollecitazioni anche dalla Destra, accettava il giorno dopo ed il 31 marzo 1878 riceveva la nomina a senatore del Regno.
Il Salvemini ha osservato che la "combinazione" ministeriale di Cairoli e del C., per quanto a prima vista assurda, poteva in quel momento riuscire di grande utilità, e forse perciò era stata voluta dal re e dai suoi consiglieri: il C., dati i noti sentimenti austrofili, assicurava i governi esteri che l'Italia non avrebbe sollevato difficoltà nell'imminente congresso, contro la già predisposta annessione della Bosnia all'Austria; e Cairoli, dati i precedenti irredentisti, doveva assicurare all'interno l'opinione che tutto il possibile era stato fatto per soddisfare le istanze irredentiste. Ma proprio in considerazione di tale ambiguità, ed in vista delle importanti decisioni di politica estera, il C. avrebbe dovuto impegnare preliminarmente ed inequivocabilmente l'intero gabinetto a sostenere la politica che egli intendeva svolgere al congresso. Ciò non avvenne, ed i risentimenti dell'opinione per la politica delle "mani nette, e vuote" si scaricarono interamente su di lui.
Al momento della assunzione del ministero, la crisi orientale attraversava una fase assai delicata: alla fine del gennaio 1878 le forze russe in guerra con i Turchi erano giunte alle porte di Costantinopoli, imponendo al governo ottomano, col trattato di Santo Stefano, la propria egemonia nei Balcani e vantaggi sugli Stretti. Inghilterra ed Austria avevano domandato che il trattato fosse riveduto da un congresso delle potenze, ma la Russia continuava a opporvisi e la precarietà degli allineamenti esponeva l'Europa al rischio di una guerra generale. Subentrando alla direzione degli Esteri nell'ultimo periodo della opposizione russa alla revisione del trattato di Santo Stefano, il C. riceveva sollecitazioni britanniche intese ad ottenerne un allineamento antirusso (la progettata lega mediterranea) alle quali avrebbero potuto collegarsi compensi territoriali: ad esse il C. non intese dar seguito, per ragioni la cui plausibilità ha nutrito lunghe e vivaci polemiche.
Il C. giustificherà il rifiuto ad assumere "impegni che potessero condur[ci] ad una azione", con il convincimento che una risposta affermativa potesse fornire "la goccia d'acqua per far traboccare la bilancia dalla parte della guerra". Il Consiglio dei ministri aveva unanimemente approvato tale determinazione. Sollecitazioni da parte austriaca giungevano a fine marzo per bocca del ministro austriaco a Roma Haymerle, intese ad assicurare l'avallo italiano alla occupazione austriaca della Bosnia: le insistenze austriache presso il nuovo ministro perché l'Italia specificasse in tale contesto propri desiderata trovavano il C. pregiudizialmente sulle negative rispetto all'idea di compensi, i quali peraltro, esclusa ogni soddisfazione all'irredentismo, avrebbero implicato spedizioni militari a cui si era del tutto impreparati, il cui utile appariva assai dubbio (Albania), che avrebbero aperto delicate questioni internazionali (con l'Austria, o con la Francia per Tunisi e Tripoli).
Riferendo a Vienna il 1° aprile lo Haymerle osservava: "Il conte Corti vede il compito dell'Italia al congresso relativamente facile, perché ... ivi nulla ha da cercare tranne il mantenimento della pace". Concetti analoghi il C. sottoponeva al Consiglio dei ministri incaricato alla vigilia del congresso (8 giugno) di stabilire le direttive italiane: È la prima volta che l'Italia una e indipendente è chiamata a prender posto fra le grandi potenze d'Europa. Trattasi di decidere se essa abbia a presentarsi come elemento d'ordine, di concordia e di pace, oppure come sollecitatrice di speciali favori", nel quale ultimo caso egli intendeva rifiutare l'incarico di plenipotenziario al congresso e rassegnare il portafoglio ("Era difficile - commenterà Salvemini - porre la discussione su basi più irreali...").
Trattandosi in quella sede la eventualità della occupazione austriaca della Bosnia ed Erzegovina, diceva di considerare tale questione come "parte incidentale della grande questione d'Oriente" cui era stata data da taluni importanza oltremodo esagerata. Riteneva che non sarebbe stato conforme né alla dignità né ai veri interessi italiani aumentare le difficoltà alla pacificazione d'Europa, introducendo nuovi elementi di discordia tra le potenze. Le pregiudiziali di disinteresse assoluto, di neutralità nella contesa orientale ed il proposito di mediazione tra i contendenti provocavano l'esclusione della diplomazia italiana dalle trattative anglo-russe ed austro-russe che in aprile e maggio preparavano il congresso di Berlino, e non tenevano in alcun conto la mobilitazione dell'opinione interna.
Al congresso di Berlino (13 giugno-13 luglio 1878) il C. rappresentava l'Italia insieme con il conte de Launay, ambasciatore presso la corte imperiale tedesca. Un primo incontro con il Bismarck giovava a dissipare certe persistenti preoccupazioni del cancelliere circa domande di compensi che gli Italiani avrebbero inteso presentare per la loro collaborazione alla pace europea, e ad avviare un rapporto di cui Disraeli scriveva alla regina Vittoria: "Corti è il favorito di Bismarck, che gli parla senza sottintesi; come ambasciatore di uno stato quasi centrale egli è il confidente di tutti". Di fatto, il pregiudiziale atteggiamento di disinteresse consentiva ai plenipotenziari italiani di svolgere attiva opera di conciliazione, naturalmente molto gradita al Bismarck. La considerazione e la stima che i nostri plenipotenziari seppero cattivarsi nell'ambiente del congresso consentirono loro di inserirsi utilmente nel dissidio fra Russi ed Inglesi per la questione bulgara, ed a vantaggio delle richieste greche di rettifica al confine in Epiro e Tessaglia.
L'occupazione austriaca della Bosnia e dell'Erzegovina fu trattata nella seduta ufficiale del 28 luglio secondo un procedimento accuratamente predisposto, al termine del quale l'Austria riceveva mandato di occupare militarmente ed amministrare le due province, ed Andrassy aveva agio di condizionare l'accettazione del mandato alla attribuzione del diritto di tenere guarnigioni militari nel sangiaccato di Novi Bazar. Il C. dava formalmente seguito alle istruzioni ricevute dal Consiglio dei ministri, e voce alle riserve italiane, chiedendo ad Andrassy se fosse in grado di fornire qualche ulteriore spiegazione circa la combinazione divisata, "dal punto di vista dell'interesse generale europeo e Andrassy si limitava a rispondere che l'occupazione non faceva che venire incontro alle istanze europee manifestatesi nelle sollecitazioni del congresso. I lavori erano dominati dalla torreggiante personalità del Bismarck, alle cui "saette" il C. non intese ulteriormente esporsi in condizioni di isolamento. Il C. considerò un successo che il programma austriaco si limitasse all'occupazione per un riguardo, disse Andrassy, verso l'Italia - anziché procedere all'annessione: future pretese italiane restavano in tal modo impregiudicate. Alle deliberazioni del 28 seguivano Il 29 l'annessione del comune di Spitza alla Dalmazia anziché al Montenegro ed il 4 luglio la concessione al governo austriaco di esercitare la sorveglianza marittima e monetaria sul porto di Antivari. Ma l'esasperazione irredentista raggiungeva il culmine quando l'8 luglio si apprendeva dai giornali della convenzione anglo-turca con cui il sultano affidava all'Inghilterra il governo di Cipro. La notizia coglieva i plenipotenziari ed il governo di sorpresa, essendo state esplicitamente precluse le questioni territoriali estranee all'ambito della crisi russo-turca. Il Cairoli manifestava immediatamente il sospetto di una intelligenza inglese con la Francia per la mano libera a Tunisi. La diplomazia italiana sperò di fare appropriatamente valere le proprie riserve in occasione di una discussione della occupazione di Cipro al congresso, ma una dichiarazione di protesta predisposta dai plenipotenziari italiani non trovava esito per il reciso rifiuto inglese a trattare la convenzione.
Si riapriva in questo momento il discorso dei compensi: il Bülow, secondo plenipotenziario tedesco, avanzava col C. l'ipotesi che l'Italia si compensasse in Nord Africa, previo accordo con gli Inglesi. Il C. non esitava a rispondere: "Vous voulez donc nous brouiller avec la France!", dando voce al timore che Bismarck intendesse attizzare le conflittualità italo-francesi. Del resto gli inglesi dicevano al Launay di "stare all'erta da quelle parti". Il C. ricorda infine che il nostro ministro della Marina manifestò preoccupazioni tali per l'eventualità di una spedizione italiana, che si dovette rinunciare ad ogni progetto per Tunisi e per Tripoli. Proprio in quei giorni i politici francesi, dopo lunga esitazione, accettavano l'offerta inglese per la Tunisia.
L'esito del congresso di Berlino, specie per le attribuzioni territoriali cui aveva dato luogo e sorgendo i primi sospetti che la questione tunisina fosse compromessa, suscitava in Italia violente dimostrazioni di piazza e aspre campagne di stampa. Uomini politici e giornali reclamavano compensi. Le accuse più implacabili alla insipienza del Cairoli e del C. furono lanciate dal giornale La Riforma, il cui ispiratore F. Crispi evocava le trattative avviate dal precedente gabinetto Depretis - nel quale egli teneva gli Esteri - "Perché l'Italia non fosse isolata al Congresso, perché la Bosnia e l'Erzegovina non fossero cedute all'Austria-Ungheria senza un conveniente compenso all'Italia, perché la questione dei confini d'Italia fosse discussa e possibilmente risolta a Berlino". Senza la crisi di governo del marzo precedente, concludeva La Riforma, "l'Italia non si sarebbe presentata al Congresso isolata. Il ministero Depretis-Crispi aveva un concetto, aveva precedenti, aveva proposte, aveva promesse". Anche una illustre personalità della Destra, Ruggiero Bonghi, intervenendo nel dibattito di quei mesi con scritti raccolti in Il Congresso di Berlino e la crisi d'Oriente (Milano 1878), denunciava nella politica del C. un vuoto di coscienza dei nostri interessi.
Le classiche analisi salveminiane riproposte recentemente da Augusto Torre, se non giovano a dar corpo alle pretensioni crispine, evidenziano tuttavia limiti ed angustie della politica del C., e rinviano ai più ampi problemi di una crisi nazionale di crescenza con corrispondente ricerca di un ruolo attivo tra le potenze cui fa però ostacolo la impreparazione per le necessarie iniziative. Una analisi relativamente recente (C. Giglio, 1955) ha creduto poter documentare che dal dicembre 1877 Depretis e Crispi, immediati predecessori del gabinetto in cui il C. assumeva il portafogli degli Esteri, avevano compreso la necessità di disancorarsi da quella politica per volgersi ad un nuovo indirizzo di intese con l'Austria e con l'Inghilterra, che, traendo vantaggio dalle favorevoli contingenze internazionali, assicurasse all'Italia qualche acquisto nel Mediterraneo in compenso di quelli che le predette potenze si apprestavano a fare per proprio conto. Riconsiderato in questa prospettiva, il programma del C., che non intendeva dar seguito e sviluppo al nuovo orientamento, si presenterebbe come un ritorno a direttive superate, tali da giustificare le reazioni di uno spirito pubblico in cui alle istanze di stabilizzazione erano succedute istanze di iniziativa.
Al suo ritorno in Italia il C. fu fischiato ed insultato per le vie di Roma. Riconobbe inevitabili le dimissioni da un governo che favoriva la maggior libertà di riunione e di parola reclamata dal paese per dare sfogo alle delusioni irredentiste ed alla campagna contro il congresso. Un telegramma di Bismarck contro gli attacchi al C. e in difesa del suo operato al congresso otteneva l'effetto di acuire il risentimento. Colse il pretesto per le dimissioni (16 ott. 1878) in un discorso del Cairoli a Pavia, in cui questi affermava di volere assicurata la maggior libertà di riunione e di associazione; e le mantenne quantunque sollecitato a ritirarle.
Tornato a rappresentare l'Italia a Costantinopoli, il C. vi rimarrà fino al dicembre 1885 con rango di ambasciatore dal giugno 1880. In questo periodo fu plenipotenziario alle conferenze degli ambasciatori che si tennero a Costantinopoli, rispettivamente per gli affari del Montenegro (1880), di Grecia (1881), d'Egitto (1882) e della Rumelia Orientale (1885).
La crisi egiziana (1881-82), seguita al pronunciamento nazionalista di Arabi bey, investiva rilevanti interessi italiani, data la fiorente nostra colonia in Egitto ed in considerazione dei possibili sviluppi del condominio anglo-francese in nostro pregiudizio. Ad impedire che gli Anglo-francesi potessero assumere l'iniziativa, P. S. Mancini, allora ministro degli Esteri, aveva sollecitato l'intervento del concerto europeo per una normalizzazione della crisi nel rispetto della tradizionale dipendenza egiziana dalla Porta ed in tal senso aveva preso contatti con Berlino, Vienna, Pietroburgo e Costantinopoli. Mancando il richiesto supporto alla diplomazia italiana Mancini aveva quindi sostenuto che, se intervento militare doveva esservi l'iniziativa spettasse alla Turchia. È noto che la crisi si sarebbe conclusa con l'intervento isolato inglese (11 luglio 1882), preludio alla definitiva occupazione, ed è stata molto discussa e quasi unanimemente condannata la determinazione del Mancini di declinare l'invito britannico ad una comune azione protettiva del Canale, cui avrebbe eventualmente partecipato la Francia, e che prevedeva anche la possibilità di una spedizione anglo-italiana nell'interno (fine luglio 1882). Al rifiuto italiano non fu estranea l'ostilità manifestata dalla Germania e dall'Austria-Ungheria - cui l'Italia si era legata in quei mesi nella Triplice - le quali favorirono in massima che alla protezione del Canale provvedesse la Porta.
Alla conferenza di Costantinopoli per gli affari d'Egitto (28 giugno-14 ag. 1882), presieduta dal C., l'Italia aveva proposto che ad esercitare l'alta sorveglianza sull'amministrazione finanziaria e sulla libera navigazione per tutti nel Canale di Suez fosse una commissione di delegati delle potenze, mirando con ciò a promuovere una garanzia internazionalizzata; aveva anche proposto che la protezione del Canale fosse affidata ad un servizio di polizia puramente navale cui avrebbero dovuto partecipare tutte le potenze interessate se non con il concorso almeno con il consenso della Turchia. In mancanza di un accordo, Mancini aveva fino all'ultimo continuato a sollecitare un intervento della Porta. Il Libro verde dal titolo Questione d'Egitto (1881-82), presentato dal Mancini alla Camera il 14 dic. 1882, documenta anche con il numeroso carteggio Mancini-C. l'operato della diplomazia italiana in quella crisi.
Trasferito a Londra nel febbraio 1886, il C. vi negoziò l'intesa italo-britannica nota come primo accordo mediterraneo, del 17 febbr. 1887. Nel settembre 1885 aveva assunto la direzione della Consulta il conte Carlo di Robilant, già ambasciatore a Vienna dal 1871, ottimo conoscitore delle questioni orientali e deciso in un momento di instabilità dell'equilibrio bismarckiano, e minacciando di non rinnovare la Triplice - ad ottenere sostanziali modifiche nelle primitive condizioni della partecipazione italiana all'alleanza, modifiche consistenti nella garanzia dello statu quo balcanico e nordafricano, e nel diritto di partecipare a pari titolo con l'Austria alle nuove sistemazioni territoriali in quelle zone, ove lo statu quo venisse a mancare.
Robilant aveva posto a condizione per il rinnovamento della Triplice che rimanesse ferma l'amicizia dell'Italia con l'Inghilterra, ed in tale prospettiva la diplomazia italiana promuoveva simultaneamente l'intesa italo-britannica che avrebbe consentito una più larga autonomia italiana dagli Imperi centrali, specie in funzione dei propri interessi mediterranei. La fase conclusiva del negoziato anglo-italiano iniziava il 17 genn. 1887, manifestando Salisbury al C. - in un momento di gravi tensioni coloniali tra Londra, Parigi e Pietroburgo - la disposizione britannica ad una intesa più intima fra i due governi, specie riguardo agli interessi italiani nel Mediterraneo ed in Oriente. Robilant si premurava di inviare al C. un memoriale (26 gennaio) in cui si formulavano quattro punti d'intesa: essi prevedevano il mantenimento dello statu quo nel Mar Nero, nell'Egeo, nell'Adriatico e sulle coste dell'Africa settentrionale; un'intesa per impedire che altra grande potenza estendesse il suo dominio in tali regioni; l'appoggio italiano all'azione inglese in Egitto, ed inglese all'Italia nel caso in cui la Francia avesse tentato di espandersi nell'Africa settentrionale, specie verso la Tripolitania e la Cirenaica; infine l'appoggio reciproco in caso di guerra con la Francia. Le proposte italiane eccedevano la disponibilità inglese ad impegnarsi: in un colloquio del 1° febbraio Salisbury manifestava al C. le riserve britanniche, soprattutto rispetto all'art. 4, che nella redazione definitiva sarebbe sostanzialmente caduto; escludeva, inoltre, un trattato formale. Nello scambio di lettere C.-Salisbury del 12 febbraio l'Inghilterra, in cambio dell'appoggio promesso dall'Italia nella questione egiziana, assicurava il suo appoggio all'Italia per respingere invadenze di terzi in qualsiasi altro punto della costa nordafricana, e specialmente in Tripolitania e Cirenaica. Tenuto al corrente del negoziato, Bismarck ne favoriva decisivamente lo sviluppo, e mentre rifiutava per riguardo alla Russia la richiesta italiana che l'intesa fosse allegata al nuovo trattato della Triplice, promuoveva l'accessione austriaca all'accordo mediterraneo (24 marzo 1887) in funzione di controllo dell'espansionismo russo sulle rive del Mediterraneo ed a puntello del ruolo austriaco di "polizia della pace" in Oriente, senza impegnare direttamente la Germania. Le intese mediterranee riuscivano in tal modo a collegare la stessa Inghilterra al sistema di equilibrio continentale bismarckiano.
Salito Crispi al potere, il C. fu bruscamente richiamato da Londra e collocato a disposizione del ministero (ottobre 1887) e quindi a riposo (dicembre): il provvedimento è verisimilmente da ricondursi alla attività spiegata dal C. durante la crisi orientale e al congresso di Berlino, che aveva suscitato aspre critiche nella Sinistra crispina. Il C. ne fu amaramente colpito e sopravvisse solo pochi mesi. Moriva a Roma il 18 febbr. 1888.
Fonti e Bibl.: Atti Parlamentari, Documenti diplomatici concernenti gli affari d'Oriente presentati dal presidente del Consiglio, reggente il ministero degli Affari Esteri (Cairoli) nella tornata del 21 giugno 1878, ad Indicem; Ibid., Trattato di Berlino del 13 luglio 1878 presentato dal presidente del Consiglio, ministro degli Affari esteri (Cairoli) nella tornata del 9 dic. 1878, ad Indicem; Ibid., Documenti diplomatici concernenti gli affari d'Egitto presentati dal presidente del Consiglio, ministro ad interim degli Affari Esteri (Depretis) nella tornata del 2 luglio 1879, ad Indicem; Ibid., Raccolta di documenti diplomatici presentati alla Camera dei deputati dal ministro degli Affari Esteri Mancini nella tornata del 14 dic. 1882 sulla questione d'Egitto (1881-2), ad Indicem; Ibid., Camera dei deputati - Documenti diplomatici presentati al Parlamento italiano dal presidente del Consiglio ministro ad interim degli Affari Esteri (Crispi) - Canale di Suez - Seduta del 27 febbr. 1888, ad Indicem; S. Jacini, Un po' di commenti al trattato di Berlino, Roma 1878, pp. 64 ss.; R. Bonghi, Il ccngresso di Berlino e la crisi d'Oriente, Milano 1878, pp. XVI-XXIV, 120 s., 145 s., 149-52, 165-70, 177183; L. Chiala, Pagine di storia contemp. dal 1858 al 1892, II, Torino-Roma 1892, pp. 2-23, 91 ss., 115; F. Crispi, Politica estera - Memorie e documenti, a cura di J. Palamenghi Crispi, Milano 1912, pp. 74 ss., 91 s., 114 s.; E. C.Corti, Il conte C. al congresso di Berlino (secondo documenti inediti), in La Nuova Antologia, 16 apr. 1925, pp. 351-361; M. Rosi, Il congresso di Berlino e Benedetto Cairoli, in Boll. dell'Ufficio stor. del comando del corpo di Stato Maggiore, II (1927), 3, pp. 157-170; A. Sandonà, L'irredentismo nelle lotte politiche e nelle contese diplomatiche italo-austriache, I, Bologna 1932, pp. 193-222; L. Salvatorelli, La Triplice Alleanza - Storia diplom. (1877-1912), Milano 1939, pp. 39-44, 81-88, 121 ss.; F. Chabod, Storia della politica estera ital. dal 1870 al 1896, Bari 1951, ad Indicem: si segnala per i numerosi richiami ai carteggi con illustri corrispondenti, soprattutto il Robilant, del quale il C. era "amicissimo" e "confidente"; C. Giglio, Il secondo gabinetto Depretis e la crisi balcanica (dicembre 1877-marzo 1878), in Riv. stor. ital., LXVII (1955), pp. 182-212; G. Talamo, Il mancato intervento ital. in Egitto nel 1882, in Rass. stor. del Risorg., XLV (1958), 3, pp. 435, 442 s., 446; A. Torre, La politica estera di B. Cairoli, in Annali Pavesi del Risorg., II (1963), pp. 146-156: si segnalano in partic. le pp. 152 s. per uno status del dibattito critico sulla politica del C. a Berlino; C. Giglio, Il primo gabinetto Cairoli e il problema dei compensi all'Italia, ibid., pp. 187-194; B, Malinverni, L'accessione dell'Austria al primo accordo anglo-italiano per il Mediterraneo, in Aevum, XXXIX(1965), pp. 325-344 passim; Id., Il primo accordo per il Mediterraneo, Milano 1967, passim; G. Salvemini, La politica estera ital. dal1871 al 1915, a cura di A. Torre, Milano 1970, raccoglie scritti pubblicati in varia data, e parti inedite tratte da bozze conservate da E. Sestan, intitolate L'Italia e gli Imperi centrali... . Si deve lamentare che nella edizione di queste bozze sia stata tralasciata l'Appendice V, contenente gli Appunti personali e politici, autografi del C., di cui Salvemini ed E. C. Corti si sono serviti; La politica estera dell'Italia negli atti, docum. e discussioni parlamentari dal 1861 al 1914, a cura di G. Perticone, II, I (1876-1883), Roma 1973, ad Indicem.