COLOMBO, Luigi
Nacque a Milano il 15 apr. 1886 da Francesco e Maria Leveni. Nel 1904, appena diciottenne, fu chiamato a far parte, in qualità di segretario, della giunta diocesana di Azione cattolica e della Federazione diocesana delle opere economico-sociali, che raggruppava numerose leghe del lavoro, cooperative, mutue di soccorso e casse rurali. Fu in quel periodo che, a contatto con la ricca realtà sociale del movimento cattolico, nacque in lui vivo interesse per la azione sindacale: per sua iniziativa, infatti, nel 1909 si costituì a Milano il Sindacato italiano tessile (S.I.T.), primo fra i sindacati cattolici ad assumere carattere nazionale, di cui il C. fu eletto presidente e G. Levati segretario generale. Grazie all'opera di questi due dirigenti il nuovo sindacato - il cui organo ufficiale era il settimanale L'Organizzazione tessile - crebbe così rapidamente da divenire modello di organizzazione e di azione per le nuove strutture sindacali nazionali che i cattolici italiani vennero in quegli anni costituendo.
Nel frattempo il C. si preoccupò di collegare tali esperienze sindacali con quelle più mature che i cattolici di altri paesi avevano già da tempo promosso: nell'agosto 1908, insieme con don Benedetto Galbiati dell'Unione popolare e don Achille Ballini di Bergamo, si recò a Zurigo, dove partecipò, in rappresentanza dei cattolici italiani, al primo congresso internazionale dei sindacati cristiani. E, allo scopo di mantenere questi rapporti, il S.I.T. aderì fin dalla fondazione sia al Segretariato internazionale tra i sindacati cristiani, istituito a Zurigo, sia alla Federazione internazionale tra i sindacati cristiani tessili, con sede a Düsseldorf.
Nel novembre 1910 il C. partecipò al congresso cattolico di Modena, presentando insieme con Mario Chiri, Luigi Sturzo e Guido Miglioli un o.d.g. nel quale si auspicava la costituzione di organizzazioúi professionali dei lavoratori sulla base di "leghe locali, federate nazionalmente con sistema accentrato", con a capo segretariati nazionali con funzioni di coordinamento, propaganda, consulenza e rappresentanza presso gli organi centrali dello Stato. L'anno seguente, intervenendo come relatore alla Settimana sociale di Assisi (24-30 sett. 1911) sul tema L'organizzazione professionale nell'industria, ribadì la necessità di costituire sindacati nazionali di mestiere centralizzati, affermando allo stesso tempo l'esigenza di sviluppare sempre più intensi rapporti con le organizzazioni sindacali estere di ispirazione affine nell'ambito di apposite strutture internazionali, anche come risposta alla politica di internazionalizzazione delle relazioni industriali perseguita dal padronato.
In quello stesso anno, frattanto, egli si laureò in giurisprudenza presso l'università di Pavia e incominciò l'attività di avvogato a Milano. Allo scoppio della prima guerra mondiale, partì per il fronte come ufficiale degli alpini, ma fu ben presto fatto prigioniero e internato nel campo di Mauthausen.
Tornato in patria alla cessazione delle ostilità, riprese a Milano il suo impegno nella S.I.T., alla cui guida nel 1916 gli era succeduto il vicepresidente Achille Grandi. Dopo la nascita delle tre confederazioni bianche - la Confederazione italiana dei lavoratori (C. I. L.), la Confederazione cooperativa italiana e la Confederazione della mutualità te delle assicurazioni sociali - il C. svolse anche un ruolo di primo piano nell'organizzazione e nello sviluppo delle cooperative bianche. Nel 1919. grazie all'apporto finanziario del Credito nazionale, emanazione della Federazione bancaria italiana, l'associazione fra gli istituti di credito cattolici, insieme con S. Cavazzoni, P. Campilli, A. Pennati e G. M. Longinotti, egli diede vita alla Banca del lavoro e della cooperazione, destinata a fornire finanziamenti e assistenza tecnica alle cooperative cattoliche. Dopo una prima fase di rapida espansione, prevalentemente a favore delle cooperative agricole della pianura padana, nel 1923 la banca non riuscì a reggere la forte domanda di finanziamenti e fu costretta a chiudere gli sportelli, lasciando le sue funzioni a istituti di credito cattolici di maggiore solidità finanziaria.
Nominato nel 1920 presidente della giunta diocesana dell'Azione cattolica milanese dal card. Ferrari, alla morte di questo il C. venne confermato nell'incarico dal nuovo arcivescovo, Achille, Ratti, col quale era legato da antica devota amicizia. Divenuto il Ratti pontefice nel febbr. 1922 con il nome di Pio XI, nel dicembre dello stesso anno il C. fu da lui nominato primo presidente generale dell'Azione cattolica italiana (A.C.I.).
Evidentemente nella scelta del pontefice molto aveva influito, oltre ai rapporti personali d'amicizia e alla breve collaborazione nella guida dell'Azione cattolica milanese, la fama di abile organizzatore che nelle precedenti esperienze associative il C. aveva saputo giustamente meritare. Tra i primi compiti dei nuovo presidente c'era, infatti, quello di dare nuove strutture, fortemente accentrate, all'A. C. I., secondo progetti in parte già predisposti da Benedetto XV, al fine di rafforzarne la compagine e, al tempo stesso, di condurla sotto l'immediata direzione della S. Sede. Obbedendo alle direttive del pontefice, il C. modificò gli statuti della Gioventù cattolica italiana e della Federazione uúiversitaria cattolica italiana (F.U.C.I.), sostituendo il sistema democratico dell'elezione dei dirigenti con quello della designazione da parte delle gerarchie superiori o dello, stesso pontefice, e trasformando alcuni organi collegiali in monocratici (settembre-novembre 1925). Tali criteri vennero altresì estesi a tutti gli altri organismi associativi di nuova istituzione, quali la Federazione italiana uomini cattolici e la Unione femminile cattolica italiana.
Queste riforme statutarie, però, oltre all'innegabile aspetto organizzativo, si' inquadravano in un disegno di più. ampio significato: si voleva con esse disporre di organismi associativi che prontamente e senza dispersioni rispondessero alla linea politica di incontro con il regime fascista, linea che era sempre più chiaramente perseguita dal nuovo pontefice: occupare tutti gli spazi della vita sociale e, per questa via, procedere alla progressiva riconquista della società italiana e al raggiungimento dei traguardo finale: la cristianizzazione dello Stato, o meglio la sua trasformazione in quello Stato organico da tempo sognato da certo integralismo cattolico, da erigere sulle rovine delle morenti istituzioni liberal-democratiche.
L'attuazione di questo disegno, però, -contrastava con tutte quelle forme di autonoma presenza nel civile, nel culturale, nel politico che i cattolici italiani, attraverso lotte protrattesi per lunghi decenni, si erano conquistate; soprattutto veniva inevitabilmente a contrapporsi all'impegno di quanti, militando nelle file del Partito popolare (P.P.I.) e della C.I.L., credevano non solo compatibile ma unica forma utile di testimonianza politica e sociale del laicato cattolico italiano la civile competizione all'interno di istituzioni libere e democratiche, quali i partiti politici e i sindacati, e si opponevano, pertanto, al progressivo affermarsi della dittatura mussoliniana.
Durante quegli anni, numerosi furono gli interventi del C., puntualmente ripresi e divulgati da gran parte della stampa cattolica, nei quali veniva sotto lineato il doveroso ossequio che i cattolici italiani dovevano verso il potere costituito e, al tempo stesso, l'assoluto disimpegno da ogni forma di attività politica da parte di quanti erano iscritti alle associazioni facenti capo all'A.C.I.
In nome del principio della "apoliticità" delle organizzazioni confessionali, l'A.C.I. di fatto prendeva le distanze dal partito popolare, invitando al tempo stesso, quanti, in posti di responsabilità, appartenevano ad entrambe le organizzazioni ad esprimere un'opzione. In una situazione di progressiva perdita delle pubbliche garanzie di libertà e democrazia, insistere con tanta intransigenza sul tema dell'"apoliticità" equivaleva a perseguire l'obiettivo di isolare il partito popolare dal suo retroterra naturale, la grande massa del mondo cattolico italiano, e a favorire perciò il rafforzarsi della dittatura fascista.
Quanto fosse pretestuosa la difesa dei principio della "apoliticità" e reale invece l'obiettivo di ampliare per quanto possibile il campo d'azione dell'A.C.I., anche a discapito di altre legittime forme di impegno civile dei cattolici italiani, si vide anche su un altro fronte, quello dei siridacalismo cattolico. Per estendere, infatti, l'influenza dell'A.C.I. anche in tale campo, il 15 febbr. 1926, il C. diede vita all'Istituto cattolico di attività sociale (I.C.A.S.), con il compito di "formare accurati centri di studio, di consulenza e di assistenza su tutti gli svariati problemi sociali". Invano A. Grandi, che era allora segretario generale della C.I.L., protestò con il C. per quella che giustamente considerava un'indebita invadenza dell'Azione cattolica sul terreno sindacale, in palese contrasto con il riconoscimento dell'autonomia del movimento economicosociale cattolico pubblicamente affermata nel 1919 da Benedetto XV, poiché la stessa istituzione dell'I.C.A.S. avveniva con la "sovrana approvazione del S. Padre".
Tuttavia, a causa del profondo mutamento prodotto nella legislazione sindacale dall'introduzione dell'organizzazione corporativa dei lavoro, il C. fu costretto a ridimensionare i programmi che si era prefisso di realizzare coi nuovo istituto, limitando così l'intervento dell'A.C.I. nel mondo del lavoro solo ai problemi religiosi.
Tale forzato mutamento nei programmi dell'Azione cattolica non produsse, però, un riavvicinamento fra A.C.I. e C.I.L., ché anzi, mentre il Grandi sosteneva la necessità di una ferma opposizione dei lavoratori cattolici di fronte alla nuova legislazione fascista dei lavoro, il C. esprimeva la sua convinzione che non convenisse "rifiutarsi di fare l'esperimento del nuovo corporazionismo giuridico e riconosciuto, facendo pesare le forze lavoratrici riunite nelle associazioni cattoliche e debitamente numerizzate, all'infuori di quelle scarse che rimangono nelle nostre organizzazioni professionali", e cioè che i cattolici avrebbero dovuto fare, "se saranno date alcune garanzie, l'esperimento in buona fede e non assumersi la responsabilità di contraddirlo" (G. Pastore, pp. 123 s. n. 21, 127 s. n. 29).
In tale clima di progressivo accordo fra S. Sede e regime fascista cresceva evidentemente il ruolo di quanti, come il C. e i suoi amici del Centro nazionale facenti capo al Cavazzoni, auspicavano la realizzazione di vecchi sogni teocratici; al tempo stesso, a mano a mano si restringevano i già esigui spazi di libero dibattito culturale, sociale, politico e religioso, che avevano consentito, soprattutto durante i pontificati di Leone XIII e Benedetto XV, interessanti momenti di riflessione e di crescita del laicato cattolico italiano.
Attuata, però, la riforma statutaria e rimessa in mot.o la macchina dell'apparato organizzativo dopo la parziale forzata inazione del periodo bellico, la presidenza dei C. vedeva esaurirsi la ragione stessa della sua esistenza. Anzi, l'atteggiamento di aperta e leale collaborazione, se non, incerti casi, di indubbia adesione, che il C. aveva assunto verso il fascismo, andando spesso ben oltre le direttive stesse del pontefice, diventava, verso la fine degli anni Venti, di oggettivo imbarazzo per la S. Sede: il 15 ott. 1929, "ritenendo di non potere autorevolmente interpretare correnti che miravano a trascinare l'Azione cattolica nella lotta politica contro il governo fascista" (S. Cavazzoni, p. 232) il C. si dimise dalla carica di presidente generale dell'Azione cattolica, continuando, purtuttavia a far parte della giunta centrale e a presiedere l'I.C.A.S.
Le dimissioni vennero subito accolte da Pio XI che nominò al suo posto Augusto Ciriaci, presidente centrale della Federazione italiana degli uomini cattolici, al quale concesse di mantenere entrambi gli incarichi. Il pronto accoglimento delle dimissioni e la nomina del Ciriaci, un dirigente che più volte negli ultimi anni in seno alla giunta centrale aveva apertamente rimproverato al C. di avere assunto atteggiamenti eccessivamente condiscendenti verso il regime, erano evidente segno che la S. Sede riteneva necessario che l'Azione cattolica adottasse per l'innanzi unalinea di condotta ispirata ad un senso di maggiore indipendenza nei confronti del fascismo.
Per la sua precedente vasta esperienza acquisita come amministratore nel settore bancario e nella cooperazione, il C. venne allora chiamato dal Cavazzoni a collaborare all'opera di risanamento di alcuni istituti di credito cattolici in grave dissesto a causa dei fallimento del Credito nazionale: membro del collegio sindacale dello stesso Istituto centrale di credito (l'organismo finanziario autonomo a tale scopo creato dal governo italiano in accordo con la S. Sede), fin dalla fondazione diresse in qualità di presidente e per più di un quarantennio (19 apr. 1932-9 apr. 1973) la Banca provinciale lombarda, nata dalla fusione del Banco lodigiano di Codogno, dei Banco S. Alberto di Lodi, dei Credito pavese di Pavia e dei Banco S. Siro di Cremona. Durante la sua gestione, non solo vennero sanate le passività ereditate dai precedenti istituti di credito, ma la Provinciale lombarda conobbe un intenso sviluppo testimoniato dal sempre più alto livello dei depositi.
Nel secondo dopoguerra il C. svolse anche un importante ruolo nella ricostruzione e riorganizzazione dei servizi ospedalieri milanesi, e nella politica sanitaria nazionale: dal 1946 al 1956 presiedette il Consiglio di amministrazione dell'Ospedale Maggiore di Milano (la "Ca' Granda"), fondò la Federazione italiana delle associazioni regionali ospedaliere (F.I.A.R.O.), e dal 1955 al 1958 diresse la Fédération internationale des hôpitaux (F.I.H.), organismo affiliato all'O.N.U.: per tale attività gli fu assegnata la medaglia d'oro del ministero della Sanità e la decorazione internazionale di Commander of Public Health.
Morì a Milano il 22 ag. 1973.
Documenti e lettere del C. sono custoditi a Milano presso la famiglia. Altro materiale, per lo più inedito, è a Roma nell'arch. della presidenza generale dell'Azione cattolica italiana; nell'archivio Achille Grandi, presso l'università cattolica dei Sacro Cuore a Milano; nell'Arch. Segr. Vaticano; nell'archivio Stefano Cavazzoni, presso la famiglia a Milano.
Scritti. Molteplice e varia fu l'attività pubblicistica del C.; fra le collaborazioni più assidue segnaliamo quelle a: L'Organizzazione, L'Organizzazione tessile, Il Lavoro, L'Unione (dal 1912 L'Italia), Il Lavoro italiano, La Cooperazione milanese, tutti editi a Milano; L'Azione sociale, di Faenza; Il Domani sociale e il suo supplementoCooperazione popolare, di Milano-Roma; L'Avvenire d'Italia, di Bologna; L'Osservatore romano; il Boll. uffic. dell'Azione cattolica italiana, di Roma. Vedi anche il testo di due conferenze del C.: L'organizzazione professionale dell'industria, in L'Organizzazione professionale, Settimana sociale di Assisi (24-30 sett. 1911), Firenze 1912, pp. 127- 151 e La Democrazia cristiana nelle encicliche di Leone XIII, prefaz. di F. Meda, Milano 1924. Interessanti, infine, le pagine di ricordi dedicate dal C. a due amici: in S. Cavazzoni, a cura di L. Cavazzoni, Milano 1955, pp. 224-239 e Mons. Olgiati e l'azione dei cattolici, in Mons. F. Olgiati, Milano 1962, pp. 99-105.
Fonti e Bibl.: Necr. in L'Osservatore romano, 25 ag. 1973; in Diocesi di Milano, XIV (1973), 11; in Ca' Granda, XIC [sic.], 5; I primidieci mesi di vita del Sindacatoitaliano tessile" (febbraio-novembre1909), Milano 1910, passim, G. B. Migliori, Le organizzazioni professionali cattoliche in Italia, prefaz. di G. Toniolo, Milano 1915, pp. 178-184; Mondo cattolico, a cura di L. Cambise, Roma 1952, p. 535, ad vocem; F. Magri, L'Azione cattolica in Italia, Milano 1953, I, pp. 284, 324 s., 328 s., 410, 415, 420, 508-524; II, p. 436; S. Cavazzoni, cit., passim; L. Civardi, Compendio di storia dell'Azione catt. ital., Roma 1956, pp. 93, 124, 129, 179 s., 228; F. L. Ferrari, L'Azione cattolica e il "regime", a cura di E. Rossi, Firenze 1957, passim; G. Pastore, A. Grandie il movimento sindacale ital. nel primo dopoguerra, Roma 1960, pp. 31 s., 107-136; G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, II, Il Partito popolare italiano, Bari 1966, pp. 385, 421, 462, 473, 476, 539-542, 545, 547 ss., 552; G. Rossini, Banche cattoliche sotto il fascismo, in Il movimento cattolico nel periodo fascista, Roma 1966, pp. 5-166 (partic. le pp. 35, 41 ss., e 166); E. Rossi, Il manganello e l'aspersorio, Bari 1968, pp. 57, 72, 131, 134 ss., 149 ss., 154 ss., 188; C. D. Faroldi, Vivocordoglio per la scomparsa dell'avv. L. C., in Avvenire, 24 ag. 1973; A. M. Ferrari, In memoria dell'avv. L. C., in L'Osserv. romano, 22 ag. 1974; G. Ignesti, F. L. Ferrari e "L'Observateur", Roma 1975, pp. 128 s., 137, 151 ss., 311 s.; L. Sturzo, Scritti inediti, II, 1924-1940, a cura di F. Rizzi, Roma 1975, pp. 53, 77, 144, 240, 270; B. Gariglio, Cattolici democr. e clerico-fascisti, Bologna 1976, pp. 56 s., 77, 129, 232; M. G. Rossi, Le origini del partitocattolico, Roma 1977, pp. 135, 152, 184 s., 306, 375, 381, 388, 391, 398, 400; M. C. Giuntella, Circoli cattolici e organizzazioni giovanili fascistein Umbria, in Cattolici e fascisti in Umbria (1922-1945), a c. di A. Monticone, Bologna 1978, pp, 31-92 (partic. le pp. 31-35); M. Reineri, Cattolicie fascismo a Torino (1925-1943), Milano 1978, pp. 19, 46, 61, 111 ss., 235; R. Moro, La formaz. della classe dirigente cattolica (1929-1937), Bologna 1979, pp. mo, 115, 119, 158, 166, 256, 308, 319 s.