CICCONI, Luigi
Nacque a Sant'Elpidio a Mare (Ascoli Piceno) il 12 dic. 1804 da Elpidio e Giovanna Perucci. Primo di tre fratelli, crebbe nella casa natale, dimostrando precoci doti letterarie e drammatiche.
Sembra risalgano al suo quattordicesimo e quindicesimo anno tre tragedie, l'Assalonne, il Biblì e l'Alboino, rappresentate poi a Trieste con grande successo ed entusiasmo per questo enfant prodige di provincia. Adeguandosi ai voleri paterni, il C. iniziò gli studi per arrivare a indossare l'abito religioso. A Fermo ebbe come primo maestro l'abate Francesco Michelesi, professore di retorica seguace del Frugoni, sui volumi del quale istruiva i suoi diqcepoli. I sensuali versi dell'arcade genovese non incontrarono però il favore del C., che preferì in seguito provarsi con motivi neoclassici e con versi di ispirazione civile, modollati su quelli del Carrero o del Prati. Si trasferì quindi a Roma, ove studiò medicina, non tralasciando però di coltivare i propri interessi letterari e filosofici. Il 22 apr. 1824 partecipò al concorso per ventitré posti di "giovane soprannumerario" presso l'ospedale di S. Spirito, riuscendo decimo dei quarantasei concorrenti. Tre anni dopo andò a Roma per l'ultima volta Tommaso Sgricci, detto "l'Unico Aretino", famoso improvvisatore, reduce dai successi parigini al teatro Louvois: fu la grande scoperta del C., che al teatro Capranica assistette alla recita estemporanea di una Morte diAiace. Sembra che quella stessa notte provasse a improvvisare per i suoi colleghi d'ospedale La morte di Didone. Iniziarono allora per lui anni di intenso studio, mentre nei salotti della capitale affrontava con successo le prime prove. All'ambasciata francese fu la volta di una Morte di Priamo, che il barone Malvica ricorda nelle sue memorie, sottolineando le grandi possibilità del nuovo poeta estemporaneo (cit. da Massi).
Dopo un intenso periodo di studi, il C. si recò in vacanza nella città natale, dove il 9 ott. 1828, nel teatrino del palazzo municipale, dette un saggio delle sue maturate qualità coll'improvvisare una Merope.
Oramai sicuro di sé, tornò a Roma e dette alle stampe un'Ode alla marchesa Gentilina Bandini Arrighi. Sirecò poi a Napoli, ove per la prima volta si, presentò ufficialmente al pubblico.
In una autobiografica Lettera ai concittadini, conservata nell'Archivio municipale di Sant'Elpidio a Mare, cosi ricorda l'esperienza di quel debutto: "Il trambusto e il ronzio della città popolosa mi trasser quasi fuor di me e ciecamente, come nocchier senza timone in mezzo ai flutti, mi abbandonai a una potenza invisibile, che parea uccidermi, ispirandomi. Lo sconvolgimento interno dell'anima causao dall'oscura idea che mi faceva d'un pubblico, fu per la prima volta assai violento".
Tutto andò per il meglio e fu l'inizio di una tournée digrande successo. Sappiamo di esibizioni del C. a Catania, a Termini Imerese, ove recitò Turno, a Messina con un EdipoRe e a Palermo, quando improvvisò prima una Medea e l'8 ott. 1830 una Camma, che, trascritta, fu edita l'anno dopo a Napoli, con una prefazione degli anonimi curatori, in cui si citava polemicamente un discorso del Giordani sull'impossibilità del far bella poesia improvvisandola.
Tornato a Roma, il C. preparò un nuovo giro che, nel 1832, partì da Genova. A Firenze, dove improvvisò un Lodovicoil Moro, il successo di popolo sembra fosse tale che il governo granducale, sospettoso, gli intimò di andarsene entro ventiquattr'ore, per misura precauzionale. Egli riparò a Torino, dove lo troviamo il 30 novembre al teatro Carignano, alle prese prima con una Corinna e poi con una Parisina, che fu stenografata da Filippo Delpino e pubblicata subito da Pomba. Il viaggio proseguì, toccando Milang, Venezia, Ferrara, Vienna e, poi, di ritorno, Bologna, dove il C. si esibì con una Congiura dei Malvezzi e, vinte evidentemente le remore morali che gli avevano proibito quel soggetto sino allora, una Beatrice Cenci. Sue rappresentazioni avvenhero anche a Forlì, Ravenna, Rimini, Ancona, Macerata e, dopo una sosta a Roma, a Livorno, Pisa, Lucca e in Corsica, dove gli nacque la prima idea di un viaggio a Parigi.
Abbiamo testimonianze del suo arrivo nella capitale francese nel Diario intimo di Niccolò Tommasco, che nel '35 scrive anche a Cesare Cantù, a proposito dell'improvvisazione de La morte del duca di Guisa:"Ritrasse, quanto un'estemporanea fatica gliel concedeva, il colore de' tempi, indicò molto avvedutamente come la parte ugonotta, che parea combattere per motivi generosi, fosse più gretta dell'altra e, all'ultimo, più tiranna. Bei concetti non mancarono al Dramma, nel quale il poeta valentissimo si mostrò, come suole, capace di più forti lavori e degno di salire per più difficili vie".
Tutta Parigi si recò a sentire il C., e il più famoso dei poeti estemp . oranci francesi, Eugène Pradel, gli lanciò una sfida. La gara pubblica avvenne nella sala grande del Hôtel de Ville la sera del 10 maggio 1836. Il tema estratto era Cesare Borgia e prima vi si cimentò il francese. Giudice per il C. fu l'Orioli e per Pradel il Lamartine, che al termine della serata incorono vincitore con le proprie mani l'italiano. Fu, sembra, l'ultima improvvisazione del C. e venne raccolta stenograficamente dal Dallari e dall'Armani a versi alterni e data alle stampe con una dedica alla principessa di Belgioioso.
Gli anni parigmi, cinque in tutto, furono per il C. i più mondani e felici: tutte le porte gli si aprivano, era uno dei pochicon cui amava intrattenersi il Tommaseo, frequentava Méry, Chateaubriand, Mickiewicz, Hugo e molte dame con cui si diceva avesse avuto avventure galanti e sentimentali. Nella già citata Lettera ai concittadini scriverà: "e l'argine fu rotto e io fui travolto". Collaborava a giornali e riviste francesi, ed è interessante ricordare il suo saggio apparso il 1° ott. 1837 sulla Gazette de France per la morte di Giacomo Leopardi, che si presume avesse conosciuto. Il C. dimostrava una conoscenza sicura delle opere del Leopardi, che egli molto lodava pur condannandone la mancanza d'ispirazione religiosa. Nel '39 era però stanco e accettò volentieri l'offerta di Alessandro Fontana, che lo invitò a Torino perdirigere il Museo scientifico, letterario ed artistico. Nei due anni in cui rimase alla guida della rivista, le dette grande impulso e vi chiamò a collaborare C. Cantù, Carrer, Dandolo, Giordani, Visconti e vari altri. Egli stesso vi collaborò con molti articoli d'argomento, storico e letterario, che ebbero un certo seguito per la modernità degli argomenti trattati e l'eleganza dello stile. Negli anni seguenti continuò a scrivere per il Museo, per l'Antologia italiana del Predari, per il Moniteur universel, di cui fu corrispondente sino alla morte, per Il Mondo illustrato (di, cui fu anche direttore nel '48-'49) e l'Enciclopedia popolare del Pomba. E con Pomba pubblicò i lavori di maggior impegno: i due volumi della storia del progresso dell'industria umana e i tre intitolati Origine e progresso della civiltà europea, ove si ripercorre, con grande enfasi, la nascita deirindustria nonché le ideologie connesse, comprese quelle degli utopisti, da Owen a Fourier, accusati di ingenuità, "perché la storia non si disfà e non sì ricompone a grado dell'uomo, come un castello di carte". Con questi scritti il C. si guadagnò, dopo il '48, grazie anche all'amicizia di Terenzio Mamiani, la cattedra di storia e geografia, cui si aggiungerà quella di lingua francese, presso il collegio di Mortara. Nella cittadina piemontese, una via della quale porta oggi il suo nome, visse ritirato Sino al 25 maggio 1856, giorno della sua morte.
Nel '53 aveva dato alle stampe i primi ventotto canti di un grande poema enciclopedico intitolato Mondo Promesso, circa ventimila endecasillabi divisi in ottave. Del. resto dell'opera abbiamo un prospetto, che termina con questa annotazione: "Disegno fatto per stanchezza di mente e disperando compiere il lavoro". Il progetto era infatti grandioso e quando ne avevano riferito la trama a Chateaubriand, questi scrisse al C. - secondo il Massi -: "Ce plan est immense!". Si irattava di mettere in versi la storia dell'umanità attraverso un'infinità di personaggi allegorici, senonché la miriade di figure che si agitano confusamente nel poema rende assai oscuro tutto il lavoro, cui invece il C. credeva di affidare la propria fama presso i posteri. Nelle sue carte sono stati ritrovati, oltre ai versi, appunti, lettere e saggi, vari romanzi e racconti di ispirazione romantica, con evidenti debiti a modelli francesi. Della sua poesia, legata come era all'improvvisazione, resta poco e di non buona qualità. Possiamo dire che la sua formazione neoclassica si scontrava con una tendeàza a utilizzare motivi romantici (poco amati dal pubblico) e forme di derivazione ossianesca. Così, se tra i modelli che gli vengono attribuiti ci sono l'Alfieri, il Monti e anche il Niccolini, ha ragione qualcuno ad aggiungere il Pellico e il Manzoni tragico, dai quali deriva con superficialità certi accenti genericamente patriottici e moralistici.
Opere: Ode alla Marchesa Gentilina Bandini Arrighi, Roma 1929; Camma, Napoli 1831; Parisina, Torino 1832; Storia del progresso dell'industria umana, I-II, ibid. 1842; Origine e progresso della civiltà europea, I-III, ibid. 1843; Sergianni Caracciolo, in Florilegio drammatico, Milano 1845; Raffaello e le belle arti sotto Leone X. Scene storiche, ibid. 1846; Mondo promesse, Torino 1853. A ciò siaggiungano i molti manoscritti del C. conservati nell'Archivio municipale di Sant'Epidio a Mare, tra i quali ricordiamo: Il moro di Schio, La figlia del castellano (drammi in versi); Avventure napoletane, La sposa colpevole (romanzi); Il soldato di Mortara, La bella bolognese (racconti); Il montanaro, Le bellezze storiche di Roma (poemetti); una Storia religiosa del genere umano sino a Saul; Lettera ai concittadini (nota autobiografica); Sonetti, canzoni e versi sparsi.
Fonti e Bibl.: Sant'Elpidio a Mare, Arch. municipale, A. Marini, Discorso biografico su L. C. (14 marzo 1878);N. Tommaseo, Diario intimo, Torino 1946, pp. 214, 222, 230, 233, 236, 241, 244, 254, 255, 261, 266, 270;F. Predari, Continuazione, inG. B. Corniani, I secoli della letter. ital., VIII, Torino 1856, pp. 343-3453P. Bisazza, Lettera al cav. L. Vigo sull'Edipo re, trag. estemp. di L. C., in Opere, III, Messina 1978, pp. 535-546;F. Martini, Unaneddoto, in Il Fanfulla, 18 genn. 1878;E P. Massi, Il miopaese, I, Fermo 1897, pp. 119-138;G. Mestica, Studi leopardiani, Firenze 1901, pp. 429, 484, 541-542;A. Vitagliani, Storia della poesia estemporanea, Roma 1905, p. 165;G. Mazzoni, L'Ottocento, II, Milano 1913, p. 230;G. Gentile, 0rigini della filos. contemporanea in Italia, III, I, Messina 1921, p. 281;G. Prato, Fatti e dottrine econom. in Italia alla vigilia del '48, Torino 1921, p. 348; Encicl. Ital., X, p. 199; Encicl. dello Spett., III, col. 737.