CIBRARIO, Luigi
Nacque a Torino il 23 febbr. 1802 da Giambattista, notaio - trasferitosi nella capitale da Usseglio, nelle valli di Lanzo, negli ultimi anni dei secolo precedente, spinto da necessità finanziarie - e da Maddalena Boggio, figlia dell'architetto Carlo. In seguito il C. attribuirà alla propria famiglia origini nobiliari, documentandole fino al 1708, e spingendosi nella ricostruzione della genealogia fino al XIV sec. Perso il padre nella primissima infanzia, alla sua educazione provvidero la madre ed una zia materna, Placida Boggio, da monaca ritornata allo stato laicale con gli eventi rivoluzionari del 1797. Nel 1818, grazie al posto gratuito vinto presso il Collegio delle provincie di Torino, si iscrisse alla facoltà di belle lettere uscendone laureato nel 1821. Durante questi anni aveva accostato il latinista C. Boucheron, che a sua volta lo aveva raccomandato a P. Balbo, ministro degli Interni e magistrato per la riforma degli studi. Ne nacque un sodalizio fatto di protezione, da parte del Balbo, ricambiata con devozione dal C. che lo tenne sempre anche come maestro negli studi. Fu il Balbo che gli permise l'ingresso al ministero degli Interni come applicato, e il C. lo ringraziò con una biografia encomiastica, con cui, oltre a esaltare le origini nobili della famiglia, si voleva allontanare ogni ombra possibile dalla figura dei vecchio uomo politico, a proposito degli avvenimenti rivoluzionari del '21. Addottoratosi in diritto civile e canonico nel '24, gli fu affidata una divisione, ricevendo all'interno del ministero la protezione e la guida di G. Manno, in quegli anni incaricato per gli affari dell'isola di Sardegna. Da questa esperienza derivò al C. una precisa competenza della amministrazione burocratica e dei suoi strumenti.
Nel frattempo l'ode pubblicata per la nascita di Vittorio Emanuele nel 1820 gli aveva procurato un altro importante appoggio, o addirittura un'amicizia, quella del principe ereditario Carlo Alberto, verso il quale il C. ebbe sempre profonda devozione e dal quale, se non fu ricambiato per lealtà di confidenze, ricevette la più alta stima come uomo di lettere (F. Sclopis, Notizie della vita e degli studi del c. L. C., in Atti d. R. Acc. d. sc. di Torino, VI [1870-71], p. 83). Nel 1829, quando passò alla magistratura della Camera dei conti con il titolo di sostituto procuratore generale del re, aveva già pubblicato la sua prima opera storica in due tomi, Delle storie di Chieri, apparsa a Torino nel 1827.
L'opera era stata suggerita da P. Balbo, in cui possesso, per l'origine chierese della famiglia, erano documenti e cronache che gli mise a disposizione. Mancava fino ad allora una storia di Chieri redatta con criteri moderni; non poteva dirsi che a questa esigenza rispondesse la Cherensis urbis descriptio di R. Biscaretto, né l'altra storia di P. Gioffredo. E per ultimo l'opera del Sismondi, Histoiredes républiques italiennes..., non aveva ricordato il Comune di Chieri, primo dei comuni piemontesi, da considerarsi anch'essi comuni italiani (Delle storie di Chieri, p. VIII). La storia della città è trattata dunque per il periodo in cui si resse a Comune indipendente, dalle origini nel sec. X alla sua dedizione ad Emanuele Filiberto. Dei due tomi, il primo comprende la storia propriamente detta, il secondo raccoglie con criteri cronologici una ricca documentazione, descritta minutamente, che proviene, oltre che da archivi privati, dall'archivio di Chieri; vi sono contenuti statuti, materiale diplomatico, atti pubblici riguardanti l'amministrazione finanziaria, l'economia cittadina, ecc. Viene riportato per intero lo statuto della Società di S. Giorgio, ad accompagnare le pagine che nel primo tomo ne ricostruivano la nascita e l'attività. E forse proprio queste sono le pagine più interessanti dell'opera, che con il suo procedere annalistico riesce pesante e farraginosa, anche se ricca di crudizione.
L'interesse storico-erudito, del C. trovava in quegli anni particolare alimento nella ricchezza di documentazione che gli archivi canierali e di corte gli offrivano, per il suo ufficio di magistrato. Ne nacque un interesse particolare per la storia sabauda, realizzatosi in numerosissimi articoli e memorie, e più tardi in poderose opere, caratteristiche di tutta la sua attività di studioso, ma che furono anche il documento più chiaro del suo orientamento di cittadino e uomo politico. Un primo riconoscimento ufficiale come storico di casa Savoia lo ebbe nel 1832, quando Carlo Alberto, di recente salito al trono, lo inviò insieme con D. Promis in missione in Francia ed in Svizzera per raccogliere documenti della monarchia di Savoia nei primi secoli. I risultati del viaggio si videro nell'opera, firmata anche da D. Promis, Documenti, sigilli e monete appartenenti alla monarchia di Savoia (Torino 1833).
Oltre alla parte documentaria, ricca specialmente per quel che riguarda le scritture, ma non quanto avrebbe potuto esserlo (G. Libri, Notice..., p. 17), l'introduzione affronta il problema, vecchio di secoli, dell'origine di casa Savoia, attraverso una lettura filologica spesso discutibile, in cui più personaggi vepgono fusi in uno, modificando ed adattando nomi propri alla bisogna. A qui sdegnosarn e rifiutata l'origme sassone della casa, ancora in auge nel secolo precedente, ed adombrata una borgognona, ma l'intento è per ora soprattutto di mostrare l'alto lignaggio dei Savoia.
Di interesse assai maggiore, per il rigore della documentazione e la chiarezza espositiva, sono le tre memorie Delle finanze della monarchia di Savoia, nei secoli XIII e XIV, lette all'Accadernia delle scienze, di cui era divenuto socio nel 1830, pubblicate dopo due anni nel '33 (Memorie, XXXVI[1833], 2, pp. 63-138, 157-276; XXVII [1834], 2, pp. 155-182; successivamente raccolte nel volumetto Opuscoli, Torino 1841).
Con questo lavoro si propose di far conoscere i modi e i mezzi di riscossione e amministrazione delle entrate della Corona, dalla morte di Amedeo IV (1253) fino al regno di Amedeo VIII sul.finire del sec. XIV. Mentre il primo dei discorsi ha per oggetto una dettagliata descrizione degli ordinamenti amministrativi dello Stato, il secondo esamina le entrate della Corona, soffermandosi sulle monete e i loro valori; il terzo infine si occupa dell'amministrazione del denaro pubblico, esaminando come avvenisse il riconoscimento delle entrate, da chi fossero riscosse, quali forme regolassero le spese pubbliche, quali fossero le modalità dei rendiconti, e conclude con le leggi emanate dai conti di Savoia intorno all'argomento.
Negli stessi anni pubblicava una serie di altri contributi, che sono piuttosto curiosità storiche, sia pure tratte da documenti d'archivio, che sforzi interpretativi (La morte del conte di Carmagnola, Torino 1834; Relazione del viaggio fatto in Piemonte e in Savoia l'anno 1481 dalla principessa Chiara Gonzaga..., ibid. 1834; La morte, di Amedeo VII conte di Savoia detto il Conte Rosso, ibid. 1835). Veniva però nel frattempo preparando l'opera sull'Economia politica nel Medioevo (I-II, Torino 1839), che doveva riportare grande successo anche all'estero, dove vennero compiute traduzioni parziali e complete, in Francia e in Germania.
Un'assai notevole opera di economia politica era stata pubblicata due anni prima in Francia da A. Blanqui (Histoire de l'économie politque en Europe, dépuis les anciens jusq'à nos jours, I-II, Paris 1837), che pur ricordata dal C. - che se ne servì per alcuni dati - non incide nella impostazione generale del suo lavoro. Il profilo di Blanqui ha infatti un punto di partenza teorico-filosofico, ispirato alla cultura illuministica e alla lettura degli economisti classici, la cui problematica non figura fra gli interessi del Cibrario. Un suggerimento gli veniva invece dalla storiografia erudita tedesca, cui tutta la scuola storica piemontese prestava molta attenzione, e particolarmente dall'opera di A. Boeck, Die Staatshaushaltung der Athener (1817), che utilizzava i risultati della ricerca filologica per lo studio della produzione e dei consumi presso gli Ateniesi (F. Sclopis, p. 73). D'altra parte, l'attenzione per la storia della legislazione finanziaria e l'interesse per la storia dei commerci avevano caratterizzato già le sue precedenti ricerche. In verità quest'opera, pur imponendosi per il cospicuo materiale di prima mano usato e soprattutto per il rapporto, per la prima volta istituito, fra il valore delle monete antiche e quello delle moderne, in modo da individuare il valore di acquisto delle prime attraverso il prezzo del grano come unità di misura adeguata a tale valutazione nel Medioevo e nell'età moderna, non è tanto un'opera di storia dell'economia politica, quanto una storia del Medioevo con l'originale aggiunta della legislazione che regolava i conimerci, e le notizie e i prezzi di un ricchissimo ventaglio di oggetti di quell'età. Nella seconda edizione della sua opera (Paris 1842, II, p. 413) il Blanqui individua con lucidità i pregi e i difetti del lavoro del C., osservando che pure nel "grande insieme di particolari interessanti sui prezzi delle derrate, sullo stato della proprietà, sul sistema monetario... non possiede né un punto di vista generale né conclusioni nette e precise che diano valore a questa statistica, d'altronde piena di sapienti ricerche". In merito poi ai criteri seguiti per calcolare il valore delle merci, C. Balbo (Due lettere all'avvocato Battaglione, in Lettere di politica e letteratura, Firenze 1855, pp. 182 s.) obbiettava correttamente che o siffatto principio non è matematicamente esatto; che la medesima quantità di grano non debbe avere avuto il medesimo valore reale in due tempi così diversi di popolazione e nutrizione"; ma concludeva che fosse il più esatto fin'allora immaginato, dopo avere del resto paragonato quest'opera addirittura alla Storiadei papi di L. Ranke.
L'opera del C. però merita attenzione non soltanto per le indagini statistiche contenute nel terzo libro, per lo studio della proprietà, per l'esplorazione demografica compiuta con l'aiuto della tassa sui fuochi, per la descrizione del funzionamento dell'erario pubblico, del sistema monetario e via dicendo. Ragguardevoli, anche se non originali quanto il terzo libro, sono il primo e il secondo, in cui si tratta rispettivamente della "Condizione politica" e della "Condizione morale". La definizione di economia politica, che il C. fornisce in apertura, è in effetti molto ampia: "L'economia politica è insomma una storia comparativa delle cause e degli effetti dello stato politico, morale ed economico delle nazioni" (I, p. IX). Colpisce innanzi tutto specie nel capitoli di storia politica l'andamento saggistico dell'esposizione, che ricorda le lezioni di Storia della civiltà in Europa di F. Guizot, distinguendosi dagli schemi di sintesi cronologica a cui la storiografia italiana era abituata. Ciascun capitolo è dedicato a un argomento che più che alla storia politica attiene alla storia delle istituzioni e alla storia del diritto nei principali paesi europei; esemplarmente si può ricordare il capitolo quinto sul "Riordinamento della giurisdizione ecclesiastica. Progressi delle nuove monarchie. Prosperità e decadimento dei comuni". Le fonti del primo libro sono in genere edite e la bibliografia comprende opere inglesi e tedesche oltre al Muratori e al Troya. La seconda parte è costruita per lo più su un inedito materiale, spesso inusuale per i tempi, fatto di processi inquisitoriali contro le streghe e gli eretici tratti dall'archivio arcivescovile, di episodi della vita cavalleresca di cui si descrivono le giostre e i costumi; non manca la storia dei culti e degli Ordini religiosi, degli istituti e delle opere di carità. La mancanza di netti accenti di partigianeria ideologica sono forse la ragione del successo piuttosto limitato in Italia e, della più vasta eco all'estero. Le intricatissime questioni di storia medievale, che tanto condizionavano la storiografia italiana dell'epoca, sono in genere date per risolte secondo la più autorevole storiografia, con la preferenza per soluzioni equidistanti. Le parole più aspre sono rivolte alla tirannide dell'Impero romano e alla rinata cultura classica del Rinascimento (I, p. 469). Sarebbe improprio tuttavia attribuire a questo libro mancanza di simpatie per organismi e istituzioni di sorta; la monarchia, il suo farsi strada in mezzo alle fazioni comunali è salutata come la salvezza e la fonte della forza e della giustizia (I, p. 103), e il Piemonte fra gli Stati italiani è quello in cui tali attributi hanno trionfato (I, p. 130).
Nello stesso 1839 l'apertura dell'anno giudiziario del magistrato della R. Camera dei conti, di cui era divenuto appunto collaterale, gli porse l'occasione per un discorso inaugurale dal titolo Della pace pubblica (in Opuscoli, cit., pp. 140-60). L'aggregazione sociale, i suoi fini, i mezzi di difesa che possiede contro l'ingiustizia e la cupidigia, il valore della pena e l'uso che di essa si deve fare sono gli argomenti intorno a cui il discorso si svolge. L'ispirazione teorica è tratta dalla Genesi del diritto penale di G. D. Romagnosi, con cui si concorda, anche in merito all'opportunità della pena di morte, con l'osservazione che solo alcune "più fortunate nazioni" possono farne a meno. Espiazione e prevenzione devono tuttavia essere considerate come elementi complementari a legittimarla.
Solo di un anno seguente è la pubblicazione del primo volume della Storia della monarchia di Savoia, che in breve tempo sarà seguita da altri due (Torino 1840-44). L'opera si inquadrava nella ripresa degli studi storici in Piemonte, a cui la Deputazione di storia patria aveva dato grande impulso con la pubblicazione degli Historiae Patriae Monumenta;lo stesso C. ne dirigeva la sezione per la pubblicazione dei diplomi (Chartarum, I-II, Augustae Taurinorum 1836 e 1853) e aveva curato, l'edizione di alcuni statuti (Leges municipales, I, Augustae Taurinorum 1838). Ma una ripresa di studi sulla monarchia sabauda secondo il metodo muratoriano c'era già stata durante il regno di Carlo Emanuele III con le indagini di G. Terraneo, A. Carena, G. Meiranesio, F. Besson, D. Muletti e G. Vernazza.
Nonostante gli appelli al rigore, il C. non può esimersi per evidenti motivi politico-ideologici dal ritornare sul problema delle origini genealogiche della famiglia sabauda, e questa volta si risolve per la discendenza italiana di Umberto Biancamano. L'opera prosegue poi secondo un ordine cronologico che contribuisce a renderla piuttosto arida e nozionistica, fino alla morte del Conte Verde (1383). Il Ricotti riprendendo lo stesso argomento si porrà come data di inizio il 1504. Non giovano a questa opera l'eccessivo frantumarsi del racconto in mille episodi di pace e di guerra, né il tono apologetico che nell'insieme è evidente, pur non mancando riserve sull'operato di alcune personaggi (il conte Umberto III, per esempio). L'elogio dell'aristocrazia poi si accompagna a quello dei suoi sovrani e vi si adombra a questo proposito, anacronisticamente, alla vigilia delle rivoluzioni democratiche del '48, un suggerimento che si concretizzerà in un metodo seguito poi per tutta la sua storia dalla monarchia Savoia. "L'aristocrazia è una necessità sociale - scrive il C. - contro cui i popoli si son sempre ribellati inutilmente. Dove non vi sono nobili, non tarda ad introdursi un'aristocrazia di banco e di bottega, niente meno orgogliosa della patrizia. Il senno forse consiste non nell'abolire il patriziato, ma nell'aprime e nell'agevolarne l'accesso" (Storia della monarchia di Savoia, I, p.152).
Un'altra opera in parte vicina per argomento alla precedente è la Storia di Torino (I-II, Torino 1846), che veniva a coprire un vuoto intorno alla storia della capitale dei regno sardo che.durava da quasi due secoli. La storia della città lasciata incompiuta da E. Tesauro e proseguita da P. Giroldi (I-II, Venezia 1680) fino al tempo della contessa Adelaide era insufficiente sia per termini cronologici sia per documentazione, pur costituendo un progresso rispetto alla precedente e prima storia della città di F. Pingon (Taurini 1577), che aveva mescolato ancora alla descrizione, di origini leggendarie materiale fornitogli dagli storici dell'umanesimo o dalle cronache più antiche.
I due volumi del C. comprendono rispettivamente la storia della città il primo, e l'illustrazione dei suoi monumenti, gli aneddoti e le sue vicissitudini materiali il secondo. Neanche il C. è immune dal soffermarsi su congetture bibliche intorno alle origini degli abitanti della regione, appoggiandosi alle Meditazioni storiche di C. Balbo da poco pubblicate. Prosegue poi il racconto con l'età preromana e romana con la scorta dell'erudizione antiquaria sette-ottocentesca. Più interessante il racconto si fa con l'età cristiana, per cui utilizza anche materiale archeologico di recente reperito; per i secoli immediatamente seguenti può dare descrizione di fatti specialmente attraverso la cronaca della Novalesa, pubblicata appunto negli Historiae Patriae Monumenta. Proseguendo cronologicamente e arricchendosi il materiale di archivio a disposizione, può tratteggiare la storia del Comune, sia per gli aspetti politici e militari sia per quelli amministrativi e di. storia minore, con vivacità e ricchezza di particolari. Si preoccupa di assegnare alla città un ruolo dignitoso nel patrocinio degli studi universitari fin dal sec. XV, concludendo con il XVIII sec., su cui tuttavia si sofferma brevemente.
Negli ultimi tempi frattanto, il successo di studioso, lo scrupolo di alto burocrate, la dignità nobiliare accuratamente perseguita anche attraverso altolocati matrimoni (aveva sposato nel 1828 Manina Turinetti e dieci anni dopo Teresa George De La Motte, da ciascuna delle quali aveva avuto sette figli), accompagnati da prudenza politica e da un viscerale attaccamento alla dinastia di cui fu sempre pronto a seguire gli orientamenti, ne fecero l'uomo di fiducia di Carlo Alberto negli anni delle faticose riforme e delle lente aperture. Fu l'uomo adatto, perché non legato né all'una né all'altra parte, a mediare fra partito reazionario e partito liberale, ubbidiente e sottomesso di fronte al re. È su commissione di Carlo Alberto che con la data del 12 dic. 1847, all'indomani di dimostrazioni di piazza, pubblica a Torino un opuscoletto Sulle riforme di re CarloAlberto. Pensieri, il cui intento è di rassicurare "i retrogradi e gli esagerati" sulla necessità delle riforme e sull'accordo che è possibile stabilire fra ordine e libertà. Non mancano però ammonimenti anche per "gli impazienti". Si pronuncia contro l'utilità, per il momento, della guardia nazionale.
Il 1848 lo vide impegnato nella commissione per la legge sulla stampa, per la riforma delle leggi sulle strade e sui ponti, per la legge sulla tassa commerciale. Il 6 agosto insieme con il generale V. Colli egli venne inviato a Venezia in qualità di commissario regio, per offrire tutte quelle garanzie che assicuravano alla città le libertà conquistate, nonostante l'unione al Regno di Sardegna. La notizia dell'armistizio mise in pericolo l'incolumità del C. e del Colli, che assaliti dalla folla furono salvati da D. Manin, pur rifiutando di far parte a titolo personale del governo repubblicano, che si accingeva a resistere. Due anni più tardi commentava gli avvenimenti di quei mesi scrivendo che l'indipendenza italiana avrebbe potuto compiersi nel '48 se re Carlo Alberto: "1) avesse chiesto al Parlamento poteri straordinari; 2) avesse chiuso le Camere dove si facevano discussioni imprudenti; 3) se si fosse frenata la stampa; 4) se nei paesi occupati si fosse messo un governo militare; 5) se si fosse permesso all'esercito di sostenersi nel paese invaso" (Notizie sulla vita di Carlo Alberto, iniziatore e martire della indipendenza d'Italia, 2 ed., Torino 1861, pp. 98 s.) Senatore del regno dall'ottobre del 1848, rifiutò nel dicembre la missione a Gaeta presso Pio IX, prevedendo l'impossibilità di risolverlo alla moderazione secondo le richieste dei costituzionali, e l'offerta del portafogli delle Finanze in un ventilato ministero d'Azeglio. L'anno seguente fu presidente della commissione per la. legge sulla responsabilità dei ministri, consigliere provinciale e divisionale, consigliere della città di Torino. Nel maggio fu inviato dal Senato insieme con G. Provana di Collegno a visitare Carlo Alberto ad Oporto, e alla sua morte fu incaricato di sovraintenderne i funerali. Dal 7 agosto fece parte della commissione permanente delle Finanze e, collaborando col ministro Nigra, fu incaricato del riordinamento del sistema doganoe. Con l'appoggio di Cavour concluse gli accordi per un trattato commerciale sulla pesca con la Francia (5 nov. 1849) e trattò con l'Austria per scoraggiare il contrabbando sul lago Maggiore. Questa attività svolta con competenza gli diede la carica di intendente generale dell'Azienda delle gabelle nel 1850 ed in tale qualità con una circolare (28 giugno) denunciava l'inadeguatezza e la corruzione dei pubblici uffici. Le capacità amministrative gli fruttarono pure la nomina di primo segretario dell'Ordine dei ss. Maurizio e Lazzaro, che comportava anche l'amministrazione dell'ingente patrimonio (1852): si trattava di carica di grande prestigio che lo avvicinava ancor più alla dignità nobiliare. Il titolo di conte lo ricevette poi il 10 dicembre del 1861. Al Senato partecipò al dibattito per l'abolizione del oro ecclesiastico pronunciandosi in suo favore. Nel maggio del 1852 per indicazione del Cavour uscente, tenne per sei mesi il ministero delle Finanze nell'ultimo governo d'Azeglio.
Preoccupato per il forte disavanzo, propose severi risparmi della spesa pubblica, che non mostravano lungimiranza, né capacità di dominare la difficile situazione e non ottennero neanche l'approvazione del l'Azeglio. Pubblicò poi i Cenni sulla condizione delle finanze dal1847 a tutto il 1852 (Torino 1852), che contengono tavole comparative delle spese ordinarie del 1847con quelle degli anni successivi, nell'intento abbastanza scoperto di tranquillizzare l'opinione pubblica circa il deficit e di spiegarne i motivi, ma d'altra parte come scrupoloso ministro di Stato rende ragione dell'operato suo e dei colleghi, come dagli anni di O. Thaon di Revel non si era più fatto (1844-1848).
Chiamato al ministero della Pubblica Istruzione nel primo ministero Cavour nel novembre 1852, godendo anche dell'appoggio di Vittorio Emanuele II, mantenne l'incarico fino al maggio del 1855, quando passò agli Esteri. Pur avendo presentato ben otto disegni di legge di riforma della scuola, nessuno giunse in discussione; molti suoi spunti però furono utilizzati più tardi dalla legge Casati. Nella complessa questione dell'insegnamento della religione nella scuola primaria assegnò al clero tale funzione, suscitando l'avversione degli anticlericali.
Con la dichiarazione della guerra di Crimea il Cavour, Consapevole di poter contare su persona di fiducia, ma al tempo stesso di scarsa iniziativa, si fece da lui sostituire al portafogli degli Esteri, controllandone e indirizzandone tuttavia l'operato, fino alla vigilia del suo rientro da Parigi. L'inadeguatezza del C. alla flinzione ricoperta era tuttavia palese al Cavour.
Non gli consentì infatti di accompagnare il re a Londra nel '55 perché "per molti rispetti non conveniva" (Cavour a La Marmora, 30 ott. 1855, in Lettere edite ed inedite, a cura di L. Chiala, 2 ed., Torino 1884, II, p. 369); e nel febbraio venendo meno anche l'efficienza organizzativa, pensava già alla sua sostituzione: "Cibrario non mi scrive, come non scrive mai agli agenti diplomatici che lascia ognora senza istruzioni; è indispensabile il pensare a surrogarlo" (Cavour a Rattazzi, 22 febbr. 1856, ibid., II, p. 398). Siponeva d'altra parte al Cavour la necessità di vincere le resistenze alla sua spregiudicata politica estera, i cui successi apparivano esigui ai più conservatori di fronte agli aggravi sostenuti.
L'occasione per l'allontanamento del C. fu fornita da una delle poche sue iniziative: nel giorni delle più intense trattative diplomatiche fra alleati, senza consultarsi aveva chiesto che navi inglesi provvedessero al rimpatrio dell'esercito piemontese rimasto in Crimea, preoccupato del costo del mantenimento degli uomini colà. Con una brusca lettera di rimprovero per Pinopportunità della richiesta (Cavour al C., 7 apr. 1856, ibid., p. 423) Cavour ne provocò le dimissioni (12 apr. 1856), cercando di alleggerire la tensione con scuse formali. La collaborazione col governo tuttavia continuò; il C. fu presidente della conferenza internazionale dei telegrafi (1857), del comitato per la legge finanziaria dei Piemonte e della Lombardia (1859), mentre non cessava di prodigarsi per allargare le funzioni di pubblica assistenza dell'Ordine dei ss. Maurizio e Lazzaro, potenziando specialmente gli ospedali e i ricoveri.
Nel 1860 il C. ottenne il titolo onorifico di ministro di Stato. Anche la Repubblica di San Marino gli diede la cittadinanza e il titolo patrizio (1859), ed in veste di suo plenipotenziario il C. ne concluse il trattato di commercio ed amicizia con l'Italia (15 apr. 1862). Nel 1867 ebbe una missione diplomatica a Vienna, con lo scopo palese di trattare la restituzione delle opere d'arte e degli archivi sottratti a Venezia, ma pare con missioni segrete. Gli ultimi anni di vita lo videro presidente della "Commissione conservatrice dello storico Montecassino e della consulta araldica", nonché del comitato coordinatore delle biblioteche; il programma di questa commissione non poté tuttavia essere attuato per l'esiguità delle somme che erano state stanziate dallo Stato.
Nonostante gli impegni politici e di rappresentanza, aveva continuato con alacrità le sue ricerche di storia e di erudizione. Intorno alla storia dei Savoia il lavoro più notevole di quegli anni furono le Origini e progressi delle istituzioni della monarchia di Savoia (I-II, Torino 1853-55), completato, nella seconda edizione, fino al 1850 (I-II, ibid. 1869).
Dopo un'ampia premessa di storia generale sulla monarchia, in cui la parte più ricca è fornita da notizie cronachistiche, tratta la storia della nascita dello Stato attraverso il formarsi delle istituzioni e della legislazione penale e militare; ma ricostruisce anche gli ordinamenti amministrativi, e. nel merito studia le finanze, la moneta, l'annona, le vie di comunicazione, il commercio, l'industria, la sanità, i costumi, la pubblica istruzione, fornendo un quadro completo ed inedito. Completano l'opera oltre ad uno ' specchio cronologico, un quadro di bilanci attivi e passivi dello Stato dal 1580 al 1798 e dal 1817 al 1850. Non mancano in questi volumi accenni al clima politico del tempo: si pronunzia per una separazione non troppo "recisa" fra Stato e Chiesa, ritenendola inopportuna e impossibile in Italia (I, p. 368);per la soluzione dei problemi sociali consiglia collaborazione fra ricchi e poveri (I, pp. 397ss.), mantenendo al diritto di proprietà. la posizione di "fondamento e conseguenza dello Stato sociale" (I, p. 318). Critica apertamente la politica culturale di Carlo Felice ed anche per quella di Carlo Alberto esprime delle riserve.
A Carlo Alberto aveva dedicato una biografia (Notizie sulla vita di Carlo Alberto, cit.) fin dal 1850 che, per quanto apologetica, non manca di contenere osservazioni sul carattere, non tacendone la dissimulazione, e sulla religiosità ("Fu un tipo non facilmente e neanche sempre lodevolmente imitabile di principe cristiano", p. 26). Agli Ordini cavallereschi aveva dedicato studi e ricerche che possono essere esemplificate dalla Descrizione degli Ordini cavallereschi (I-II, Torino 1846), in cui sono raccolte le notizie storiche e le leggende riguardanti i principali Ordini cavallereschi d'Europa, e da un lavoro dedicato all'Ordine dei templari (1848), che bell'ultima edizione raccoglieva anche la storia degli Ordini di casa Savoia, anche questi precedentemente pubblicati a partire dal 1840 (Dei tempieri e della loro abolizione. Degli Ordiniequestri di S. Lazzaro, di S. Maurizio edell'Annunziata. Memorie storiche, 6ed. Firenze-Torino 1868). Sui templari in particolare compì un'analisi critico-legale attraverso gli atti del processo a suo tempo pubblicati, concludendo per la loro innocenza di fronte alle accuse di Filippo il Bello. Uinteresse per la nobiltà e l'araldica trovò concretezza nelle Notizie genealogiche degli antichi Stati della monarchiadi Savoia (Torino 1866). Fanno parte delle curiosità le notizie storiche contenute nell'operetta Delle artiglierie dal 1300 al1700 (Torino 1846), che ebbe diverse altre edizioni. Interamente elaborata negli ultimi anni, servendosi anche della collaborazione di E. Bollati, fu l'opera dedicata alla schiavitù (Della schiavitù e del servaggio e specialmente dei servi agricoltori, I-II, Milano 1868).
Ordinata in tre, libri, dopo una premessa generale sulla schiavitù e sulla servitù, studia le trasformazioni, attraverso il colonato, dalle servitù della gleba fino alla conquista della libertà. Questa ricerca è affiancata dall'altra complementare sulla formazione della proprietà e la sua trasmissione. Si tratta di uno studio insomma sulle classi sociali che, secondo un taglio di storiografia storico-giuridica, propone un tema nuovo per la storiografia italiana. M. Tabarrini (Vita e ricordi di illustri italiani del XIX sec., Firenze 1884, p. 179) ebbe da ridire sulla mancata considerazione del cristianesimo in questa trasformazione dei servi verso la libertà, conseguenza dell'aver troppo seguito il C. la scuola storica tedesca.
Secondo gli schemi di una certa cultura letteraria dell'epoca si cimentò in versi, novelle e racconti, ma senza originalità. Accademico della Crusca dal 1867 per merito di alcuni studi filologici e linguistici, vi lesse una Lezione storico-filologica sopra alcuni vocaboli usati nei più antichi registri della Guardaroba medicea (in Arch. stor. ital.., s. 3, VI [1867], pp. 152-165). Benché gli incarichi assunti fossero stati molti, il benessere gli venne assicurato da un legato della marchesa Enrichetta Guasco Carrone di San Tommaso.
Morì a Trebiolo (Brescia) sul lago di Garda il 1°ott. 1870.
Fonti e Bibl.: Le Carte Cibrario sitrovano presso la famiglia a Torino. L'elenco completo delle opere si trova in A. Manno, L'opera cinquantenaria della Deputaz. di storia patria, Torino 1884, pp. 234-248. La bibl. più completa sulC. si trova in Bibliografia dell'età del Risorgimento italiano in onore di A. M. Ghisalberti, Firenze [1971], I, pp. 556 s., cui si aggiungono: G. Libri, Notice des collections historiques qui se publient à Turin, Paris 1839, pp. 17 ss.; N. Bianchi, Storia documentata della diplom. europea in Italia..., Torino 1870, VII, pp. 547-557; C. Cavour, Lettere edite ed inedite, a cura di L. Chiala, Torino 1884-1887, I-II, passim;G. Prato, Fatti e dottrine econom. alla vigilia del 1848, Torino 1921, pp. 289 ss.; L. Dal Pane, Lettere di L. C. intorno alle stampe delle sue opere sui servi. Studi riminesi e bibliogr. in onore di C. Lucchesi, Faenza 1952, pp. 25-43; G. Pecci, Lettere di L. C. e L. Ferrucci al sammarinese G. Belluzzi, in Studi romagnoli, IV (1953), pp. 67-74; R. Ciampini, G. P. Vieusseux. I suoi viaggi, i suoi giornali, i suoi amici, Torino 1953, ad Ind.;A. Tamborra, Cavour e i Balcani, Torino 1952, ad Ind.;R. Beltico, Un poeta sconosciuto: L. C., Torino 1959; G. B. Badino-M. V. Pastorino, Una carta autografa di S. Pellico, utilizzata da L. C. per la sua "Storia di Torino", in Boll. stor.-bibl. subalp., LXIX (1971), pp. 261-64; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, Bari 1977, II, 2, ad Ind.