CIACCHI, Luigi
Nacque a Pesaroil 16 ag. 1788 da famiglia di nobile lignaggio: il padre, conte Gianbernardino, aveva più volte ricoperto nella città marchigiana importanti cariche pubbliche e per due volte, nel 1781 e nel 1786, era stato gonfaloniere; la madre era Annunziata dei marchesi Bourbon del Monte. Avviato agli studi ecclesiastici il C. coltivò in giovinezza due interessi: la poesia e l'agronomia. Del primo è prova una faticosa e leziosa traduzione dal latino, nel gusto tardivo dell'Arcadia, di un'elegia rinascimentale, la Jolas (Per lo connubio di Benedetto Mosca Passionei con Barbara Anguissola. Idillio d'Andrea Navagero tradotto di latino in volgare..., Milano 1811); della passione per l'agronornia e l'economia in genere restano prima una memoria indirizzata a Leone XII(Riflessioni pubblico-economiche ... umiliate il 25 sett. 1823 al Sacro Collegio riunito in conclave)in cui il C. propugnava un sistema di premi a sostegno delle esportazioni e un progressivo blocco delle importazioni mediante lo sviluppo dell'industria manifatturiera nazionale, quindi un intervento presso il papa per ottenerne l'assenso alla fondazione dell'Accademia agraria di Pesaro (1827), infine l'introduzione di tecniche sperimentali nella conduzione dei possedimenti familiari.
La carriera ecclesiastica, iniziata nella Roma di Pio VII, si svolse tutta al servizio delle strutture amministrative dello Stato pontificio in un lento ma costante succedersi di incarichi di crescente responsabilità: cameriere segreto del papa il 17 febbr. 1822, venne nominato da Leone XII prelato domestico il 2 febbr. 1825, poi ponente della S. Congregazione del Buon Governo il 19 marzo 1826; nell'ottobre dello stesso anno il C. iniziava quell'esperienza di amministratore periferico in cui si sarebbe quasi del tutto compendiata la sua vita fino al '48. Dopo essere stato infatti vicelegato della provincia di Ferrara, l'8 maggio 1827 era inviato a reggere la delegazione di Frosinone e il 6 genn. 1829 quella di Spoleto. Dopo la morte di Leone XII era nominato prolegato a Bologna; quindi un breve papale del 13 luglio 1830 lo destinava alla delegazione di Macerata.
Il C., che qualche mese prima aveva chiesto gli fosse assegnata la sede di Pesaro (Arch. Segr. Vat., Segr. di Stato, Interni, 1830, fasc. 26: C. ad Albani, 13 genn. 1830), era giunto a Macerata senza entusiasmo il 10 agosto: cinque giorni dopo, in risposta ad una circolare del segretario di Stato Albani, forniva della situazione della provincia un quadro preoccupante e chiedeva immediati interventi di soccorso in vista di un periodo che si annunciava "veramente caIamitoso per le Marche" a causa del "raccolto ... ridotto ad una scarsa quantità di grano attesa la straordinaria siccità". Il C. non errava a scorgere in tale situazione una "sorgente di tumulti" (H. Bastgen, Provvidenze del Governo Pontificio dopo la Rivoluzione francese del luglio 1830, in Rass. stor. del Risorg., XV [1928], pp. 334 s.): nel febbraio del 1831, appresa la notizia dell'insurrezione di Bologna, i liberali maceratesi si organizzavano e, vinta qualche incertezza, il 17 febbraio intimavano al delegato di rinunciare al poteri affidatigli dal governo centrale. La reazione dei C. inaugurava una pratica che avrebbe ripreso sedici anni dopo in un'occasione più drammatica: "Cedendo - riferirà infatti al segretario di Stato Bernetti - emisi in atti notarili la protesta di cui rimetto altra copia. Sembrami di aver con questo mezzo salvato nel miglior modo che mi era possibile la dignità del Governo e i diritti della S. Sede". Trattato con riguardo, il C. non volle però restare a Macerata nel timore di esser preso in ostaggio ed usato come mezzo di pressione e si rifugiò in un paese vicino, Monte Novo, per poi spostarsi ad Ancona, a disposizione del legato a latere Benvenuti. A Macerata tornò il 31marzo, appena ristabilito l'ordine: ma malgrado "le vive acclamazioni e l'entusiasmo di una generosa popolazione" con cui diceva di essere stato accolto, il 4aprile, scrivendo al Benvenuti, indicava come "sommamente necessaria... una discreta guarnigione tedesca".
Nel gennaio del 1834 il C. era di nuovo a Roma per assumervi, per volere di Gregorio XVI, la carica di governatore e di direttore generale di polizia. Nei quattro anxù che durò questo suo ruolo non demeritò: il Gabussi, ricordandone un provvedimento di estensione dellamnistia pasquale ai detenuti politici con meno di sei mesi di reclusione da scontare e mettendo in risalto l'assoluta spontaneità della misura, scrisse di lui che "tenne quell'ufficio con mitezza e quando potea giovare il facea"; e il Moroni volle tramandare alla storia alcune sue notificazioni, quali quella del 5 apr. 1837, con cui all'epoca del colera tentò di regolare l'accattonaggio dividendo.i mendici in validi ed invalidi e assegnando ai primi un lavoro e ai secondi, insieme col permesso di chiedere l'elemosina, un ricovero, e l'altra, del 24 giugno 1837, che rendeva gratuito l'accesso ai bagni della Renella e di S. Anna, i due punti a Roma in cui il Tevere non era pericoloso; non meno significativa fu un'altra disposizione, del 21 sett. 1837, che regolamentava la distribuzione ai disoccupati di posti di lavoro nelle opere pubbliche.
Creato cardinale diacono del titolo di S. Angelo in Pescheria (12 febbr. 1838), il C. lasciò il governatorato, e fu per questo evento che il Belli scrisse un sonetto (il n. 1937 della raccolta curata da M. T. Lanza - C. Muscetta, Milano 1965) in cui il cocchiere del futuro porporato si consolava del licenziamento subito pensando che i vantaggi goduti sarebbero comunque cessati con l'imminente uscita di carica del prelato. Da cardinale il C. mantenne un certo distacco dagli ambienti più tradizionalisti della Curia e compì talune scelte che all'avvento di Pio IX lo avrebbero fatto rientrare nella esigua schiera di elementi favorevoli a un programma di riforme: nell'agosto del '46 il Roncalli registra un suo atteggiamento di apertura verso gli amnistiati che lo rende popolare a Pesaro e lo contrappone all'odiato legato Della Genga; e poco più di un anno più tardi il inazziniano G. Lamberti annoterà nel suo Protocollodella Giovine Italia l'esistenza di cauti ma espliciti contatti epistolari con il C. "che - preciserà - stima me e Pippo" (Imola 1922, VI, pp. 232-34).
Il C. tornò a un incarico di primo piano sotto Pio IX che, ritenendolo vicino alla sua linea, lo destinò (29 marzo 1847) a reggere la legazione di Ferrara, suscitando qualche perplessità in chi, come il Bernetti, lo giudicava poco adatto a quel ruolo e più portato a fare i propri interessi che quelli dello Stato.
Ferrara era una sede delicata con un'economia precaria, come preannunziava il marchese G. Costabili che in una pubblica Lettera all'E.mo Sig. Card. L. C. venendo legato apostolico (Fcrrara 1847) lamentava "i continui e sempre impuniti devastamenti delle terre, e i furti delle messe" e chiedeva l'istituzione della guardia civica "alla quale prendessero parte gli onesti capi di famiglia, e tutti quelli cui importi e giovi difendere le proprie sostanze nel difendere. quelle di tutti" (pp. 7 s.). Ma il C. non ebbe tempo di occuparsi della situazione interna: già il 17 luglio, dieci giorni dopo la concessione della guardia civica, la guarnigione austriaca era rinforzata, e in tale circostanza il legato raccomandò alla popolazione di restare tranquilla; ma quando il 6 agosto il comandante della guamigione, coi pretesto di un incidente che si sosteneva fosse occorso a un suo ufficiale, disponeva la perlustrazione notturna della città, il C. non esitava a dettare a un notaio una energica protesta "contro la illegalità di un fatto e di qualunque ulteriore atto" lesivo della sovranità dello Stato. Accolta con scetticismo e quasi irrisa dal Mettemich, giudicata demagogica dagli esponenti del conservatorismo romano, la protesta dei C. era tuttavia approvata da Pio IX che ne autorizzava la pubblicazione sul Diario di Roma del 10 agosto, e provocava nell'opinione pubblica italiana un generale riaccendersi del sentimento indipendentista, presto rinfocolato da una seconda protesta emessa il 13agosto in risposta all'intimazione - voluta dal Radetzky - di affidare la sorveglianza di tutta la città alle truppe austriache.
Preso nell'ingranaggio della politica di rivendicazioni antiaustriache il C., forte del favore dei liberali, lanciò un progetto di convocazione in Bologna di un congresso di tutti i sovrani italiani, Austria inclusa, al fine di concordare un piano di riforme; poi però, provato dagli eventi, il 22 novembre lasciava Ferrara ove tornava il 16 dicembre, quando un accordo poneva fine all'occupazione della città. Ma la calma durò poco, poiché già nei primi mesi del '48 si poneva il problema della partecipazione alla guerra. Il C. cercò di assecondare l'azione dei liberali, ma nello stesso tempo sentì vivo il bisogno di tutelare gli interessi della sua legazione, facendo il possibile per evitarle le forti spese conseguenti al passaggio ed al soggiorno di truppe volontarie. Il risultato fu che i democratici criticarono il suo comportamento e qualcuno, come R. Andreini, lo accusò di connivenza col nemico per il suo rffiuto di far attaccare la fortezza il cui possesso dava agli Austriaci la possibilità di controllare da vicino la situazione. L'allocuzione' papale del 29 aprile complicò ulteriormente la posizione del C. che il 4 maggio si vedeva addirittura nominare da Pio IX segretario dì Stato e presidente del Consiglio: rinunziò subito, per il timore di esporsi ad eventi che non sarebbe stato in grado di fronteggiare e forse anche per non gestire una linea politica in antitesi a quella portata avanti fino ad allora. Due mesi dopo, il 6 luglio 1848, nell'imminenza dell'avanzata austriaca, il C., prendendo a pretesto un cattivo stato di salute, affidava la legazione alle cure d'un laico, F. Lovatelli, e si ritirava nella sua Pesaro.
Gli anni successivi lo videro sempre più appartato dalla scena romana e dedito soprattutto all'apostolato sacerdotale; nel 1857, malato, lasciò Pesaro per recarsi ad Urbino a salutare Pio IX in visita alle province settentrionali dello Stato. Morì a Roma il 17 dic. 1865 e, dopo i funerali cui assistette il papa, la salma fu tuinulata nella chiesa di S. Angelo in Pescheria.
Fonti e Bibl.: Per notizie generali si rinvia alle voci del Diz. del Risorg. naz., II, e dell'Encicl. cattolica, III, s.v.; a G. Moroni, Diz. di erudiz. st.-ecclesiast., ad Indicem.;aR. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, VII, Patavii 1968, pp. 29 s., e soprattutto a V. Spreti. Enc. storico-nobiliare itaL, II, pp. 453 s. Sulla giovinezza si veda G. I. Montanari, Versi ital. e latini pubbl. nella fausta promozione alla sacra porpora dell'Emo principe L. C., Pesaro 1838. p. 114. e A. Fraccacreta, L'Accad. agraria di Pesaro, e la sua opera prima dell'Unità, in Quad. stor. delle Marche, III(1968), pp. 305, 322. L'azione del C. nel 1830-31 è esaminata, oltre che nel citato art. di H. Bastgen, in G. Spadoni, Il moto, rivoluz. del 1831 nelle città e nei piccoli comuni della Delegazione di Macerata, in Le Marche nella rivoluzione del 1831, Macerata 1935, pp. 163-208 passim (alle pp. 308-310 le due lettere del C. ai cardinali Bernetti e Benvenuti). Sul C. governatore di Roma qualche cenno, oltre che nel Dizionario.del Moroni, XXXIX, p. 313; LII, pp. 238 s.; LXXV, p. 116, in G. Gabussi, Memorie per servire alla storia della rivoluz. degliStati romani, I, Genova 1851, pp. 77 s., e in P. Dalla Torre, L'opera riformatrice ed amministr. di Gregorio XV, in Gregorio XVI. Miscell. commemorativa, Roma 1948, II, pp. 90 s. Per il periodo riformista una fonte è N. Roncalli, Cronaca di Roma, I, (1844-48), a cura di M. L. Trebiliani, Roma 1972, ad Indicem, mentre un rapido inquadramento storico dei personaggio è in G. Martina, Pio IX (1846-50), Roma 1974. ad Indicem. Foltissima la bibl. sull'occupazione di Ferrara: il testo delle due proteste in L. C. Farini, Lo Stato romano dal 1815 al 1850, I, Torino 1850, pp. 211 s., 218 s.; per le reazioni provocate si veda, oltre G. Martina, Pio IX, p. 152, il Diario del Principe don Agostino Chigi dal 1830 al 1855, a cura di C. Fraschetti, I-II, Tolentino 1906, ad Indicem;M. d'Azeglio, Sulla protesta pel caso di Ferrara, Bastia [ma Bologna] 1847 (il d'Azeglio entrò in buoni rapporti col C. che nel giugno del '48 gli diede ospitalità mentre era convalescente per la ferita riportata a Vicenza), e N. TommaseoG. Capponi, Carteggio ined., a cura di I. Del Lungo e P. Prunas, Bologna, 1911-32, II, pp. 462 s., 571; C. Spellanzon, Storia del Risorg. e dell'Unità d'Italia, III, Milano 1936, pp. 20, 166-170, 174-176 , per il '48, V, ibid. 1950, pp. 82, 92, 94, 99, e G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, III, Milano 1960, pp. 49 s.; più in partic. L. Chiappini, Il 1847 a Ferrara e l'occupaz. austriaca, in Scritti sul Risorgimento a Ferrara, Rovigo 1953, pp. 35-54 passim (si veda anche la bibliografia ivi contenuta), e R. Quazza, Pio IXe Massimo d'Azeglio nelle vicende romane del 1847, I-II, Modena 1954, ad Indicem. Sul'48 una fonte molto critica è C. Cattaneo, Archivio triennale delle cose d'Italia..., a cura di L. Ambrosoli, Milano 1974, ad Indicem;due lettere del C. in N. Giordano, Le truppe napoletane al comando di G. Pepe nella prima guerra d'indipendenza, in Arch. stor. delle Prov. nap., s. 3, IX(1971). pp. 389 s., 393; altri particolari in P. Rocca, C. Correnti e la sua missione in Ferrara nell'anno 1848, in Scritti sul Risorg. a Ferrara, pp. 82 s., 89-92; la data esatta della partenza del C. da Ferrara in L. C. Farini, Epistolario, a cura di L. Rava, Bologna 1911-35, II, p. 428.