Chiarini, Luigi
Critico e teorico, sceneggiatore e regista cinematografico, nato a Roma il 20 giugno 1900 e morto ivi il 12 novembre 1975. Uomo di cinema completo attraversò la cultura italiana, con la sua personalità difficile, dagli anni Trenta agli anni Settanta. Nel suo percorso esistenziale seppe ricoprire ruoli diversi nel mondo del cinema, con notevoli capacità creative e costruttive. A uno sguardo retrospettivo la sua qualità di organizzatore e di diffusore della cultura cinematografica sembra prevalere sulle altre funzioni svolte, anche se l'impegno critico e teorico è stato nella situazione italiana non privo di rilevanza.
Dopo essersi laureato in giurisprudenza e aver esercitato la professione di avvocato, si avvicinò al cinema nel 1929, quando cominciò a collaborare con la rivista mensile diretta da G. Gentile "Educazione fascista" scrivendo articoli di varia cultura. Dal 1933 fu vicedirettore di "Quadrivio", diretto da T. Interlandi, con V. Brancati redattore capo: si occupò prevalentemente di letteratura, scrivendo di autori del Novecento, ma intervenne anche sul cinema. Nel 1935 riordinò vari scritti specifici nel volume Cinematografo con la prefazione di Gentile. Nello stesso anno avviò l'attività del Centro sperimentale di cinematografia (CSC), di cui fu dapprima commissario straordinario e poi direttore generale, e al quale collaborarono come docenti, importanti registi, tecnici e critici, e dove si formarono nuovi registi e nuovi attori. Nel 1937, insieme a L. Freddi, fondò la rivista "Bianco e nero", grazie alla quale vennero presentati in Italia testi significativi di teorici del cinema, da Rudolf Arnheim a Béla Balász, da Sergej M. Ejzenštejn a Paul Rotha, nonché una collana di volumi. Scrisse contributi teorici rilevanti, tra cui i saggi Il film è un'arte, il cinema è un'industria (in "Bianco e nero", 1938, 7, p. 3-8), Il film come assoluta forma (in "Primato", 1940, 15). Nel 1941 pubblicò Cinque capitoli sul film in cui la riflessione teorica trovò una sistemazione ulteriore. Intanto iniziò la sua attività creativa, prima collaborando alla sceneggiatura di La peccatrice (1940) di Amleto Palermi e poi realizzando cinque lungometraggi, Via delle Cinque Lune, La bella addormentata, entrambi del 1942, La locandiera (1944), Ultimo amore (1947) e Patto col diavolo (1950). Nel dopoguerra ritornò al CSC (1948) e collaborò a soggetti e sceneggiature importanti come Stazione Termini di Vittorio De Sica, Siamo donne (episodio Alida Valli di Gianni Franciolini) e il film a più voci L'amore in città, tutti del 1953, Viva l'Italia! di Roberto Rossellini e Io amo, tu ami… di Alessandro Blasetti, entrambi del 1961. Divenne quindi critico di "Il contemporaneo" e pubblicò opere come Cinema quinto potere (1954), Il film nella battaglia delle idee (1954) e Panorama del cinema contemporaneo 1954-1957 (1957). Dopo un breve corso tenuto all'Università di Roma (1959), iniziò nel 1961 a insegnare storia e critica del cinema nell'Università di Pisa. Nel 1962 pubblicò Arte e tecnica del film. Dal 1963 fu direttore della Mostra del cinema di Venezia, che contribuì a riqualificare e a rilanciare come festival dall'indubbia impronta culturale. Nel 1968, attaccato su un fronte dai produttori e sull'altro dalla contestazione degli uomini di cinema di sinistra, finì per abbandonare il festival. Intanto dal 1968 fu il primo professore di ruolo di storia e critica del cinema in Italia, presso l'Università di Urbino. Nel 1972 pubblicò Cinema e film. Storia e problemi.
La sua battaglia per affermare nella cultura italiana il film come arte fu sicuramente significativa, anche se il suo quadro di riferimento concettuale, nonostante le letture di teorici internazionali, mantenne un'impronta nazionale, rivelandosi ancorato prevalentemente alla sua formazione gentiliana. L'idea di arte come totalità gli consentì di considerare insieme l'intreccio di sentimento e pensiero nella creazione artistica e parimenti l'interazione di inventività e di tecnica. Secondo C. l'arte è sentimento come fondamento del pensiero e l'opera è pensiero, realizzato come forma espressiva. Anche la considerazione della rilevanza della tecnica è collegata con i concetti di specifico filmico ed è correlata all'idea di montaggio, inteso non come procedura materiale, ma come principio compositivo, valenza spirituale e interiore. L'attenzione alla tecnica è d'altronde confermata dall'individuazione del ruolo della 'camera' che per C. non registra il mondo ma oggettiva ed esprime un modo di guardare. Questo riconoscimento della capacità del film di oggettivare i modi di guardare, sottolinea la centralità della visione e le sue potenzialità interpretative, affermando la funzione conoscitiva del cinema stesso. Il modo di guardare diventa visione, concezione del mondo e assume una valenza intellettuale ulteriore.
Di qualità meno alta fu invece la sua attività come regista, legata nei primi anni Quaranta a un modello di cinema abbastanza tradizionale, segnato da un rapporto di debito, se non di subalternità alla letteratura, e sostanzialmente estranea nel secondo dopoguerra alla spinta innovativa del Neorealismo. D'altronde lo stesso C. diceva "come regista ero assolutamente negativo", sottovalutando enfaticamente una capacità professionale indubbia. I suoi sono i film di un intellettuale del cinema, che ama la macchina da presa, il teatro di posa, la pragmatica, con l'impegno del teorico, ma anche con l'esperienza del tecnico, che apprezza la varietà delle professioni e i diversi contributi costruttivi. La sua messa in scena pare più influenzata dai canoni di un ipotetico manuale di regia che dal gusto di inventare in libertà davanti al concreto svilupparsi della messa in scena. Il suo amore per il teatro di posa e gli interni attesta certo una lontananza dall'estetica del Neorealismo e rinvia piuttosto al gusto per una rivisitazione alquanto scolastica dei caratteri e delle possibilità della regia. Sembra quasi che C. ceda al mestiere consolidato dei collaboratori e non voglia imporre una personalità stilistica forte. L'immaginario proposto è a volte datato, legato alla tradizione letteraria e sembra rimanere sostanzialmente estraneo a quella volontà di rinnovamento e a quella battaglia delle idee che C. sosteneva come critico. Situazioni da piccola commedia umana, equivoci, contrasti familiari e drammi si intrecciano nei suoi film, mescolando nei passaggi più intelligenti realtà e immaginazione, vita e scena teatrale (per es. in Ultimo amore). Diverso è invece il caso di Patto col diavolo, su soggetto di Corrado Alvaro, che collaborò alla sceneggiatura, e girato soprattutto in esterni in Calabria, in cui sono più forti la volontà di interazione con le istanze neorealistiche e il rapporto con il mondo contemporaneo. Ma nel quadro complessivo della sua attività C. resta soprattutto un uomo di cultura, capace non solo di pensare e di teorizzare il cinema, ma di contribuire operativamente ad affermarlo come arte del Novecento.
E.G. Laura, Luigi Chiarini e il film come assoluta forma, in "Bianco e nero", luglio-agosto 1962, 23, pp. 19-66.
A. Negri, Barbaro e Chiarini tra attualismo e dialetticità del reale, in "Filmcritica", luglio 1966, 17, pp. 328-54.
G.P. Brunetta, Luigi Chiarini, un intellettuale alla ricerca del nuovo, in "Cinemasessanta", novembre-dicembre 1975, 15, pp. 40-45.
C.L. Ragghianti, Ricordo di Luigi Chiarini, in La Biennale, Venezia 1976.
G. Rondolino, Chiarini, Luigi, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 34° vol., Roma 1988, ad vocem.
Barbaro e Chiarini. I teorici del cinema dietro la mdp, a cura di N. Genovese, Messina 1988 (con saggi di N. Genovese, L. Cuccu, W. Dorigo, M. Musumeci).
Luigi Chiarini 1900-1975. Il film è un'arte, il cinema è un'industria, a cura di O. Caldiron, Roma 2001 (con saggi di L. Cuccu e V. Zagarrio).