CHIARELLI, Luigi
Nacque a Trani (Bari) il 7 luglio 1880 da Carlo e da Maria Teresa Fortunato.
La famiglia paterna, di antica nobiltà emiliana originaria di Cento, si era trasferita a Palermo da varie generazioni; il padre, nato a Palermo nel 1847, si arruolò volontario nell'esercito italiano e partecipò alla campagna del '66 con le truppe del generale Cialdini. Quindi, terminati gli studi, si stabilì a Roma impiegato presso la Corte dei conti e sposò poi Maria Teresa Fortunato, originaria di Trani, dalla quale ebbe cinque figli: il C., primogenito, Alberto, Renato, Ugo, Bruno.
Con gli studi ginnasiali iniziò la passione per le lettere del C., che scrisse alcune poesie d'amore; a quindici anni compose la sua prima opera drammatica, Lena.Compì gli studi al liceo "E. Q. Visconti" di Roma, dove non si distinse per diligenza e applicazione, tutt'immerso com'era nella lettura di drammi e commedie, cui dedicava gran parte del suo tempo. Dopo una breve parentesi letteraria con il romanzo La parabola che, nonostante l'interessamento dell'editore Vecchi di Trani, non vide mai le stampe, il C. scrisse il dramma marinaresco La Pasqua e le rose e due allegorie tragiche in versi: Assenzia e Ostia violata.
L'improvvisa morte del padre impedì al C. di proseguire gli studi universitari e lo costrinse ventenne a cercare un impiego. Partecipò quindi a un concorso per la Corte dei conti e lo vinse; ma la vita dell'ufficio non gli si confaceva: dopo pochi mesi cominciò ad assentarsi e fu costretto a dimettersi. Iniziò allora a frequentare l'ambiente letterario della capitale e a collaborare con poesie e racconti ai quotidiani L'Alfiere e La Patria e con critiche drammatiche a un giornale per stranieri The Foreign in Italy stampato in quattro lingue; è di questo periodo il dramma Dissolvimento che, nonostante l'approvazione di Ettore Paladini, non venne mai rappresentato.
Il decennio tra il 1904 e il 1914 fu per il C. un periodo denso di iniziative: ottenuta una certa notorietà, diede vita con un gruppo di giovani intellettuali a un cenacolo letterario, la Società dei giovani autori, di cui fu nominato presidente. Nel 1910 scrisse due drammi: Sorgente amara e Don Prospero Spada e una commedia, Il terzo gode.Dopo un soggiorno di sei mesi a Parigi, in cui aveva frequentato assiduamente i circoli di Montmartre, si trasferì a Milano, il più vivo centro di vita teatrale del tempo, dove entrò in contatto con compagnie drammatiche primarie, ma un suo nuovo impegno di lavoro di inviato speciale per il giornale Il Secolo lo costrinse a continui viaggi. Nel 1912, sollecitato da Gino Monaldi, compose in sole sei notti Er gendarme, dramma storico di argomento patriottico in dialetto romanesco, rappresentato a Milano il 21 sett. 1912 (inedito), in seguito riadattato in italiano e rappresentato dalla compagnia di Luigi e Vittorina Duse. Nell'estate dell'anno successivo ideò per l'attore Ferruccio Benini una commedia satirica, La portantina (inedita), rappresentata solo nel 1917 in dialetto veneziano; scrisse inoltre Extra dry (edito in La Scena, 15 genn. 1926) e Una notte d'amore (inedito), rappresentati entrambi con discreto successo nel 1914. Sempre nel 1914 completò in venti notti estive l'opera che gli avrebbe dato grande notorietà La maschera e il volto. Ildramma rimase, per vari motivi, due anni nel cassetto.
Il C. nell'autunno si trasferì a Torino per dirigere la rivista Armi e politica, che venne soppressa all'inizio della guerra. Poi, chiamato alle armi, fu destinato a Terni, dove rimase lungo tempo. Il 13 maggio 1916 al teatro Argentina di Roma fu rappresentata La maschera e il volto (Milano 1917) per l'interpretazione di Ernesto Ferrero, Giannina Chiantoni, Ettore Paladini. "Grottesco" tipico, La maschera e il volto si muove su una voluta deformazione caricaturale che, dosata con notevole intelligenza drammaturgica, stravolge l'intreccio, ispirato chiaramente alla commedia borghese, ne esaspera le situazioni e ne esagera i contorni.
Paolo Grazia, che poche ore prima, durante una festa, aveva affermato che in caso di adulterio avrebbe ucciso la moglie Savina, scopre che questa lo tradisce. Compromesso di fronte agli amici dalle frasi appena pronunciate, non può perdonare, come vorrebbe, ma neppure gli riesce di uccidere. Simula quindi il delitto e induce Savina a rifugiarsi all'estero sotto falso nome. Difeso al processo clamorosamente proprio dall'amante della moglie, Paolo viene assolto. Ma quando Savina pentita e ancora innamorata torna dal marito, Paolo, deciso a riaccoglierla, deve fuggir con lei per non essere arrestato come simulatore: "L'ho ammazzata e mi assolvono - conclude tristemente Paolo - non l'ho ammazzata e mi mandano in galera".
Il carattere innovatore della commedia, che sembrava liberare la scena dalla tirannide della commedia borghese marcatamente realistica, dalla commedia di situazioni e dalla commedia sentimentale, fu subito avvertito dal pubblico. Neppure nelle opere precedenti del C. è dato trovare alcun elemento che anticipi questo sviluppo drammaturgico; La portantina (inedita) ad esempio, scritta nello stesso anno de La maschera e il volto, è un'annacquata satira politica, tutta giocata su luoghi comuni reazionari, che non conosce il gusto teatrale del grottesco. "Nulla è - scrive Lo Vecchio Musti a proposito de La portantina -in questa come nelle altre precedenti commedie che possa neppur lontanamente preannunziare, in alcun senso e sotto alcun aspetto La maschera e il volto ... l'opera nuova si veniva maturando nella mente dello scrittore, ma senza legame alcuno coi lavori che occasionalmente stendeva per questo o quell'attore" (L'operadi L. C., p. 58);ma si può certamente dubitare di questa nascosta maturazione: il C. aveva sperimentato tutte le possibili forme teatrali del tempo, dai drammi veristi, con Lena e La Pasqua delle rose, ai drammi in versi, con Assenzia e Ostia violata, alla commedia borghese, con Una notte d'amore, alla commedia di situazione, con Extra dry, per approdare al grottesco più per una felice intuizione che per scelta stilistica. Del resto fu negato da più parti che il C. avesse concepito fin da principio l'opera coi suoi caratteri grotteschi, che furono invece ascritti alla recitazione volutamente caricata e ironica imposta dal Talli ai suoi attori, Melato, Betrone, Gandusio, nella rappresentazione milanese al teatro Olimpia che consacrò definitivamente la commedia.
Anche se rimane problematico il rapporto di questa opera con la tanto esecrata commedia borghese, il C. col grottesco si fece creatore di un nuovo genere teatrale che si impose in breve tempo sulle scene italiane e rappresentò uno dei movimenti drammaturgici più significativi del dopoguerra; attorno ad esso si raccolsero numerosi scrittori: Luigi Antonelli, Silvio Benedetti, Enrico Casella, Enrico Cavacchioli, Fausto Maria Martini e Pilade Vecchietti, che riproposero fedelmente per circa un ventennio la meccanica dei grotteschi del Chiarelli. Nasce così una commedia tipicamente italiana in cui i caratteri e i gusti del borghese medio potevano specchiarsi, una conimedia, come dirà Gobetti, per arricchiti di guerra e per seguaci di Hennequin e Weber.
Dopo una grave malattia, che nel 1916 lo costrinse a lungo nell'ospedale militare del Celio, ottenuta una settimana di licenza, il C. si sposò. Seguendo la formula del teatro grottesco, scrisse nel 1917 La scala di seta (Firenze 1922), grottesco in tre atti, rappresentato al teatro Argentina il 18 giugno 1917 dalla compagnia Drammatica di Roma e incluso in seguito nel repertorio della compagnia Gandusio, e un dramma patriottico sulla guerra Le lacrime e le stelle (Bologna 1919), rappresentato all'Argentina il 25 genn. 1918 sempre dalla compagnia Drammatica di Roma. In queste e nelle successive opere il C. non ritrovò più la felice intuizione del primo grottesco e si limitò a riproporre stancamente la formula, mettendo di volta in volta in caricatura alcuni valori della borghesia. È della fine del 1918 il debutto della compagnia Ars italica, di cui il C. fu promotore e presidente e il Talli direttore artistico, all'Argentina con la Locandiera del Goldoni. Questo impegno venne ben presto abbandonato dal C. che preferì dedicarsi esclusivamente alla stesura della nuova commedia Chimere (Milano 1930), rappresentata al teatro Carignano di Torino nel febbraio del 1920 con la compagnia di Luigi Carini e Olga Gentili. Nel 1921 organizzò la compagnia Comoedia con Armando Falconi, Paola Borboni, Olga Gentili, Franco Becci, Umberto Melnati, che debuttò al teatro Argentina il 25 febbr. 1921 con Le gaie spose di Windsor per la traduzione dello stesso Chiarelli.
Dopo l'insuccesso de La morte degli amanti (edito in Comoedia, 21 dic. 1921), caduto al teatro Valle nel 1919, riproposto poi con miglior esito dalla compagnia di Armando Falconi e Paola Borboni, il C. non produsse più nulla fino al marzo del 1922, quando compose Fuochi d'artificio (in Comoedia, 1º marzo 1923), opera che rasenta il plagio, rappresentata con straordinario successo il 7 febbr. 1923 dalla compagnia di Dario Niccodemi al teatro Alfieri di Torino. Questo grottesco sembra concludere una fase dell'opera del C.; dopo di esso infatti la sua produzione drammaturgica subì un lungo arresto per riprendere solo nel 1929 con opere dalle caratteristiche affatto diverse. Nel 1923 tornò a Roma dove collaborò, fino all'estate del '24, al quotidiano Il Corriere italiano come critico teatrale; nel 1924 si iscrisse al partito fascista e nel 1925 venne nominato presidente del Sindacato degli autori drammatici; in tale veste partecipò a vari congressi internazionali indetti dalla Società degli autori di cui fu eletto vicepresidente. Come pittore dilettante dipinse in questi anni alcune decine di quadri che espose a Milano con lusinghiero successo.
Nel '29 riprese a lavorare per il teatro e scrisse una serie di opere di scarso valore: K 41 (Milano 1929), un dramma spettacolare per le compagnie Za Bum, cui seguirono nel 1931 Un uomo da rifare (Comoedia, 15 febbr. 1932), rappresentato nel gennaio del 1932 al teatro Manzoni di Milano, e nel '32 Una + due (Lanciano 1935) e Carne bianca (ibid. 1934); nel '34 concluse Ninon (Napoli 1940), iniziato nel 1926, nel '37 Enea come oggi (ibid. 1938) e Pulcinella (ibid. 1939) e, infine, Essere, rappresentato postumo nel 1953 (edito in Teatro Scenario, ottobre 1953). Negli ultimi anni il C. si dedicò, oltre che all'attività drammaturgica, alla traduzione di alcune commedie di Plauto per conto dell'Istituto nazionale del dramma antico. Nel 1941 fu nominato consigliere della Corporazione dello spettacolo e nel 1945 riottenne la carica di presidente della Società degli autori. Nello stesso periodo scrisse novelle per il quotidiano La Stampa di Torino e si occupò di critica cinematografica per il quotidiano Il Tempo di Roma.
Morì a Roma, dopo lunga malattia, il 20 dic. 1947.
Da buon orecchiante il C. aveva trasposto nel teatro la spiritualità, o meglio l'atmosfera, dei racconti e dei romanzi di Pirandello - e il riferimento al Fu Mattia Pascal appare cristallino in più scene de La maschera e il volto - e lo psicologismo di altri autori contemporanei come Butti, Bracco, Niccodemi e, almeno in parte, Oriani. Il gusto del paradosso, l'ironia amara sulle convenzioni sociali, la critica alla borghesia, condotta per altro in termini borghesi, compaiono col C. sulla scena italiana: trattando il contrasto, che caratterizza tutto il ciclo dei grotteschi, tra la maschera che i condizionamenti sociali impongono all'uomo e il suo volto reale fatto di istinto e di spontaneità, il C. è riuscito ad esprimere quello scetticismo e quel relativismo propri dell'ideologia borghese del dopoguerra, di cui il Pirandello fu l'interprete più coerente e significativo.
Fu proprio l'intuizione di questa rinnovata ideologia che garantì ad uno scrittore mediocre come il C. un grande successo di pubblico e critica: "Se si vuole il segreto della fortuna di questo scrittore - commenta, il Gobetti - mediocre e noioso bisogna pensare che egli ebbe il genio della moda e il gusto del pettegolezzo, come un banchiere improvvisato in anni di inflazione monetaria" (p. 165).
Fonti e Bibl.: C. Levi, Il teatro, Roma 1919, p. 34;S. D'Amico, Il teatro dei fantocci, Firenze 1920, pp. 75-89;A. Tilgher, Studi sul teatro contemporaneo, Torino 1924, pp. 109 s.; G. Gori, Il teatro contemporaneo, Torino 1924, pp. 169-171; G. Antonini, Il teatro contemporaneo in Italia, Milano 1927, pp. 105-124; P. Gobetti, Opera critica, II, Torino 1927, pp. 164 ss.; A. Lanocita, Scrittori del nostro tempo, Milano 1928, pp. 83-99;C. Pellizzi, Lettere ital. del nostro secolo, Milano 1929, pp. 374-377; R. Simoni, in Corriere della sera, 7 nov. 1929; S. D'Amico, Il teatro ital., Milano 1933, pp. 154-161; L. Tonelli, Il teatro contemp. italiano, Milano 1936, pp. 233-238; J. Gassner, Master of the drama, New York 1940, pp. 434-437;M. Lo Vecchio Musti, Il teatro ital. del Novecento, in Romana, IV (1940), pp. 367-378; Id., L'opera di L. C., Roma 1942;B. Curato, Sessanta anni di teatro in Italia, Milano 1947, pp. 245 s.; M. Lo Vecchio Musti, L'opera di L. C. nella storia del teatro moderno, in Dramma, XXIV (1948), 1, pp. 23-34;L. Chiarelli, Anticipo alle mie memorie,ibid., pp. 34-37; A. Gramsci, Letter. e vita nazionale, Torino 1950, pp. 286 ss., 376 s.; G. Ravegnani, Uomini visti, I, Milano 1955, pp. 154 s.; G. Pullini, Teatro fra due secoli, Firenze 1958, pp. 279-290; F. Ghilardi, L. C. padre del grottesco, in Dramma, XLI (1965), 3, pp. 43 s.; L. Ferrante, Il teatro grottesco ital., Bologna 1966, pp. 36-41; Enc. Ital., IX, p. 993; App. II, 1, p. 569; Enc. d. Spett., III, coll. 629-633.