CESANA, Luigi
Nacque a Milano l'11 apr. 1851 da Giuseppe Augusto e Giulia Ghiotti.
Il padre apparteneva alla media borghesia milanese e, in un primo tempo impiegato all'Intendenza di Finanza, si era avvicinato casualmente all'ambiente giornalistico nel 1848-1849; nel marzo 1851, pochi giorni prima della nascita del C., per un articolo poco prudente, era stato costretto a riparare in Piemonte, dove aveva abbracciato definitivamente la carriera giornalistica, legando il suo nome ad una lunga serie di iniziative pubblicistiche.
Il C. può essere considerato figlio d'arte e, come tale, si affacciò assai presto sulla scena del giornalismo italiano. Compiuti i primi studi a Milano, nel 1865, appena quattordicenne, lasciò la scuola e venne impiegato dal padre nella amministrazione di uni dei giornali da lui fondati, il Corriere italiano con l'iniziale, modesto incarico di scrivere gli indirizzi sul fascettario degli abbonati. Con lui si trasferì quindi a Roma e dal Corriere italiano, sempre come impiegato d'amministrazione, passò al Fanfulla dove dimostrò indubbie capacità nella conduzione degli affari, trattando abilmente la cessione della pubblicità del nuovo foglio alla ditta E. Oblieght per la somma di 24.000 lire l'anno. Contemporaneamente incominciò a pubblicare i primi articoli con lo pseudonimo di "Canellino". Il Fanfulla viveva in quel periodo il suo momento migliore ed era frequentato dai più bei nomi del giornalismo e della politica italiana. Il C. accumulò quindi in, questi primi anni romani notevoli conoscenze ed esperienze che gli sarebbero state utili in seguito. Nel 1878, con il modesto appoggio finanziario di A. Caimi, altro impiegato del Fanfulla, e il contributo di alcuni azionisti di quel giornale, con il denaro della sua liquidazione e con un prestito bancario, il C. riuscì a mettere insieme circa 20.000 lire: con questo capitale e 2.000 abbonamenti iniziò la pubblicazione di un suo foglio che volle chiamare Il Messaggero. Ilprogetto iniziale era quello di un giornale fatto quasi esclusivamente di ritagli che riportasse, citando le fonti, estratti di altre pubblicazioni quotidiane delle più varie tendenze politiche, senza commenti e senza presentare una propria opinione. Con questo programma il 16 dic. 1878 uscì il primo dei quattro numeri di prova del Messaggero che cominciò le pubblicazioni regolari con il 1879, non ottenendo tuttavia in questa veste alcun seguito.
Nel tentativo di trasformarlo in un giornale di varietà, il C. si affiancò allora nella direzione F. Albanese, sostituito, dopo solo tre mesi, da un collega ben altrimenti incisivo, L. A. Vassallo, il "Gandolin" del futuro Capitan Fracassa, noto per illustrare i suoi articoli con abili schizzi. Il Vassallo, nel breve periodo in cui rimase al Messaggero, viriferì minuziosamente, corredandole con i suoi "pupazzetti", tutte le fasi del processo Fadda, che appassionava enormemente l'opinione pubblica romana. Il resoconto di questo avvenimento, così presentato, ebbe un successo enorme che fece salire la tiratura alla cifra record di 32.000 copie e diffuse il nome del nuovo foglio nella capitale.
Il C., con sicuro intuito del pubblico, seppe tenere nel giusto conto le indicazioni propostegli da questo primo exploit: l'interesse dei lettori per i minimi particolari dell'avvenimento clamoroso, insieme con la costatazione che, nonostante i tanti giornali fondati nella nuova capitale, nessuno di questi veniva veramente incontro alle curiosità e agli interessi della popolazione locale, gli indicarono nella cronaca minuta del "fattaccio", o del piccolo avvenimento cittadino, la strada da seguire per mantenere il consenso di un pubblico forse poco raffinato culturalmente, ma folto.
Nel giro di pochi mesi la fisionomia del giornale assunse un carattere particolare e, per l'epoca, insolito: la parte politica fu confinata in articoli di una cinquantina di righe al massimo, poche colonne si riservarono ai telegrammi e alle notizie di varietà, tutto il resto venne dedicato alla cronaca nera e alla cronaca cittadina. In questa trasformazione il C. fu ampiamente aiutato e guidato da un abile reporter, N. Borgognoni, che rimase al Messaggero per più di vent'anni - dal 1879 al 1901 - impostando e conducendo tutto il lavoro di cronaca: per sua direttiva la notizia veniva vagliata, controllata, corredata dei particolari più minuti e vari, arricchita in base a fonti d'informazione fino ad allora mai sfruttate quali ospedali, testimoni diretti, funzionari della questura.
Più organizzatore e tecnico del mestiere che politico impegnato, il C. dimostrò fin dagli inizi di concepire il suo giornale come un'impresa industriale, fondata principalmente sul consenso del pubblico, piuttosto che come uno strumento dottrinario e pedagogico o come un'espressione di semplice attivismo politico: perciò sua precipua preoccupazione fu quella di mantenere e raggiungere una gestione attiva. Rendendosi conto tuttavia che, perché ciò fosse possibile, non era sufficiente il favore dei lettori, e che erano anche necessarie una struttura tecnica e una base finanziaria adeguate, rivolse particolari cure agli aspetti tecnici del lavoro giornalistico e non lesinò mai i mezzi al riguardo: comprendendo che il sistema degli abbonamenti, su cui si era fondato fino ad allora il giornalismo italiano non avrebbe potuto garantire al giornale neppure la semplice sopravvivenza e che bisognava invece puntare sulla vendita al dettaglio, si preoccupò di assicurarsi la migliore distribuzione possibile, tanto a Roma quanto nella provincia, per cui Il Messaggero preparava un'edizione speciale. Allo stesso modo lasciò via via maggiore spazio agli avvisi pubblicitari - che al Messaggero avevano priorità assoluta e venivano sempre accettati - che comprese essere uno degli elementi portanti nell'economia di un grande giornale moderno. Ugualmente si interessava a tutti i problemi concernenti il formato e la carta, e a tutte le innovazioni tecnologiche riguardanti la stampa.
La linea politica impressa al giornale, e dal C. proposta nei brevi articoli che quasi quotidianamente vi pubblicava, fu nei primi anni genericamente democratica, tenendo conto degli interessi e degli orientamenti dei lettori del foglio che appartenevano principalmente alla piccola borghesia e alla nascente classe operaia. Rifuggiva tuttavia dalla polemica strettamente politica e dal legarsi ad un determinato partito o gruppo di potere; piuttosto, con un tratto che era anche dell'uomo C., tendeva al "qualunquismo" rivolgendosi genericamente alla gente onesta e richiamandosi continuamente alla buona amministrazione, da chiunque fosse gestita.
Nei primi anni di pubblicazione del Messaggero il C., anche per la relativa larghezza di mezzi con cui aveva impiantato il giornale, attraversò dei momenti di grave crisi economica, indebitandosi pesantemente in prima persona, e ciò nonostante la tiratura, già nell'81-82, oscillasse fra le 20.000 e le 30.000 copie; tuttavia nell'83 il momento veramente critico poteva considerarsi superato e, dopo il 1888, quando Il Messaggero aveva raggiunto le 45.000 copie quotidiane, il C. poté rinnovare completamente l'impianto commerciale e redazionale introducendo fra l'altro, primo in Italia, la stereotipia e, più tardi, il foglio centrale, mediante un dispositivo di taglio della carta e incollatura, da lui personalmente ideato e brevettato.
Il C. era generalmente considerato un direttore che, pur lasciando ampio spazio ai propri collaboratori, dirigeva da solo il giornale: benché si valesse, soprattutto nei primi anni, di alcuni nomi noti del giornalismo italiano quali il Vassallo, E. Mezzabotta, D. Papa, M. Savini, V. Mantegazza, e benché conservasse anche in seguito le firme di alcuni collaboratori di vaglia, il C. preferiva impiegare redattori giovani e alle prime armi, impegnati a tempo pieno nella redazione del giornale, su cui del resto raramente apparivano firme. Peraltro mediamente i redattori del Messaggero venivano pagati meglio della maggior parte degli altri giornalisti romani, e il C. fu il primo, nel 1889, a istituire una Cassa di previdenza per redattori e tipografi che garantiva una liquidazione o un minimo di pensione all'interruzione del rapporto di lavoro.
Acquistando maggior diffusione e maggior peso - negli ultimi anni del secolo era ormai il secondo quotidiano romano e dell'Italia centrale -, il giornale del C. assunse anche un indirizzo e una funzione politica più definiti. Dalla fine degli anni '80 Il Messaggero può dirsi un quodiano radical-democratico, senza eccessi e con uno spazio aperto ad una certa varietà di opinioni, mentre sui suoi fogli apparivano spesso anche le firme di esponenti socialisti. Seguiva quindi una linea sostanzialmente antitriplicista, potenzialmente favorevole ad un ravvicinamento alla Francia, contro le spese militari, la corruzione e il clientelismo del Parlamento; contro lo stato d'assedio, moderatamente anticlericale, favorevole all'espansione commerciale, ma contraria, al colonialismo: la guerra d'Africa fu anzi il bersaglio particolare del C. il quale, a causa di queste sue opinioni, sostenne anche un duello con il direttore della Tribuna A. Luzzato. Pur svolgendo opera di sensibilizzazione dei ceti popolari Il Messaggero, tuttavia, indulgeva spesso ad una generica demagogia e conservò sempre una vena non indifferente di qualunquismo che attirarono sulla persona del C. accuse non infrequenti di opportunismo e volubilità ideologica.
Nel 1903 il C., in seguito ad alcuni disturbi fisici e sembra anche a dispiaceri personali, abbandonò di fatto la direzione del giornale pur continuando a dare gli orientamenti generali e mantenendo una collaborazione costante, se pur ridotta. Per circa due anni il capocronista G. Lega si occupò dell'edizione romana mentre il caporedattore R. Lucente gestiva quella provinciale; nel 1905, in seguito a pressioni della redazione, fu assunto come direttore O. Raimondi. Questi dette nuovo impulso al giornale, cambiandone la fattura popolaresca, lo provvide di servizi telefonici interprovinciali, accrebbe il numero delle pagine e dei corrispondenti e nel 1907, in pieno accordo con la proprietà, sostenne, con una fortunata compagna di stampa, il Blocco popolare di E. Nathan alle elezioni municipali. Ma il Raimondi tentò anche di esautorare il C., del quale giunse a modificare alcuni articoli, per cui nel 1908, quando ancora non era scaduto il suo contratto, dovette andarsene, e gli successe il più malleabile I. C. Falbo. Nel 1911 comunque, desiderando ritirarsi definitivamente dal giornale, il C. decise la vendita del Messaggero; dopo il fallimento di un tentativo di acquisto da parte della redazione, il giornale fu ceduto all'ingegner G. Pontremoli che trattò l'acquisto a nome della Società editoriale italiana, per la cifra di 2.000.000 di cui metà in contanti e metà in azioni.
Da allora il C. si occupò di un negozio di macchine fotografiche e, in seguito, della fabbricazione di pellicole per fotografie; seguì anche l'amministrazione del teatro Quirino di proprietà di una società di cui faceva parte. Continuò di quando in quando a scrivere qualche articolo e soprattutto lettere aperte in cui esponeva le sue opinioni sui più vari avvenimenti. Particolarmente interessante quale specchio del fondamentale qualunquismo del C. quella del 27 luglio 1922 ad A. Bergamini, direttore del Giornale d'Italia, in cui propugnava per il paese un governo forte presieduto da B. Mussolini.
Il C. morì a Roma il 1º sett. 1932. Dal suo primo matrimonio con Augusta Novara aveva avuto due figli, Alberto e Celeste; rimasto vedovo, si era risposato tra il 1905 e il 1907 con Adele Lucente.
Fonti e Bibl.: Arch. centr. dello Stato, Ministero dell'Interno,Rapporti dei prefetti, b. 7, fasc. 55, f. 167; necrologio in IlMessaggero, 2 sett. 1932; E. Mezzabotta, Memorie di un giornalista, Roma 1887, p. 100; G. A. Cesana, Ricordi di un giornalista, Milano 1890-92, passim; A. Chierici, Il quarto potere a Roma, Roma 1905, pp. 95-128; L. A. Vassallo, Gli uomini che ho conosciuto, Milano 1911, p. 21; L. Cesana, Mezzo secolo di giornalismo, in Il Secolo XX, XII(1913), n. 3, pp. 209-218; G. Lega, Cinquant'anni di giornalismo, Roma 1930, pp. 133 ss., 175 ss.; L. Lodi, Giornalisti, Bari 1930, pp. 27-32, 231; Annuariodella stampa italiana,1931-32, Bologna 1932, pp. 223-227; V. Castronovo, Per la storia della stampa italiana(1870-1890), in Nuova Rivista storica, XLVII (1963), n. 1-2, pp. 139 ss.; Id., La stampaitaliana dall'Unità al fascismo, Bari 1973, ad Indicem; G. Talamo; "Il Messaggero" e la sua città, Firenze 1979, ad Indicem.