CERRETTI, Luigi
Nacque a Modena, il 1º nov. 1738 da Pietro, medico, e da Silvia Cantelli, nipote di Giacomo Cantelli, geografo e bibliotecario di Francesco II d'Este, e sorella della poetessa e pittrice Veronica, moglie del poeta Giampietro Tagliazucchi. Nell'Elogio di Girolamo Tagliazucchi (in Prose scelte, Milano 1812) e nella perorazione finale del discorso Delle vicende del buongusto in Italia, (Pavia 1805) il C. enfatizzò gli insegnamenti ricevuti dal famoso maestro di eloquenza, in realtà morto quand'egli era sui dodici anni. Compì dapprima il corso di umane lettere presso il collegio dei gesuiti, quindi studiò la filosofia con il padre Moreni dell'Ordine dei minimi, e per breve tempo medicina, dietro le insistenze paterne.
Morto il padre, la natura istintiva e ribelle del C. si rivelò in tutta una serie di intemperanze, anche contro la madre e la sorella - sulle quali calcano la mano i suoi biografi -, che lo portarono per circa tre mesi (dal marzo al giugno 1760) in carcere, dove fu messo ai ferri per otto giorni. A parte la prodigalità e sfrenatezza erotica, che segnarono in effetti lunghi tratti dell'esistenza movimentata del C., a provocare la dura reazione dell'autorità fu certo qualcuno dei componimenti satirici (s'era intanto volto con convinzione e studio alla letteratura) contro il segretario di Stato Felice Bianchi e contro Federico di Prussia.
Sulla triste esperienza scrisse bei versi realistici e la commedia La casa di correzione (il Solerio, pp. 6 ss., ne cita vari passi inediti), abbozzando una tendenza alla cronaca e polemica in versi non frequente nel suo mondo contemporaneo, soprattutto nell'area letteraria più protetta dal classicismo e dai regimi dispotici, e osteggiata o malcompresa dalla critica pedantesca.
Del resto che le sue fossero colpe "politiche" lo si vede dal mutamento di indirizzo letterario una volta rimesso in libertà: mentre continuava a vivere fra banchetti, esibizioni, acquisti di cavalli, liti domestiche e relative dimissioni di esecutori testamentari, fino alla dilapidazione del patrimonio di famiglia e alla vendita della ricca biblioteca al marchese Carlo Bentivoglio, s'avviò per un cursushonorum non mediocre, orientandosi su di una produzione in versi galante e d'occasione, rinviando insomma a tempi più propizi gli attacchi personali e la virulenza delle denunce di parte. Studioso appassionato se non profondo, fine dicitore, nominato nel 1772 cancelliere e segretario dell'università, oltre che professore di storia (tenne questa cattedra per sei anni) e di eloquenza (dal 1778, alla morte dell'amico Giuliano Cassiani, fino al 1796), seppe conquistarsi una notevole popolarità fra gli studenti, mentre come poeta drammatico del locale teatro si faceva conoscere anche all'estero, se è vero che rifiutò nel 1785 un analogo ufficio presso la corte di Russia. Per un certo periodo, durante il rettorato di Bonaventura Corti (1777-1798), insegnò pure nel collegio S. Carlo.
Dopo l'anarchismo giovanile e il compromesso della maturità, il terzo periodo della sua vita si apre con l'arrivo delle truppe francesi a Modena, nell'ottobre 1796. Per i suoi spiriti repubblicani il C. già aveva cercato rifugio per breve tempo a Firenze e nel Veneto; nominato presidente degli studi e dell'Accademia di belle arti, con il favore dei principali membri del governo (ove sedevano anche alcuni letterati come il Lamberti, il Veneri, il Paradisi), migliorò e ampliò l'istituzione, la difese dalle spoliazioni napoleoniche e ottenne il trasferimento in essa di tutti i quadri rimasti nei palazzi estensi.
La carriera politica del C. fu però tutt'altro che tranquilla. Coinvolto in un tumulto durante il Congresso cispadano che si riunì a Modena dal 21 gennaio al 1º marzo 1797, fu messo agli arresti domiciliari per un mese ai primi dell'anno seguente; mediocre amministratore, venne mandato a Milano e qui designato membro del Corpo legislativo e ministro presso la corte di Parma, dove trovò il destro di attaccare violentemente il re di Sardegna Carlo Emanuele IV colà rifugiatosi; nel 1799, al ritorno degli Austriaci, dopo aver perduto quasi tutti i suoi manoscritti, si rifugiò dapprima a Chambéry e poi in Francia, dove tra contese ideologiche e traversie economiche per poco non fu ucciso da un medico militare.
Al ritorno dei Francesi dopo Marengo, riprese per breve tempo il suo ufficio a Parma, rifiutò la prefettura di Brera e la cattedra già del Parini, optando per la carica di "ispettore generale della Pubblica Istruzione ed Educazione nei Dipartimenti di qua del Po" (maggio 1800); soppresso l'incarico nel luglio 1802, fors'anche per le polemiche avute con il rettore dell'università di Bologna Gregorio Casali, rifiutò anche la cattedra di eloquenza a Bologna (sostituito da Pietro Giordani), e il 23 ott. 1804 venne chiamato a succedere al Monti in quella di Pavia, ma non diede avvio al corso che il 4 genn. 1805, tenendo il 3 maggio la citata e assai nota orazione sulle vicende del "buongusto" in Italia. Decorato nel 1805 da Napoleone della croce della Legion d'onore, le sue debolezze sentimentali, impenitenti anche a tarda età, lo trascinarono in nuove disavventure fra il tragico e il paradossale negli ultimi anni di vita: fra altri episodi, il suicidio del domestico invaghitosi della volubile amica del C. e da questo licenziato (il rimorso lo spingerà a scrivere sei sonetti In morte di Francesco Famigli, in Alcune poesie inedite, Pavia 1808). Così, in mezzo alle alterne vicende di questo burrascoso ménage con Luigia Zanichelli, e tra le beghe che le sue satire (fatte circolare manoscritte) non gli facevano mancare, il C. venne a morte a Pavia il 4 marzo 1808, nominando l'amica usufruttuaria di tutti i suoi beni lasciati ai conoscenti. Gli subentrò nella cattedra Ugo Foscolo.
Personaggio a tratti da operetta, che riflette molte contraddizioni di un'età di crisi e di trapasso, fieramente attaccato da molti, fra cui naturalmente il Monti (cfr. Epistolario, a c. di A. Bertoldi, III, Firenze 1929, p. 121), per le sue incoerenze e malignità; nondimeno favorito sempre di non comune estimazione per cultura ed esperienza letteraria, per il "verseggiare sempre nobile e caramente armonioso", "il brio e la grazia" delle sue lettere (L. Cagnoli a U. Foscolo, in Epistolario, II, a c., di P. Carli, Firenze 1952, p. 407);nelle simpatie dell'Alfieri che gli si raccomandò per una difesa delle sue tragedie (cfr. Epistolario, a c. di L. Caretti, II, Asti 1963, pp. 156 s.), stimato dal Parini, dal Bettinelli, dal Pindemonte, e poi in certa misura anche dal Carducci; reputato in patria il maggior verseggiatore dopo Fulvio Testi, il C. (in Arcadia Tagete Castalio) ci si presenta - nei suoi scritti teorici Instituzioni di eloquenza e Delle vicende del buongusto - come un diligente ripetitore dei principî stilistici del d'Alembert, del Batteux e del Beccaria, ma insieme accanito difensore del "bello ideale", in estetica, secondo la diffusa junction sensistico-neoclassica; nella sua attività poetica, copiosa ma parcamente ammessa alla stampa - cantate, azioni drammatiche, odi, elogi, epigrammi, novelle in versi, apologhi, componimenti vari d'occasione -, un eclettico di sicura familiarità coi classici, su tutti Orazio, e non ignaro della letteratura straniera, specie inglese (il Pope), a suo agio nel gruppo "estense" dei Paradisi, Cassoli, Lamberti, Cassiani: oscillante malgré lui tra gli esempi del Frugoni (cui tuttavia rimprovera la gonfiezza), del Savioli (ad es. nelle canzonette Serenata,La separazione,La vendetta)e del Parini (La posterità,La felicità), con venature patetiche e costante aspirazione al galant et poli, che trovano probabilmente la migliore espressione in quelle sensuali quartine della Separazione che "ronzavano nella mente" del Carducci. S'accostò anche al genere didattico e "filosofico" (La filosofia morale, tratta dall'Essayon Man di Alexander Pope), a quello civile nel metro dell'ode, che riteneva suo proprio vanto, infine alle incipienti tristezze preromantiche (I rimorsi,La maschera).Tutt'altra cosa sono le sue satire e le novelle in versi, libere da impacci di scuola, ancor poco conosciute per l'ostracismo moralistico ricevuto fin dal loro primo apparire, come La frusta di Pietro il Grande (sei canti inediti in ottave in cui satireggia Il bardo e La spada di Federico II del Monti), La gazzetta patria e La galleria delle dame ovvero la processione agli esercizi de' gesuiti.
Opere: Cantate (giàpubblicate su giornali di Roma, Firenze, Napoli), Venezia 1791; Poesie, Pisa 1799 e in varie altre edizioni, fra le quali si segnalano quelle scelte da G. I. Pedroni, Milano e Pavia 1810; Poesie e Prose scelte, Milano 1812 (2 voll.); Poesie, Pisa 1813; Delle vicende del buongusto in Italia dal rinascervi delle lettere fino al periodo presente. Orazione inauguralerecitata... il giorno 3 maggio 1805, Pavia 1805; Instituzioni di eloquenza, Milano 1811 e poi nelle varie edizioni di Prose scelte; Il giudizio di Numa,azione drammatica, Milano s.d. e 1803; Il trionfo della pace,azione drammatica, Milano 1806; Lettere ed Elogi (di Ferdinando Molza, del Cassiani, del Tagliazucchi e d'altri), nelle Prose scelte del 1812, 1822 e in Raccolta di prose e lettere del sec. XVIII, III, Milano 1830; Novelle, Yverdon [Forlì] 1839. Le più copiose antologie moderne di versi del C. sono: Lirici del secolo XVIII, a c. di G. Carducci, Firenze 1871, pp. 91-207; Poeti minori del Settecento, a c.di A. Donati, Bari 1912, I, pp. 215-311; Lirici del Settecento, a c. di B. Maier, introd. di M. Fubini, Milano-Napoli 1959, pp. 469-504.
Bibl.: G. Dall'Olio, Pensieri sopra la vita letter. e civile di L. C., Milano 1808; G. I. Pedroni, Cenni storici e letterari nell'ed. cit. delle Poesie scelte; [L. Cagnoli], Di L. C. modenese notizie biogr. e letter. con prose e versi mancanti nell'edizioni dell'autore, Reggio 1833; F. Ambrosoli, L. C., in E. De Tipaldo, Biogr. d. Italiani illustri, IX, Venezia 1844, pp. 27-34; S. Mazzetti, Repert. di tutti i professori ... della Università e dell'Istituto delle scienze di Bologna, Bologna 1848, p. 93; G. Carducci, pref. all'ed. cit., poi in Opere (ed. naz.), XV, pp. 166-189; A. Campori, Saggio di biografia modenese del secolo XIX, Modena 1877, pp. 26 ss.; Mem. e docum. per la storia dell'università di Pavia e degli uomini più illustri che v'insegnarono, Pavia 1878, I, p. 525 e passim; Z. Volta, Di un dramma inedito del C., in Rend. dell'Ist. lombardo di scienze e lett., s. 2, XVI (1883), 4-5, pp. 261-68 (sitratta del Giudizio di Numa, in realtà già pubblicato); F. Solerio, Studio critico su L. C. e le sue opere, Firenze 1902 (con l'elenco delle inedite o perdute); F. Viglione, Una nota all'influsso di A. Pope sulla letteratura italiana, in A V. Cian i suoi scolari dell'univ. di Pisa, Pisa 1909, pp. 133-40; C. Calcaterra, Storia della poesia frugoniana, Genova 1920, pp. 383 s.; S. Fermi, Letterati e filosofi piacentini del primo Ottocento, Piacenza 1944, pp. 117 ss.; B. Croce, Verseggiatori del grave e del sublime, in La lett. ital. del Settecento, Bari 1949, pp. 359 s.; C. Calcaterra, L. C., svolta settecentesca contro "l'imminente ruina del buon gusto italiano", in Il Barocco in Arcadia e altri scritti sul Settecento, Bologna 1950, pp. 415-34; A. Vallone, Fermento di voci nuove in Varano,C. e Mazza, in Idea, II (1950), Suppl.n. 43, p. 2; G. Natali, Il Settecento, Milano 1955, II, pp. 736 s. e passim; W. Binni, Class. e neoclassicismo nella lett. del Settecento, Firenze 1963, pp. 154-157 e passim; R. Negri, Gusto e poesia delle rovine in Italia fra il Sette e l'Ottocento, Milano 1965, p. 102; G. Savoca, L'eclettismo disponibile di L. C., in La lett. it. Storia e testi. Il Settecento, Bari 1974 pp. 256 ss.; A. T. Romano Cervone, La scuola classica estense, Roma 1975, pp. 65-128 e passim.