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CECI, Luigi

di Tullio De Mauro - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 23 (1979)
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CECI, Luigi

Tullio De Mauro

Nacque ad Alatri (Frosinone) il 27 febbr. 1859 da Vincenzo e Maria Minocci.

Restò sempre molto legato alla sua terra: diventato accademico famoso, ad Alatri acquistò e restaurò una casa (in via delle Grotte 44), dotandola d'una ricca biblioteca, sede di lavoro preferita; nella megalitica Alatri vedeva una consonanza col suo esser "sempre atteggiato a guerriero" (De Lollis), da "porcus singularis", come amava dire, esclamando spesso (De Lollis, Festa) che egli era della stessa terra di Gaio Mario, del brigante Gasperone e del rigido e pugnace papa Pecci, Leone XIII. E alla sua terra, alle sue tradizioni preromane (la "archeologia analfabeta" spregiata da Mommsen) e romanze, tornò più volte con le sue indagini scientifiche.

Dopo gli studi ginnasiali nelle scuole di Alatri, rette dagli scolopi sotto la direzione del padre Angelo Bellincampi, nel 1875 ottenne di essere assunto come prefetto, cioè istitutore, al collegio delle Scuole pie di Savona, dove frequentò il liceo.

Nel 1878 si iscrisse alla facoltà di lettere del R. Istituto di studi superiori di Firenze, dove fa allievo di N. Caix, di D. Comparetti (cui doveva poi dedicare il volume tratto dalla sua tesi di laurea), di G. Trezza e di P. Villari, che gli fu guida e lo apprezzò per l'ampiezza dei suoi studi, ciò che doveva poi parere straordinario al suo compagno di studi C. De Lollis, date le prevenzioni del Villari verso la linguistica "scienza delle sillabe ammaccate e contuse". Il C. si laureò il 27 luglio 1882 discutendo una tesi sul pronome personale nelle lingue indoeuropee.

Già prima della laurea aveva pubblicato un primo lavoro scientifico, La mitologia comparata. A proposito di unapubblicazione recente di Max Müller, in Nuova Antologia, 1ºott. 1880, pp. 568-576, in cui non solo è ravvisabile' il netto distacco da indagini prescientifiche che pure avevano ancora voga e perfino credito, come il Saggio di studietimologici comparati sopra alcune voci del dialetto di Alatri (in Gli Studi in Italia, III [1880], pp. 817-833; IV [1881], pp. 98-112), di Alessandro Avoli, che riportava il dialetto d'Alatri non alla sua matrice latino-volgare, ma direttamente alle parlate degli Ernici; ma anche è notevole la seria informazione sulla produzione scientifica italiana e straniera, cosa all'epoca ancora rara, nonostante il lavoro già avviato da G. I. Ascoli col suo Archivio, come può vedersi in scritti di pessima divulgazione quali Natura e progresso degli studi linguistici di Cesare A. De Cara, in Gli Studi in Italia, III (1880), pp. 1-19. L'alto livello di informazione e rigore del giovane C. appare anche in un lavoro pubblicato presso Le Monnier, Scritti glottologici, I, Il dativo plurale greco (Firenze 1882).

Interesse ancora maggiore presenta Bertoldo Delbrücke la scienza del lingugggio indogermanico, in Giornale napoletano di filosofia e lettere, VI (1882), 1718, pp. 1-61. Il C. si rifà a quanti, come già Ascoli verso Tommaseo o M. Kerbaker (La filologia comparata e la filologia classica, Napoli 1875) contro T. Vallauri, difendevano la linguistica comparata e storica dall'esser cosa "teutonica", sia sottolineando la filiazione filosofica generalmente europea degli studi linguistici (Kerbaker, ibid., pp. 62-63, come anni innanzi Biondelli e Bréal, menziona Locke, Leibniz e Vico) sia mettendo in rilievo i meriti, ma insieme segnando criticamente i limiti del grande contributo degli studiosi di lingua tedesca, quali quelli della Junggrammatische Richtung.

Tra questi, il C. valorizza soprattutto il Delbrück ritenendolo consapevole della bontà di punti di vista anche divergenti dal neogrammatico. Nonostante nell'intimo, conforme all'educazione, il C. fosse e dovesse anche poi restar sempre cattolico (Festa), in fatto di scienza egli esprime ornandolo, con ironica grazia, d'una citazione di Quintiliano ("inter virtutes grammatici habebitur aliqua nescire"), un punto di vista relativistico: "il vero assoluto va ... irremissibilmente ricacciato fra gli arzigogoli delle scuole teologiche o teologizzanti". Quest'atteggiamento critico gli permette di valutare la positività dell'indirizzo neogrammatico, ma, insieme, di fare la giusta parte a G. I. Ascoli, definito "un grande maestro" (p. 16), e di citare "honoriscausa... il libro di Ferdinando De Saussure" (p. 19), apparso da qualche anno e già oggetto di interessati e malevoli silenzi dei neogrammatici più ortodossi.

I lavori del giovane C. attrassero l'attenzione dell'Ascoli che il 2 giugno 1882 gli inviò una delle sue interessanti lettere teoriche e metodologiche. L'anno dopo il C. pubblicò un saggio su Le "Nubi" di Aristofane, sempre sul Giornale napoletano di filosofia elettere, VII (1883), ma già i suoi studi avevano subito una prima interruzione.

Nel 1882 il sindaco di Alatri, P. F. Cerica, offrì al C. la cattedra di latino e greco e l'incarico dell'insegnamento, di storia e geografia nel locale liceo. Nello stesso tempo N. Caix, suo professore, gli fece offrire la cattedra di lettere latine e lingua greca e la presidenza del liceo di Perugia, dove era stato commissario regio. Il C. esitò e trattò, accedendo infine alla proposta del comune nativo (settembre 1882). L'insegnamento durò pochi mesi. Nell'aprile 1883 il ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli lo chiamò come suo segretario particolare. Il C. si fece supplire da Paolo Orsi, il futuro grande archeologo, a partire dal 17 apr. 1883. Baccelli era appena reduce dal discorso alla Camera del 28 febbr. 1883, in cui aveva rivendicato Roma antica come modello d'una rinnovata scuola e scienza universitaria che egli vedeva al tempo stesso autonoma e dedita al "rigoglio dinamico ... della società". Il C., pur non trascurando pratiche locali (come la sistemazione delle mura locali della Civita), si gettò nella mischia, e non solo metaforicamente perché, a seguito dell'opuscolo La riforma universitaria e le notedell'on. Odoardo Luchini (Roma 1883) e delle sue polemiche contro i detrattori del Baccelli, dovette sostenere un duello in cui fu ferito. Nel marzo 1884 il Baccelli, caduto il suo disegno di riforma che garantisse l'autonomia dell'università, lasciò il ministero e il C. tornò all'insegnamento.

Professore di latino e greco al "Vittorio Emanuele" di Palermo (1884-85), poi al "Parini" di Milano (1885-871, quindi al "D'Oria e al "Colombo" di Genova (1887-92), il C. torna in questo periodo agli studi. A Milano si lega all'editore Pirola, presso il quale fonda nel 1886 e dirige con Giacomo Cortese, futurosottosegretario di Stato all'Istruzione, il Giornale italiano difilologia e linguistica classiche, ed avvia pubblicazioni di varia natura: scolastiche (Antologia della poesia latina ad uso dellescuole italiane, Milano 1886), in cui si notano un atteggiamento didattico fondato sulla collaborazione con "i signori alunni del R. Liceo Parini di Milano" e il nesso che il C. tenta di stabilire tra le sistemazioni scolastiche e le ricerche specialistiche di L. Havet, M. Bréal; politiche (L'istruzione pubblica e la sinistraparlamentare, Milano 1886), in polemica con la "statolatria" della Sinistra in materia di autonomia didattica, scientifica, amministrativa delle università; specialistiche, come la rielaborazione della tesi di laurea (già pronta in manoscritto nel 1882, come da lettera del C. a P. F. Cerica), Il pronome personalesenza distinzione di genere nel sanscrito, nel greco e nel latino (Milano 1886), dedicato al maestro Domenico Comparetti, ed una serie di note di linguistica comparativa pubblicate col titolo Trucioli glottologici e filologici (ibid.).

Lo stesso anno 1886, nell'Archivioglottologico italiano, X (1886), pp. 167-176, con una postilla dello stesso G. I. Ascoli, appariva un lavoro dialettologico del C., Saggio intorno ai dialettidella Cioceria, I, Vocalismo del dialetto di Alatri, che attirò l'attenzione di W. Meyer-Lübke (Zeitschrift für romanischePhilologie, X [1888], pp. 296 s.).

Nel 1892 il C. pubblica presso il Loescher di Torino gli Appunti glottologici, dedicati a C. De Lollis, allora già professore a Genova, dove anche il C. insegnava.

Gli Appunti mostrano una ormai matura capacità di intervento nelle polemiche linguistiche del tempo, con molto equilibrio nell'accettare senza servilismi la supremazia della ricerca tedesca. Tipica la questione simbolica del termine "indogermanico" per denotare la famiglia linguistica che poi il C. stesso dirà "indoeuropea": il termine è accettato in omaggio a quella che all'epoca pareva la maggior diffusione, ma rifiutando esplicitamente le stolidità razzistiche di A. Fick, Vergleichendes Wörterbuch der indogermanischgn Sprachen, I,Göttingen 1891, p. X, secondo cui un'altra denominazione, quella di "indoceltico", andava respinta perché Indiani e Celti non meritavano di dar nome alla famiglia in quanto essi avevano avuto soltanto un ruolo meramente passivo nella storia universale.Nello stesso 1892 appaiono presso Loescher una nuova opera con cui il C. volle portare nella scuola i risultati della ricerca scientifica, le Tabulae Iguvinae (Torino 1892), e un'opera che pare dare la misura dell'originalità dell'ingegno del C.: il primo volume (restato poi purtroppo unico) d'uno studio La lingua del diritto romano, dedicato alle Etimologie dei giureconsulti romani.

Nel 1952 essa fu definita da A. Pagliaro "documento mirabile di dottrina e penetrazione linguistica". Rifacendosi a M. Müller, M. Bréal e alla linea Humboldt-Steinthal, messa in ombra dalla micrologia neogrammaticalistica, ma anche riecheggiando il Proemio dell'Ascoli e scritti del Caix, il C. assumeva un netto orientamento teorico: "La parola, quale fenomeno fonetico, vive solamente nel momento dell'articolazione e dell'audizione; ma... quale concetto, è parte integrante assoluta del nostro organismo intellettuale e vive nella nostra intima vita. Il pensiero è quasi un linguaggio interiore non interrotto e la storia delle trasformazioni semasiologiche della parola è la storia delle varie fasi della vita del pensiero" (p. 10). Di qui l'importanza dell'etimologia, come indagine che, movendo dai testi, ricostruisce le tappe della storia "semasiologica" delle parole entro i loro contesti storico-culturali, e di qui ancora una conseguenza metodica: la necessità di fondere "indagine glottologica" e "ricerca filologica" e più generalmente storica, cioè, nel caso specifico, "la scienza del diritto romano... che è purtroppo estranea al mondo dei filologi". Su questa via, dopo pagine ancor notevoli dedicate alla storia dell'etimologia antica, il C. mostra. che "l'etimologizzare dei giureconsulti può essere fonte di nuove interpretazioni del diritto, di nuove costruzioni e, - perché no - di nuovi istituti giuridici" (p. 56).

Nel medesimo anno 1892 fu nominato professore straordinario di grammatica indo-greco-italica nella facoltà di lettere di Roma, dove dal 1894 fu incaricato di epigrafia italica, dal 1895 incaricato di grammatica greca e latina, con esercitazioni presso la scuola di magistero allora annessa alla facoltà di lettere. Nel 1896 la cattedra prese la denominazione di storia comparata delle lingue classiche, cui, nel 1912, si doveva aggiungere "e neolatine" (i mutamenti e la varietà di titoli delle cattedre di linguistica dell'epoca erano diretta conseguenza del "particolarismo dell'insegnamento", imposto, come ha osservato W. Belardi, da Ascoli alla disciplina).

Nonostante il peso dell'insegnamento, il C. non rallentò l'attività di ricerca. Nel 1896 pubblicò Capitoli scelti di fonologia indogermanica (Roma 1896), importanti specie per le considerazioni sulle labio-velari sonore e gli esiti umbro-latini delle dentali aspirate in posizione interna, su cui tornarono in parte anche i numerosi contributi apparsi in quegli anni nei Rendiconti della R. Accademia dei Lincei.

Nel gennaio-maggio del 1899 nel corso degli scavi del Foro Romano diretti da G. Boni viene riportato in luce il lapis niger e un cippo con un'iscrizione.

La relazione dello scavo (eseguito in modo non impeccabile) è affidata a G. F. Gamurrini, mentre per l'interpretazione il ministro dell'Istruzione, che è di nuovo, per la terza volta, G. Baccelli, si rivolge al C., il quale si getta nel lavoro e in cinque affannosi giorni perviene alla lettura dell'iscrizione, che si rivela bustrofedica, all'identificazione di una serie di parole (RECEI = regi, KALATOREM = calatorem, SAKROS ESED = sacer esto, ecc.), a una datazione che fa dell'iscrizione "la numero uno delle 37.000 iscrizioni latine", risalente, secondo il C., al VII sec. a. C. Tenta anche integrazioni delle parti mutile e ravvisa nel testo una lex sacra, anzi una lex regia:la prova che Roma, prima dell'incendio gallico, ebbe re, che, dunque, l'atteggiamento di rifiuto della tradizione annalistica proprio della storiografia tedesca moderna, da Niebuhr a Mommsen, a Beloch, era da correggere, modificando il "Misscredit" (J. Beloch, in Rheinisches Museum, XLV [1890], p. 554) in un cauto ripensamento e recupero.

La scoperta archeologica, in una con la divulgazione (attraverso il Popolo romano) delle letture e delle interpretazioni del C., e di ciò che se ne poteva trarre nei confronti dell'ipercritica tedesca dell'annalistica, spesso effettivamente non disgiunta (come in Mommsen) da valutazioni di stampo razzistico sulla mancanza di capacità intellettuali e civili di Roma prima del contatto con i Greci, tanto più in un momento di grave crisi sociale e politica nazionale quale quello degli anni del Pelloux, e con un ministro dell'Istruzione col quale s'affacciava nelle cose della cultura e della politica "l'ombra di Roma" (Chabod), ebbe effetti clamorosi anche fuori della cerchia degli studi. All'interno di questa l'archeologo tedesco Chr. Hülsen, lo Skutsch, Domenico Comparetti (maestro del C.), cui si unì con foga Ettore Pais, si schierarono contro le letture e le interpretazioni del C., accusato di avere ceduto a sciovinismo antitedesco, ciò che, ad onor del vero, né allora né poi gli si poté rimproverare, anche se allora, come prima e poi, fu in lui presente e forte il senso della "nazione senza nazionalismo", secondo la felice formula commemorativa di N. Festa, tanto più attendibile, in quanto data in epoca di fascismo trionfante. Il C. stesso è stato fedele cronista del suo lavoro e delle polemiche, riferite puntualmente: Stele con iscrizione latina arcaica scoperta nel Foro Romano, relazione di G. F. Gamurrini, con interpretazione del C., in Notizie degli scavi di antichità, s. 5, VII (1899), pp. 23-72; L'iscrizione antichissima del Foro e la storia di Roma, in Rivista d'Italia, II(1899), pp. 432-453; Il Cippo antichissimo del Foro, ibid., pp. 500-521; L'iscrizione antichissima del Foro e lo chauvinismo italiano. Risposta al dr. Ch. Hülsen dell'Imperiale Istituto archeologico germanico, Roma 1899 (riassume gli articoli precedenti).

Il C. stesso, come è stato rilevato da W. Belardi, parla di una "fiera malattia" che lo colse e l'impedì tra inverno e autunno del 1900 (Per la storia, p. 50 n. 7). È certo che, dopo la polemica, la sua attività scientifica subì un rallentamento, quasi un arresto. Cenni vaghi si trovano nei necrologi. A. Pagliaro, che poté ben conoscerlo sullo scorcio della vita, testimoniò, nel 1952, di una grave crisi che colse il C. dinanzi alla polemica levatasi contro di lui: "questa esperienza scientifica, umana e, vorrei dire, nazionale, assai aspra, ebbe ripercussioni non solo sulla personalità scientifica, bensì anche sulla vita del Ceci, sulla sua salute, oltre che sulla sua attività". A nulla valse che Th. Mommsen, poco anzi la morte, ripensasse criticamente gli atteggiamenti di rifiuto radicale della tradizione.

Dopo l'accennata malattia, nel novembre del 1900, al C. tocca il compito del discorso inaugurale dell'anno accademico nell'università di Roma. Nasce così una ampia sintesi, Per la storia della civiltà italica. Discorso inaugurale dell'anno accademico 1900-1901 nella R. Università di Roma (Roma 1901), in cui si riordinano i motivi della critica all'ipercritica tedesca da Niebuhr a Mommsen, della polemica contro il servilismo verso la storiografia e filologia tedesche, ma insieme della polemica contro l'avversione nazionalisticaantitedesca, si pone con equilibrio la questione di un rinnovato rispetto per i dati della tradizione storiografica relativa alle epoche anteriori all'incendio gallico, si indicano acutamente i limiti delle pretese della paleontologia linguistica isolata da paletriologia e archeologia, e si asserisce l'opportunità che il problema delle origini e della cultura e letteratura italiche e romane pregreche sia trattato integrando più punti di vista disciplinari. Qua e là qualche empito patriottico e qualche sfogo non illegittimo ("la mia voce oggi è quella d'un solitario, a cui non si deve prestar fede, perché io - un ben cattivo uomo - affermo il contrario della critica scientifica, della critica severa, della critica positiva, della critica senza critica") non tolgono valore scientifico all'insieme.

Seguono alcuni anni di totale silenzio scientifico. Nel 1905, presso Paravia di Torino, appaiono Il ritmo nelle orazioni di Cicerone, I, La prima Catilinaria, testo con la scansione delle clausole metriche, introduzione, appendice, in cui si mostra come perfino sintassi e morfologia in Cicerone si pieghino alle esigenze delle responsioni ritmiche e si polemizza contro i detrattori della letteratura romana, e una Grammatica latina ad uso delle scuole, I, Morfologia, la cui base documentaria è tratta dall'intera latinità, non solo da Cicerone, con l'intento di non offrire "ossa scarnificate ai giovani" (p. XII).

Nel 1906 l'epigrafista Ettore De Ruggiero cedette la testata della rivista La Cultura, fondata dal Bonghi, al C. e a C. De Lollis (venuto intanto da Genova all'università di Roma) e N. Festa. Il C. fu promotore dell'iniziativa, in cui si gettò con entusiasmo, sperando (De Lollis) di ritrovare con la rivista un più sicuro e ampio ambito di intervento politico e culturale. Il primo fascicolo della nuova serie apparve il 1º genn. 1907. Ma due anni dopo, disapprovando il passaggio della rivista alla casa editrice Laterza, il C. lasciò la direzione.

A due riprese il C. fu preside della facoltà di lettere, nell'aprile-giugno 1906, sostituendo L. Credaro nominato sottosegretario alla Pubblica Istruzione, e nel 1910-11, quando L. Credaro lasciò nuovamente la presidenza della facoltà per esser ministro dell'Istruzione nei governi Luzzatti e Giolitti. La stima, in realtà, doveva superare l'isolamento, se si pensa anche al fatto che Credaro, da ministro, lo nominò nella Commissione reale per il riordinamento degli studi superiori e gli fece affidare l'incarico di relatore. Di nuovo il C. si impegnò esemplarmente nel lavoro e ne nacque, nel 1914, il poderoso volume Commissione Reale per il riordinamento degli studi superiori. Relazioni e proposte, relatore generale L. Ceci, Roma 1914, in cui, sulla base di una ampia analisi storico-comparativa degli ordinamenti universitari internazionali, si ribadivano i principî dell'autonomia scientifica, didattica ed amministrativa dell'università, che dovevano poi essere in parte accolti dal ministro Gentile, e cancellati poi dagli ordinamenti più autenticamente fascisti del quadrumviro Cesare De Vecchi di Val Cismon.

Un altro segno della stima e dei reali rapporti del C. è la sua partecipazione, come unico italiano, alla fondazione della Indogermanische Gesellschaft, nel 1912, di cui per anni restò uno dei pochi membri italiani (un altro era G. Ciardi-Duprè).

Durante la guerra mondiale, diversamente dal Pais e da altri professanti gli studi, il C., come rilevò N. Festa, si astenne da ogni polemica antitedesca di maniera: un tratto che lo unì, forse suo malgrado, al Croce.

Diversamente da altri linguisti e filologi italiani dell'epoca (C. Trabalza, C. De Lollis, M. Bartoli), il C. non cedette al fascino delle idee estetico-linguistiche del Croce, cui anzi, pur senza esplicite menzioni, pare ribattere nelle sue lezioni universitarie, con argomentazioni di cui (anche in questo caso) il tempo ha rivelato la ragione.

Nelle dispense dell'anno 1908-09 (a cura di V. Bonfigli, Roma 1909) leggiamo che contro le distinzioni analitiche della linguistica "si è trovato chi è insorto, affermando che con questo sezionare il linguaggio nei suoi elementi si finisce per trovarsi dinanzi a un morto, mentre una lingua è cosa viva", ma, obbietta il C., anche il botanico fa scienza sezionando un organismo nei suoi elementi, ricostruendone il funzionamento (p. 9). Anche altrove pare di scorgere una messa in guardia da posizioni crociane: "Il linguaggio è un fenomeno individuale, in quanto l'umanità è in fondo costituita da milioni di individui, ma non rimane creazione puramente individuale in quanto, a che un linguaggio esista, occorre che tanto chi parla quanto chi ascolta abbiano il medesimo sentimento del rapporto che c'è fra un'idea e i fonemi articolati. Nella evoluzione di questo fenomeno che noi diciamo linguaggio abbiamo dunque due forze: una conservativa ed una creatrice. La forza creatrice è quella dell'individuo: ma se l'individuo mira ad innovare il linguaggio, la sua libertà è vincolata dal fatto che gli altri individui debbono poter comprendere quello che egli dice. Il gruppo sociale, quindi, rappresenta la forza conservatrice e a lato dell'innovazione continua e costante vi è a un tempo la tendenza alla conservazione". Altri elementi di interesse generale, nelle dispense, sono: la distinzione tra filologia e linguistica (p. 6); quella, all'epoca ancora non comune, tra fonema e suono e la correlativa tra fonologia e "fisiologia dei suoni" (pp. 7, 38 ss.); l'identificazione del carattere "empirico", contingente, non universale delle leggi fonetiche evolutive (pp. 33-35); l'attenzione per la "semasiologia" o "semantica", definita, seguendo Bréal, scienza delle trasformazioni dei significati (p. 53); l'accettazione dei metodi d'analisi dei neogrammatici integrati però da una complessiva visione filosofica dei fatti linguistici fondata sulla linea Humboldt-Steinthal-Wundt, a lungo e ancor oggi sottovalutata (pp. 65-67); la liquidazione del problema (allora assai in voga a opera del Trombetti) monogenesi-poligenesi delle lingue (p. 5); le critiche, già ovvie, all'unità italo-greca (p. 6); l'idea che già in fase indoeuropea (questo aggettivo, di probabile derivazione dalla linguistica francese, è ora e poi adottato dal C.) si debbano postulare "varietà sociali" che "dan luogo a varietà dialettali" (p. 29).

Terminato il conflitto mondiale, il C. prese impegno di scrivere una grammatica di serbo-croato per il costituito Istituto per l'Europa orientale. Nel 1925 fu presidente della commissione che assegnò la libera docenza di iranistica ad Antonino Pagliaro, che ricevette l'incarico della materia nella facoltà di lettere di Roma e di lì a poco doveva succedere al C. nello insegnamento.

Il C. parve tornare con nuovo vigore agli studi: attendeva alla sintassi della lingua latina, prosecuzione della morfologia di vent'anni prima; alla grammatica serba; a un volume sul Latium vetus. In funzione di quest'ultima opera si era volto a indagare i rapporti tra latino e ambiente linguistico non indoeuropeo, in particolare tra latino e lingua degli Etruschi e, secondo la linea che gli fu propria di integrazione del dato linguistico nella sua base storica, tra Roma e gli Etruschi. Roma e gli Etruschi fu appunto il titolo comune di tre lavori apparsi nei Rendconti dell'Accademia dei Lincei, classe di scienze morali: Il fasciolittorio, s. 6, II (1926), pp. 521-531; La storia di tre parole: amare, pulcher, populus, III (1927), pp. 174-190; Il vino e l'asino, ibid., pp. 273-290. Di là del dubbio tentativo di negare l'origine, etrusca di alcuni elementi lessicali latini, resta valido il metodo della integrazione storica e filologica dell'indagine linguistica: "la parola divulsa dal suo terreno è sorda e muta" (Storia di treparole, p. 175).

Ultima prova del C. fu la commemorazione Elia Lattes el'etruscologia, ibid., pp. 67-157.

Ancora una volta il lavoro è disseminato di idee cui il tempo ha reso ragione: il nesso tra etrusco e lingue asianiche; il carattere colto del latino d'Etruria e di Sardegna, come fonte della conservatività delle parlate romanze toscane e sarde; la posizione del venetico tra le lingue indoeuropee. Ancora una volta sorprendono ricchezza e sicurezza dei riferimenti culturali e ideologici, allargati fino a dar conto del fatto che, mentre "alle questioni economiche e sociali gli storici delle antichità non avevano accordato che un'attenzione distratta, avendo pressoché sempre dinanzi agli occhi le istituzioni politiche e religiose..., il materialismo storico di Carlo Marx segnava un poderoso movimento nelle indagini", sicché in seguito, "a parte le esagerazioni della pura teoria marxista, gli studi di antichità si svolgono in gran parte sul terreno economico" (p. 69). E lumeggiando la figura dell'etruscologo, la sua devozione agli studi, il C. scriveva: "ϕιλολογεῖν - l'ansia di sentire e ripensare quello che gli uomini e i popoli del passato hanno sentito e pensato - è un bisogno connaturale all'uomo, non meno del ϕιλοσοϕεῖν - la ricerca della verità".

Il 22 giugno 1927, per grave malattia epatica, morì nella casa di Alatri.

Bibl.: E. Cocchia, Introduz. stor. allo studiodella letteratura latina, Bari 10915, pp. 262, 347-352; C. De Lollis, L. C., in La Cultura, s. 5, VII (1927), pp. 414-418; N. Festa, L. C., in Rend. dell'Accad. naz. dei Lincei, classe di sc. mor., stor. e fil., s. 6, III (1927), pp. 633-648 (con bibl.); A. Sacchetti Sassetti, L. C. scolaroe professore in Alatri, Alatri 1947; Id., Storiadi Alatri, Alatri 1977, pp. 379, 381, 384 s., 396-98; F. Chabod, Storia della politica estera italiana. I, Le premesse, Bari 1951, ad Indicem; A. Pagliaro, C. ed Alarri, ms. inedito in possesso dell'autore della voce, prob. 1952; G. Devoto, Scritti minori, I, Firenze 1958, pp. 94, 118; II, ibid. 1967, pp. 267 s.; G. Sasso, "La Cultura" nella storiadella cultura ital., in La Cultura, n. s., I (1963), pp. 7-28, 152-181, 258-293; D. Gazdaru, Controversias y documentos linguisticos, Buenos Aires 1967, pp. 31-32, 134-139; V. Pisani, L'etimologia, Milano 1967, pp. 32, 162; W. Belardi, L. C. nella cultura ital. tra Ottocento e Novecento (conferenza inedita, Alatri 1977); Enc. Italiana, IX,p. 597.

Vedi anche
Giovanni Pàscoli Pàscoli, Giovanni. - Poeta (San Mauro, od. San Mauro Pascoli, Giovanni, 1855 - Bologna 1912). Con la sua ricerca linguistica audacemente sperimentale, Pascoli, Giovanni aprì la strada alla rivoluzione poetica del Novecento. Con la raccolta Myricae, la poesia italiana sembra scrollarsi di dosso le incrostazioni ... Odoacre Re barbarico (n. circa 434 - m. Ravenna 493). Generale dell'esercito romano (472), Odoacre fu a capo della ribellione che depose Romolo Augustolo (476). In seguito fu proclamato rex gentium, re cioè delle popolazioni barbare stabilite in Italia. Preoccupato dei successi politico-militari di Odoacre, ... Mónti, Vincenzo Mónti, Vincenzo. - Poeta (Alfonsine 1754 - Milano 1828); iniziò gli studî sotto la guida di un prete di Fusignano e li continuò nel seminario di Faenza, dove apprese bene il latino e fu educato al gusto della poesia di Virgilio. A Ferrara intraprese gli studî di giurisprudenza, che abbandonò poi per ... Teodorico re degli Ostrogoti. - Figlio (n. 454 circa - m. 526) di Teodemiro re degli Ostrogoti della stirpe degli Amali. Succeduto al padre (474), sconfitto il re degli Eruli Odoacre (493), divenne sovrano del regno ostrogoto in Italia. Il suo governo fu improntato alla pacificazione tra Ostrogoti e Romani e a ...
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    Enciclopedia on line
    Linguista italiano (Alatri 1859 - ivi 1927), prof. dal 1892 all'univ. di Roma, socio nazionale dei Lincei (1920). Profondo conoscitore del latino, delle lingue italiche e delle antichità romane, dette un'interpretazione personale, basata sulla tradizione liviana, della quale fu in genere acerrimo difensore ...
  • CECI, Luigi
    Enciclopedia Italiana (1931)
    Linguista, nato ad Alatri il 27 febbraio 1859, ivi morto il 22 giugno 1927, professore nell'università di Roma di grammatica indo-greco-italica dal 1893 al 1901, di storia comparata delle lingue classiche e di epigrafia italica dal 1901 alla morte. Studente dell'università di Firenze, informato conoscitore ...
Vocabolario
lüigi
luigi lüigi s. m. [dal nome proprio Luigi; fr. louis]. – 1. Moneta d’oro, del valore di 10 lire, coniata in Francia nel 1640 per ordine di Luigi XIII, con il busto del sovrano al dritto e una croce formata da 8 L addossate e coronate al...
beato lüigi
beato luigi beato lüigi locuz. usata come s. m. – Nome delle monete d’argento di mezzo ducatone (4 lire e 80 soldi) e di un quarto di ducatone (2 lire e 40 soldi) fatte coniare nel 1626 da Vincenzo II Gonzaga duca di Mantova, nel rovescio...
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