CATTANEO, Luigi
Nacque a Vellezzo Bellini (Pavia) il 25 apr. 1890 da Angelo e da Angela Oldrati, e studiò medicina e chirurgia presso l’università di Pavia. Ancora studente cominciò ad avvertire una particolare attrazione per la chirurgia, probabilmente alimentata dal contatto con E. Bassini, il celebre chirurgo di Padova, col quale era imparentato, e cominciò a frequentare le sale operatorie di I. Tansini e di B. Rossi. Laureatosi nel 1916, partecipò al primo conflitto mondiale come ufficiale medico sul fronte del medio Isonzo.
Tornato dalla guerra, non potendo realizzare il desiderio di dedicarsi alla chirurgia generale, si perfezionò in ostetricia e ginecologia, disciplina eminentemente chirurgica che già in quel tempo stava acquistando un deciso carattere operativo. Fu così assistente volontario della clinica ostetrica e ginecologica di Pavia dal 14 dic. 1919 al 16 ott. del 1922, assistente effettivo fino al 15 maggio 1925, indi aiuto fino al 15 ott. 1927; subito dopo si trasferì nella clinica ostetrica e ginecologica dell’università di Milano, seguendo il suo maestro E. Alfieri, che vi era stato chiamato a succedere a L. Mangiagalli.
Conseguita nel 1928 la libera docenza in clinica ostetrica e ginecologica, il C. nel 1935 divenne direttore dapprima incaricato, quindi ordinario della clinica ostetrica e ginecologica dell’università di Perugia, ove rimase per dieci anni. Il 1º nov. 1945 fu chiamato, all’unanimità, alla direzione della cattedra di clinica ostetrica e ginecologica dell’università di Roma, dove restò fino al raggiungimento dei limiti di età nel 1960.
La sua vasta attività scientifica si è inizialmente diretta verso lo studio della fisiologia della placenta, dell’embrione, del feto e del neonato. Con una ricerca originale (Contributo sperim. allo studio del passaggio degli ormoni fetali attraverso la placenta, in Annali di ostetricia e ginecologia, LIII [1934], 3, pp. 253-266) riuscì a dimostrare per primo che l’adrenalina e la colina possono passare, attraverso la placenta, dal circolo fetale a quello materno, e dimostrò che può passare attraverso la placenta dal feto alla madre anche l’ormone secreto dall’ipofisi posteriore. Accertò inoltre l’esistenza, nelle surrenali adulte, di un quid che in quelle fetali o non esiste o non è ancora attivo biologicamente, ovvero se presente non può passare attraverso il filtro placentare: poté così concludere che le surrenali del feto non sono in grado di supplire alla mancanza di quelle materne.
In una ricerca successiva (Contributo sperimentale allo studio della fisiologia fetale. Sull’azione degli estratti dei surreni fetali, ibid., 4, pp. 406-426) dimostrò, per primo, che l’estratto fresco totale di surrene fetale ha azione completamente antagonista all’estratto fresco totale di surrene di adulti, e attribuì tale effetto depressorio alla presenza di colina. Infatti, poiché l’azione dell’estratto del surrene fetale è molto simile a quella della colina, sapendo che la corticale del surrene partecipa intensamente al ricambio lecitinico, vivacissimo nel feto, il C. poté affermare che il surrene fetale è caratterizzato da iperattività della corticale con conseguente forte produzione di colina. Queste ricerche furono messe in grande rilievo da clinici, fisiologi e farmacologi dell’epoca e portarono un reale contributo alla conoscenza della fisiologia fetale, modificando acquisizioni fino ad allora date per certe.
Nella maturità il C. dedicò tutte le sue energie alla clinica, sia nel campo ostetrico sia in quello ginecologico. Fu un tenace assertore dell’ostetricia tradizionale: nel rispetto assoluto del meccanismo fisiologico del parto, combatté l’abuso del taglio cesareo. Contribuì invece, con l’uso di nuove terapie, al progresso dell’ostetricia moderna, introducendo in Italia l’uso del parto pilotato, sostituendo al forcipe la ventosa ostetrica e propagandando e istituendo corsi di psicoprofilassi del parto.
È grande merito del C. avere per primo richiamato l’attenzione sull’importanza dell’indagine urologica in ginecologia. Di vasta risonanza fu la sua dotta e ampia relazione (Urologia ginecologica, in Atti d. Società italiana di ostetricia e ginecologia 1938), nella quale esaminò partitamente tutte le sindromi urologiche di interesse ginecologico. Egli raccomandava di vagliare sempre attentamente, accanto ai sintomi ginecologici, quelli urologici: infatti all’osservazione del ginecologo possono sovente capitare le forme urologiche più insospettate, tipiche o atipiche, la cui conoscenza risulta pertanto preziosa per poter tempestivamente richiedere l’intervento dell’urologo.
Negli ultimi anni della sua attività si dedicò con particolare fervore alla lotta contro il cancro dell’apparato genitale femminile. In questo campo fu in Italia un vero caposcuola, considerato anche all’estero come uno dei maggiori esperti. Cultori della ginecologia operativa, provenienti da ogni paese, frequentavano le sue sale operatorie per apprendere la sua tecnica e i suoi metodi di avanguardia. Istituì e organizzò centri per la diagnosi precoce del cancro dell’apparato genitale femminile con i mezzi più moderni, precorrendo i tempi.
La sua passione per la chirurgia non lo portò mai a eccedere o a indulgere al solo virtuosismo operatorio, perché egli tenne sempre e soprattutto presente l’interesse dell’ammalata. Nella terapia del carcinoma cervicale fu sempre convinto sostenitore dell’utilità dell’intervento chirurgico radicale, di fronte a quanti, in un certo periodo, ritennero fosse preferibile il trattamento radiante. Però successivamente, sebbene espertissimo chirurgo, non seguì neanche i cosiddetti ultraradicalisti nei grandi interventi demolitori, ritenendo che vi dovesse essere un limite ragionevole anche nella radicalità.
Nel cancro del collo dell’utero, quando lo stadio della lesione lo permetteva, egli praticava, per via addominale, l’isterectomia radicale secondo Wertheim, e per primo in Italia ampliò l’intervento con l’asportazione bilaterale delle ghiandole linfatiche pelviche. Con tecnica accurata e perfetta conoscenza dell’anatomia della pelvi, oltre all’asportazione totale radicale dell’utero con i suoi parametri e i due terzi circa della vagina, eseguiva lo svuotamento delle fosse otturatorie mettendo a nudo il nervo otturatorio, e l’asportazione di tutti i linfonodi dell’intero albero arterioso e venoso del bacino, cercando di non compromettere la vitalità degli organi residui. In virtù delle sue capacità operatorie e dell’equilibrio della sua condotta terapeutica, riusciva così ad ottenere una scarsa mortalità e un’alta percentuale di sopravvivenza, anche a distanza di tempo (Basi della cura radicale del cancro del collo dell’utero..., in Simposio sulla terapia del cancro dell’utero, Torino 1958, pp. 53-62).
Nel trattamento del carcinoma ovarico il C. sostenne invece la necessità di intervenire sempre, perché anche casi apparentemente “desolati” potevano essere suscettibili di terapia chirurgica; inoltre, perché con un prelievo bioptico per l’esame istologico si poteva attuare una più idonea terapia antimitotica e radiante. Questi concetti basilari appaiono nelle sue due relazioni Le tendenze attuali della ginecologia operatoria (Roma 1953) e Sul trattamento operativo dei tumori maligni dell’ovaio (Milano 1958), e sono ancora oggi di grande attualità.
Particolare impegno il C. rivolse all’insegnamento clinico; le sue lezioni furono sempre affollatissime di studenti, di medici e di specialisti che in lui apprezzavano la chiarezza di esposizione, lo schematismo rigoroso, la limpidezza dello stile, l’oratoria incisiva ed avvincente.
Morì a Roma il 16 febbr. 1968.
Bibl.: P. Marziale, L. C., in La Clinica ost. e gin., LXX (1968), pp. 109 s.; M. Massazza, L. C., in Atti d. Soc. ital. di ost. e ginec., LIII (1968), pp. XLIII-L.