CASTIGLIONI, Luigi
Nacque a Milano il 3 ott. 1757,secondogenito del conte Ottavio e di Teresa Verri (figlia di Gabriele e sorella di Pietro e Alessandro). Studiò con i barnabiti nel collegio imperiale Longone, proprio negli anni in cui il governo austriaco ne decideva la fusione col Collegio dei nobili, retto già dalla soppressa Compagnia di Gesù, riorganizzando secondo direttive più moderne i contenuti e i metodi dell'insegnamento. Ne uscì nel 1776, come apprendiamo dal carteggio di Pietro Verri, che a partire da quel febbraio gli era al tempo stesso zio e cognato, avendo sposato la sorella di lui Marietta. Anche in grazia del nuovo legame, il Verri prese a benvolere i due giovani nipoti, il C. e il fratello, Alfonso, rimasti orfani del padre in tenera età, e fu per loro un'affettuosa guida intellettuale e morale. Gli pareva che il minore avesse "più fuoco e delicatezza nell'anima: è però assai timido e lo paragonerei al mio Alessandro quando era della sua età". Al suo consiglio dovettero entrambi la stipulazione di un vantaggioso contratto che li metteva subito in possesso dei beni di un ricco parente rimasto privo di eredi. Così accresciuto, il patrimonio familiare venne mantenuto unito fino al 1790, allorché i due fratelli procedettero alla spartizione: la maggior quota toccò al primogenito, ma al C. rimasero pur sempre case e terreni per un valore capitale di quasi 40.000 scudi d'estimo, e un'entrata annua valutata nel 1802 a 30.000lire.
Comune ai due fratelli fu anche la passione per le scienze, e in particolare per la botanica; e se Alfonso fu presto assorbito dalle cure familiari e dalla vita pubblica, Luigi ebbe tutto l'agio di seguire le sue inclinazioni, e d'intraprendere nel 1784 un lungo viaggio d'istruzione, che lo portò a soggiornare in Francia e in Inghilterra e di qui a imbarcarsi, il 13 apr. 1785, su una nave diretta a Boston. Per quasi due anni egli percorse in lungo e in largo la neonata confederazione degli Stati Uniti d'America, oltre a parte del Canadà, e fece la conoscenza di uomini illustri come Franklin e Washington. Tornò in patria nel 1787, passando questa volta per il Portogallo, la Spagna e la Francia meridionale. Da questa esperienza, eccezionale per un italiano dell'epoca, egli trasse i materiali per i due volumi, pubblicati a Milano nel 1790, del Viaggio negli Stati Uniti dell'America settentrionale fatto negli anni 1785, 1786 e 1787, ai quali principalmente è legata la sua fama.
Uno dei motivi del viaggio fu lo studio di piante adatte al clima europeo. Ma che l'interesse del C. non fosse di natura puramente scientifica lo dichiara egli stesso nell'introduzione, in cui definiva la rivoluzione americana "uno de' più memorabili avvenimenti di questo secolo", suscettibile col tempo di "produrre importanti conseguenze riguardo all'Europa",e si diceva "mosso dalla curiosità di vedere il politico nascimento d'una Repubblica composta di diverse nazioni, sparsa in vaste province molto fra loro distanti, e varie nel clima e nelle produzioni". Non solo, infatti, alle descrizioni dell'ambiente fisico, della flora e della fauna si accompagna una attenzione sempre vigile per le attività economiche, la storia, i costumi, la vita politica e sociale di quelle popolazioni; ma traspare, da una lettura attenta dell'opera, la cauta adesione dell'autore alle idee dell'illuminismo, così come si trovavano espresse, per esempio, nella celebre Histoire des établissements européens dans les deux Indes dell'abate Raynal: sia nella condanna della perfidia e crudeltà dei coloni verso gli indigeni e del disumano trattamento inflitto agli schiavi negri, "questi miserabili oggetti della compassione di un cuore ben fatto",sia nell'avversione per l'intolleranza religiosa, sia infine nella propensione per un sistema di governo ugualmente distante dal dispotismo e dalla piena democrazia. Così, più che l'egualitarismo tipico del Massachusetts, lo trova consenziente il regime dello Stato di New York, dove "la distinzione delle classi avendo accostumato il popolo ad una reale, o supposta soggezione, ha posto un argine alla troppo libera, anzi licenziosa democrazia". "Se la forma democratica - prosegue il C. - è da stimarsi la migliore in una Repubblica, questa lo sarà certamente allorché si sceglieranno uomini saggi ed istrutti per presiedere agli affari pubblici dando loro sufficiente potere, e la carica de' quali terminando dopo un certo periodo sarà in mano del popolo la nuova elezione".
Era più che un preannuncio di quel costituzionalismo moderato che andava prendendo forma in Lombardia sotto la duplice impressione del dispotico riformismo di Giuseppe II e della Rivoluzione francese: non a caso Pietro Verri componeva in quello stesso 1790 i suoi Pensieri sullo stato politico del Milanese. Ifrutti più immediati del viaggio, tuttavia, furono colti dal C. nel campo scientifico. Dal nuovo mondo aveva riportato semi e piante prima sconosciute in Europa, tra cui la robinia che ebbe presto larghissima diffusione. Nominato nel 1789 membro della Società patriottica istituita da Maria Teresa, il C. inseriva l'anno seguente negli Opuscoli scelti (Milano 1790) raccolti da C. Amoretti e F. Soave un Transunto delle osservazioni sui vegetabili dell'America settentrionale, e pubblicava a Milano nel 1791, in collaborazione col fratello, i primi quattro volumi della Storia delle piante forestiere le più importanti nell'uso medico ed economico.
Ogni volume fornisce la descrizione particolareggiata di ventiquattro specie di piante esotiche, con l'indicazione della loro origine, coltura, morfologia, uso pratico, diffusione geografica. La Storia, corredata da pregevoli incisioni in rame curate dai fratelli Bordiga, ebbe il merito di compiere in Italia un'utile opera di divulgazione.
Tradusse anche gli scrittori classici latini di agronomia e sperimentò nuove colture nei suoi giardini di Mozzate, visitati e ammirati tra gli altri da Arthur Young.
Sull'atteggiamento del C. durante il triennio rivoluzionario (1796-99) abbiamo testimonianze contrastanti. Arrestato e deportato a Nizza con altri ostaggi nobili al primo ingresso dei Francesi, fu in seguito per ben due volte chiamato a far parte del Consiglio degli iuniori della Repubblica cisalpina, da Bonaparte nel novembre 1797 e da Trouvé nell'agosto 1798; in entrambi i casi rinunciò alla nomina, adducendo motivi di salute, e accettò solo di far parte a titolo gratuito di una commissione di sanità. Con ogni probabilità il suo orientamento non era diverso da quello dei più autorevoli esponenti moderati, come Paolo Greppi e Francesco Melzi d'Eril (il quale ultimo, suo antico compagno di collegio, lo stimava al punto da proporlo come proprio sostituto al congresso di Rastadt): disapprovazione degli eccessi "giacobini" e della pesante tutela imposta alla Cisalpina - dalla Francia, ma disponibilità per un assetto istituzionale in cui, aboliti gli anacronistici privilegi dell'aristocrazia, le leve del potere tornassero saldamente nelle mani della classe possidente.
Quando tale aspirazione prese corpo nella Repubblica italiana fondata nel 1802, vicepresidente il Melzi, il C. si trovò quasi naturalmente proiettato in un'intensa attività pubblica. Incluso a Lione nel Collegio elettorale dei possidenti, alla prima adunanza di questo corpo (maggio 1802) venne eletto con il più alto numero dei voti alla Censura; e il suo nome era tra i primi a figurare nell'Istituto nazionale (classe di scienze fisiche e matematiche). Nel novembre 1803 fu nominato dal Melzi, con S. Stratico e L. Lamberti, membro di una commissione agli studi eretta per attuare la riforma scolastica, e il 24 ag. 1805 lasciava questa incombenza per quella più lucrosa (6.000 lire annue) di ispettore agli studi. Nel gennaio 1807 divenne contemporaneamente direttore della Stamperia reale di nuova istituzione e presidente dell'Accademia di belle arti di Milano. Che non si trattasse di semplici sinecure lo dimostra il nutrito carteggio tenuto dal C. con i competenti organi di governo, che non si stancavano di chiedere informazioni, relazioni, progetti. Ma egli prestava ancora la sua opera nel Magistrato di sanità e nel Consiglio delle miniere. Il 27 febbr. 1809, infine, la sua carriera era coronata dalla nomina a senatore, cui l'anno seguente si aggiungeva il titolo di conte conferitogli da Napoleone.
Al crollo dell'Impero napoleonico il C. fu tra quei membri del Senato che si adoperarono per salvare l'indipendenza del Regno italico, pur senza accogliere l'invito del Melzi a proporre alle potenze la candidatura al trono del viceré Eugenio Beauharnais. Proprio per questo, oltre che per la reputazione indiscussa di cui godeva, venne scelto nella tempestosa seduta del 17-18 apr. 1814 a far parte di una delegazione senatoria al quartier generale alleato a Parigi. Il 19 aprile il C. e Diego Guicciardi partirono per Mantova, dove dovevano abboccarsi col viceré e ottenerne le necessarie credenziali; ma colà furono raggiunti dalla notizia del tumulto scoppiato il 20 aprile a Milano e culminato col linciaggio del ministro delle Finanze Prina, e si affiettarono a fare ritorno nella capitale.
Sotto l'Austria il C. non ebbe più cariche di grande rilievo politico, né gli venne riconosciuto il titolo comitale, anche se nel 1816 ottenne la conferma dell'antica nobiltà e nel 1820 la qualifica di imperial regio ciambellano. Rimase tuttavia fino alla morte presidente dell'Accademia di Brera e membro dell'Istituto lombardo di scienze e lettere, e inoltre direttore dell'imperiale vivaio delle piante e consigliere della Commissione araldica (funzioni anch'esse già espletate negli ultimi anni del Regno d'Italia). Di un certo interesse è un'ampia relazione sull'Accademia di belle arti da lui presentata nel febbraio 1815. Ma in un elenco di ex massoni compilato verso il 1830 dal direttore della polizia Torresani (il C. doveva aver appartenuto a una delle logge napoleoniche) alle generiche lodi si accompagnavano riserve sulle sue capacità direttive come presidente.
Morì a Milano il 22 apr. 1832, e ivi fu tumulato nel famedio del cimitero monumentale. La sua preziosa collezione numismatica fu lasciata in testamento alla città di Milano; il grosso del suo patrimonio andò all'unica figlia Beatrice Castiglioni-Rasini, nata dal matrimonio che il C. aveva contratto nel 1800 con una lontana parente, Teresa Castiglioni.
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