CAPPONI, Luigi
Figlio di Pietro (o Gianpietro), milanese di origine, è scultore attivo negli ultimi decenni del Quattrocento a Roma, dove abita probabilmente nella zona di confine tra i rioni Pigna e Colonna. Con un contratto stilato il 9 luglio 1485 (Bertolotti) gli è affidata, insieme ad un certo "magister Iacobus Dominici della Pietra de Carraria marmorarus", la commissione della "sepulturam marmoream" di Francesco Brusati, arcivescovo di Nicosia.
Il contratto, condotto da "Jeronimo de Viateliis de Perusio" a nome del nipote di F. Brusati, Florio Roverella, prevede, entro quattro mesi dalla stipula e per un compenso complessivo per i due maestri di 60 ducati d'oro di camera, la realizzazione e la locazione in S. Clemente del monumento che, nella semplice camera funebre, limitata ai lati da due pilastri ornati di candelabre e conclusa in alto da un arco ornato di palmette, ospita, sopra il basamento con l'epigrafe affiancata dagli stemmi del Brusati, l'urna decorata con una semplice ghirlanda a tre festoni con il defunto disteso, le mani raccolte sul grembo. La lunetta doveva accogliere le immagini della Madonna con il Bambino e del Prelato in preghiera (Tosi), oggi perdute.
L'8 marzo 1496 il C. stipula un altro contratto (Gnoli) nel quale si impegna a realizzare "unam hymaginem Crucifissi et duas alias hymagines, videlicet beate Virginis Marie et aliam sancti Iohannis Evangeliste ordine suo consueto".
La pala marmorea, a "mezo relevo", è commissionata da Michele Bottarono (Boctarono) e deve esser posta nella chiesa di S. Maria della Consolazione, in un luogo scelto dal committente stesso, entro il mese di dicembre dello stesso anno 1496, per un compenso di 87 ducati. L'opera fu ritrovata, dopo la scoperta del documento che la riguarda, nell'Ospedale della Consolazione ed ora si trova nella sagrestia della chiesa.
Queste le uniche notizie documentate sul C., il cui nome, sconosciuto fino alla scoperta dei due documenti sopra citati, ha in seguito occupato un posto preminente nell'ambito della trattazione della scultura romana al volgere del XV secolo, acquistando a suo merito una serie sempre più vasta di opere attribuite, se non date addirittura per certe; a seconda dell'inclinazione dello storico, la sua arte è stata esaltata o limitata all'attività di un modesto scalpellino (Venturi). L'origine milanese e alcuni caratteri dell'arte del C., soprattutto i modi del panneggio e il gusto per i particolari realistici, hanno posto il problema se la sua educazione artistica si sia sviluppata nell'ambito della bottega dell'Amadeo o, a Roma, nella cerchia di un altro artista ugualmente lombardo, Andrea Bregno.
Si deve innanzitutto notare nelle due sole opere certe del C. l'inesistenza di una diretta ed evidente dipendenza dall'arte dell'Amadeo e, d'altra parte, va ricordato come tutti quegli elementi che nei modi dell'artista denunciano una sua origine lombarda fossero già presenti, e profondamente radicati, a Roma già da un ventennio. Perfettamente ancorata poi all'ambiente romano sembra quella tendenza definita neomedievale, ma che è solo il persistere di una tradizione al di là dei nuovi apporti, e che sembra avere nel C. una spia in quel modulare le pieghe nelle loro terminazioni in un tradizionale stilema bizantino. Il fatto poi che la prima commissione a noi nota affidata al C. (a prescindere dalla parte che ha avuto in questa il "magister Iacobus") provenga da un membro della famiglia Roverella può far pensare alla presenza del C. nella bottega del Bregne e del Dalmata quando questi erano impegnati alla realizzazione del monumento di Bartolomeo Roverella, senza tuttavia arrivare ad attribuire al C., come fa il Venturi, le figure di S. Pietro e del Cardinale.
Tra le due opere documentate del C. vi è una evidente rispondenza stilistica: si pensi alla realizzazione della testa moresca nello stemma del Brusati, alla corta coltre del letto funebre, che ricade in pieghe regolari come le lunghe vesti della Vergine e dell'Evangelista. Con le numerose opere attribuite la personalità del C. si arricchisce: non tanto per rilievi come quello con S. Giovanni e papa Leone del battistero lateranense (dove soprattutto la figura del papa sembra vicina ai modi del C.), quanto e soprattutto per opere come il monumento dei Fratelli Bonsi a S. Gregorio al Celio che lo rivelerebbe inventore di una riuscita innovazione nella tipologia dei monumenti funerari (introduzione dei busti ritratto dei defunti), o il paliotto con le Storie di s. Gregorio, ugualmente a S. Gregorio al Celio, che dimostra, oltre ad una estrema politezza e perizia nel trattare il marmo, una eccezionale sensibilità nel trattamento del nudo. Ma quel tanto in più e di diverso dalle opere documentate aumenta l'ombra di arbitrio nelle attribuzioni.
Fonti e Bibl.: F. Tosi, Raccolta di monum. sacri e sepolcrali scolpiti in Roma, Roma 1850, tav. L; A. Bertolotti, Artisti lombardi a Romanei secoli XV, XVI e XVII, Milano 1881, II, p. 285; D. Gnoli, L. C. da Milano scultore, in Arch. stor. dell'arte, VI(1893), pp. 85-101; Contratti per opere di scultura di L. C. milanese, ibid., pp. 127 s.; E. Müntz, Les arts à la cour des papes, Paris 1898, pp. 53-56; E. Steinmann, Rom. in der Renaiss., Leipzig 1899, pp. 39 s.; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VI, Milano 1908, pp. 970-74; P. Giordani, Un altare distrutto in S. Giovannie una statua del C., in L'Arte, XI(1908), pp. 231-233; G. S. Davies, The Sculptured Tombs of theFifteenth Century in Rome, London 1910, pp. 133-142; J.-J. Berthier, L'église de la Minerve à Rome, Rome 1910, pp. 289 s.; E. Lavagnino, Andrea Bregno e la sua bottega, in L'Arte, XXVII (1924), p. 258 e passim pp. 247-63; F. Negri Arnoldi, L. di Pietro C. da Milano, in Arte lombarda, VI(1961), pp. 195-201; Ch. Seymour, Sculpture in Italy 1400-1500, Harmondsworth 1966, p. 162; V. Golzio - G. Zander, L'arte in Roma nel sec. XV, Bologna 1968, pp. 341 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 552.