CALLIGARIS, Luigi
Figlio di Antonio e di Anna Macario, nacque a Barbania (Torino) "negli ultimi anni dell'impero napoleonico", come egli stesso afferma nelle sue Memorie senza precisare l'anno: per sua confessione si attribuì un'età maggiore a quella reale sfruttando una svista "o della famiglia o del curato" che lo aveva tenuto a battesimo: per cui, presentandosi agli studi, fu esibita una fede di nascita di un suo fratello omonimo e morto qualche anno prima che egli fosse venuto al mondo. Risultò, così, ufficialmente nato nel 1808, come riferiscono i suoi biografi.
Iniziò gli studi a Bra presso alcuni religiosi rimanendovi appena sette mesi: tornato a Torino, si mise a studiare di gran lena con l'idea di intraprendere la carriera delle armi. Fu un vero autodidatta e la sua sveglia intelligenza lo portò a coltivare, con notevole profitto, varie discipline tra le quali anche l'architettura, la musica e il disegno. Rimasto presto orfano di ambedue i genitori, il suo animo irrequieto e insoddisfatto lo rese ansioso di costruirsi un avvenire ben diverso da quello che poteva offlirgli il paese natio: con pochissimo denaro, decise di partire alla volta di Costantinopoli con l'intenzione di studiare le lingue orientali per le quali sentiva una particolare attrattiva. Giunto a destinazione nel 1829, divenne amico dell'ambasciatore di Francia, Guilleminot, col cui appoggio, previo consenso del governo sardo, entrò come volontario nel corpo degli ingegneri organizzato da un esule piemontese, il cavaliere Vincenzo Riva coinvolto nei moti del 1821 mentre, col grado di capitano, faceva parte del disciolto reggimento Alessandria. In breve tempo riuscì a mettersi in vista progettando fortificazioni e riuscendo vincitore nel concorso per l'erezione di quelle della piazzaforte di Conia.
Dopo aver tentato di entrare nella cavalleria, di cui era istruttore un altro piemontese, l'esule politico Giovanni Timoteo Calosso, riuscì a farsi assumere nello Stato Maggiore col rango di ufficiale superiore prendendo parte alla campagna di Siria contro l'esercito egiziano comandato da Ibrahim pascià.
Dopo la sconfitta turca di Beylan, del luglio 1832, rientrò a Costantinopoli: non avendo ottenuto, secondo la promessa fattagli e secondo la sua vecchia e viva aspirazione, la nominn a tenente colonnello in cambio del grado di ingegnere militare capo e non avendo gradito nemmeno la nuova destinazione a Varna, decise di rientrare in patria. Una volta a Torino, tentò ancora invano di rivestire la divisa militare, ma "vigevano ognora i tempi di casta e di privilegi e malgrado i grandi sforzi di personaggi potenti" non riuscì a ottenere quanto vivamente desiderava.
Nell'autunno del 1833 decise di ritornare a Costantinopoli: invece il bastimento su cui era imbarcato, fatta sosta a Tunisi, non proseguì il viaggio a causa della peste. Evento occasionale che ebbe una decisiva importanza sul suo avvenire; infatti, su sollecitazione del viceconsole sardo, Giovannetti, accettò di assumersi l'incarico di istruttore delle truppe tunisine prendendo effettivo servizio all'inizio dell'anno successivo. Bene accolto al palazzo del Bardo soprattutto per merito dell'allora facente funzione di ministro degli Esteri, Giuseppe Maria Raffo di origine ligure, in un primo tempo si occupò soltanto della compilazione di progetti e di memorie riguardanti la divisata organizzazione di un esercito regolare secondo i desideri del bey Ḥusain.
Nacque in seguito l'idea della creazione di una scuola militare "sul piano di quelle d'Europa" ma con le necessarie modificazioni "esatte dal paese": il progetto fu realizzato soltanto nel 1838dopo la morte del bey Muṣṭafà sopravvenuta il 10 ott. 1837e con l'avvento al trono del bey Aḥmed. Nel frattempo il C. aveva trovato lavoro presso il Raffa curando l'educazione dei suoi figli, dirigendo non solo la costruzione di un palazzo da lui stesso progettato ma anche di due grandi fabbriche e di una palazzina nell'allora piazza della Marina. Eseguì inoltre il disegno sia della chiesa cattolica della Goletta sia del palazzo di proprietà del ricco genovese Paolo Gnecco.
La scuola politecnica militare cominciò effettivamente a funzionare nel 1840sotto la direzione del C. che, in un primo momento, ebbe alle sue dipendenze un ufficiale inglese, un ufficiale francese e tre italiani. Uno studioso musulmano collaborava per la redazione in arabo dei corsi e per la traduzione dei più importanti testi di arte militare.
Dalla scuola, frequentata da 70-80allievi appartenenti alle migliori famiglie tunisine, uscivano ogni anno circa 10 ufficiali che, secondo il pensiero del bey, avrebbero dovuto, a mano a mano, costituire il tessuto connettivo di una nuova classe dirigente educata all'europea.
Scoppiata la prima guerra d'indipendenza, il C. tentò una volta ancora di essere inquadrato nell'esercito piemontese in quanto Carlo Alberto, nella seconda fase della campagna, lo aveva già destinato, col grado di colonnello, a capo dello Stato Maggiore della divisione lombarda. Nel 1850, da Vittorio Emanuele II, fu decorato della croce di cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro.
Col crollo degli ambiziosi disegni riformatori e innovatori del bey Aḥmed, colpito anche nel fisico, l'astro del C. cominciò a declinare: nel maggio del 1853 - raggiunto il grado di colonnello nell'esercito tunisino - fu sostituito nella direzione della scuola dal capitano francese Camperion, non isolato episodio che testimonia dell'ormai prevalente ingerenza della Francia negli affari interni della Reggenza.
Prima di rientrare definitivamente in patria, cercò di ottenere una pensione e una specie di buona uscita a titolo di compenso per le lezioni impartite al notabile e, poi, primo ministro Muṣṭafà Khasradar, ma nella soddisfazione di tale richiesta ebbe contro anche il console generale di Sardegna, Alloat.
Il C. rimpatriò definitivamente nel 1861: da Michele Amari, ministro della Pubblica Istruzione, fu nominato professore straordinario di arabo volgare presso la università di Torino. Con tale incarico si adoperò attivamente, fino alla morte, per la diffusione, in Italia, degli studi orientalistici e per quelli di lingua araba, convinto che sarebbe stato necessario "creare in tutte le scuole tecniche una cattedra di elementi di lingue orientali".
A Torino riuscì anche a mettere su una tipografia con caratteri arabi per poter dar vita a una rivista in arabo sussidiata dal governo. Agli studi unì la passione per i cavalli delle cui razze pregiate curò la selezione.
Si spense a Barbania il 9 ag. 1870.
Gli scritti più importanti del C. sono: Mie memorie e miei scritti, manoscritto inedito e in buona parte deteriorato esistente in Barbania presso i suoi discendenti signora Margherita Calligaris in Furlanetto e Luigi Calligaris; Le compagnon de tous ou le dictionnaire polyglotte, I-III, Turin 1864-1870; Histoire de l'empereur Napoléon I, Paris 1856; Discorso d'apertura del 2º corso di lingua araba nella R. Università di Torino, Torino 1865; Il Nuovo Erpenio ossia corso teorico pratico di lingua araba nel quale con metodo affatto nuovo, facile e progressivo ai principi correttamente scritti si aggiungono le pratiche della lingua parlata dalla gente colta nelle varie regioni dell'Asia e dell'Africa, Torino 1867.
Fonti e Bibl.: C. Monchicourt, Doc. histor. sur la Tunisie - Relations inédites de Nyssen, Filippi et C. (1788, 1829, 1834), Paris 1929; P. Marty, Histoire de la mission militaire française en Tunisie (1827-1882), in Revue tunisienne, XLI (1935), n. 22, pp. 171-207; n. 23-24, p. 300; E. de Leone, La colonizzazione dell'Africa del Nord, I (Algeria e Tunisia), Padova 1957, pp. 204-241 passim, 386; I. Ganlage, Les origines du protectorat français en Tunisie, Paris 1959, p. 776; E. de Leone, L'Impero ottomano nel primo periodo delle riforme (tanzimāt) secondo fonti italiane, Milano 1967, pp. 14, 16, 52, 58, 85, 89 s.