BUONAMICI, Luigi
Nacque a Firenze nel 1842. Dopo aver studiato nel collegio e liceo di Lucca, frequentò a Firenze l'istituto tecnico e la sezione di architettura dell'Accademia di belle arti, dove ebbe per professori E. De Fabris e V. Micheli. Vinse nel 1864 il "primo premio con merito" al concorso annuale d'architettura dell'accademia (confronta Arch. dell'Accad. delle arti del disegno, inserto n. 36, filza anno 1864); terminati gli studi, fu ammesso al Collegio degli architetti ed ingegneri di Firenze (21 genn. 1877). In questo e nell'anno successivo è nominato negli atti come ingegnere con studio in via della Colonna n. 7, in seguito (1881) in viale Principe Amedeo 28, successivamente (1897-98) in via Ghibellina 73, ed infine in via Pico della Mirandola in "un proprio villino da lui fabbricato" (De Gubernatis).
Nella sua qualità di ingegnere capo dell'ufficio tecnico della società inglese di costruzioni Florence Land and Public Works Co. limited, che parte preminente e privilegiata ebbe nei lavori di ampliamento della città dopo il trasferimento a Firenze della capitale del Regno, continuati anche successivamente al definitivo spostamento a Roma, il B. curò la realizzazione di molte iniziative edilizie sotto la direzione dell'architetto Enrico Guidotti, fra cui le fabbriche di piazza Cavour (oggi Libertà) e quelle edificate nel viale Regina Margherita (oggi Lavagnini) ricavato al posto delle distrutte mura fra la Fortezza da Basso e la porta S. Gallo. Sempre sotto la direzione del Guidotti, il B. prestò gratuitamente la propria opera professionale nella progettazione e direzione dei lavori delle case dei poveri che un comitato di benemeriti fiorentini (la Società Edificatrice), del quale egli faceva parte, realizzò a Firenze sul viale della Fortezza da Basso, in via Mattonaia e nel rione di S. Gallo.
È una delle sue prime opere il "restauro" della facciata della casa Peyron (attuale sede della Standa), in via Panzani a Firenze, nella quale dava vita a un corpo di fabbrica commerciale a loggia, nello spirito neorinascimentale che in quegli stessi anni il Poggi sperimentava nella loggia del piazzale. Un più modesto lavoro per la stessa famiglia Peyron è il "restauro" della loro casa in piazza Indipendenza n. 13, dove il B. unificò due case preesistenti.
L'opera si attiene alle norme di unificazione edilizia dei fabbricati sulla nuova piazza, tutti a cinque assi: in essa l'organizzazione della facciata si fonda sul largo impiego del bugnato (in deciso rilievo per tutto il piano terreno, graffito sugli alti livelli abitativi soprastanti) ed è coronata da un tetto aggettante a larga falda con il compito di ridimensionarne l'evidente fuori scala. Il vestibolo centrale, inteso come passaggio delle carrozze che immette nel cortile retrostante (sul quale si attestano i servizi in un corpo di fabbrica indipendente), è pensato come il fulcro rappresentativo dell'insieme e come momento di maggiore emergenza linguistica: la presenza di nicchie laterali in stucco con statue si affianca a singolari reminiscenze neoegizie nella sagomatura dell'ordine.
È pure opera del B. il palazzo Grocco, ora di proprietà dell'Istituto di previdenza sociale, costruito sull'angolo fra via dei Pecori e via Vecchietti, un grosso edificio di sostituzione, del quale si conosce la data di approvazione del progetto (12 ott. 1894).
Esso si configura sostanzialmente come un macroscopico immobile speculativo composto di 4 piani fuori terra: qui l'adozione di ampie finestrature con convenzionali riquadri e archivolti di fiacca tradizione michelangiolesca non riesce a mascherare un superficiale ed affrettato iter progettuale (come testimonia il fronte retrostante su via dei Boni privo di ogni sia pure estrinseco tentativo di caratterizzazione). L'edificio è oggi molto rimaneggiato nel suo interno e nelle scale (con ingresso da via Vecchietti n. 13): solo la presenza di una nicchia caposcala con un bel vaso neoclassico ci dà un'idea della caratterizzazione dell'arredo.
Ma l'opera di maggiore impegno del B. resta comunque l'edificio commerciale, attuale sede dell'Upim, che è in piazza della Repubblica, "da secolare squallore e nuova vita restituita" con il piano di sostituzione del 1896. Questo macroscopico blocco quadrato, nel quale si colgono scoperti echi dei modelli degli edifici commerciali americani realizzati solo pochi anni prima dagli architetti della scuola di Chicago, rappresenta una sorta di edificio soprastorico nel quale si mescolano disinvoltamente le più disparate memorie rinascimentali.
Su un doppio ordine (piano terreno integralmente a vetrine arcuate e mezzanino scandito da finestrini abbinati ad archivolto di tradizione richardsoniana) si impostano due dilatati livelli di uffici ed un attico, concluso da un ampio cornicione che ricorda vagamente quello di palazzo Strozzi. Le emergenti sfinestrature, condotte nel solco della tradizione neocinquecentesca, sono impaginate in un rigoroso ed elegante scheletro di paraste e di cornici marcapiano impostato sul modello dell'albertiano palazzo Rucellai a ordini differenziati (dorico con roselline il primo piano, ionico il secondo), mentre la fascia soprastante che realizza la saldatura col cornicione è condotta sulla memoria di una tradizione vasariana portata a commistione con la stimolante prassi sullivaniana. Non è da escludersi peraltro anche un diretto ascendente di G. De Angelis e della sua Rinascente romana, realizzata proprio in quegli anni, anche per le caratteristiche dell'impianto distributivo, in entrambi i casi su pianta quadrata. L'effetto risultante, come si comprende bene, è una ingenua e fragile commistione eclettica di stili storici, riassunti e rielaborati estrinsecamente più che realmente assimilati: i due fronti identici, sulla piazza e sulla via Speziali, costituiscono in definitiva due quinte autonome rispetto alla singolarità funzionale del tema (e si noterà che nei riquadri delle vetrine a piano terra compaiono degli intrecciati arabeschi con draghi fiammeggianti che, in clamorosa dissonanza con il rigore dell'assemblaggio stilistico del resto, denunziano nel B. già una timida e irriflessa adesione alle tematiche liberty).
Il B. progettò e realizzò, oltre al villino (perduto) di via Pico della Mirandola, nel quale egli ebbe lo studio, "gli eleganti e comodi villini Perkenstein e Talleyrand sul lungarno" (De Gubernatis), oggi non facilmente identificabili. Egli ha al suo attivo molti progetti e realizzazioni di costruzioni ferroviarie e stradali nonché di numerosi ponti e stazioni. L'ultima sua opera documentabile è il restauro dell'Arciconfraternita della Misericordia in piazza del Duomo (1910).
Il B. morì a Firenze il 6 genn. 1916.
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio dell'Accademia delle Arti del Disegno, filza anno 1864; Ibid., Archivio storico dell'ufficio tecnico del comune, anni 1894-1895; Bollettino del Collegio Architetti e Ingegneri di Firenze, 1878, 1881, 1897 ss.; A. De Gubernatis, Dizionario degli artisti italiani viventi, Firenze 1889, p. 78.