BIONDI, Luigi
Nacque a Roma il 21 sett. 1776 da Lanno, avvocato, e da Girolama Squarti; la famiglia era oriunda di Montalto delle Marche. Fu avviato agli studi letterari presso i gesuiti del Collegio romano e dell'Università Gregoriana, dove ebbe professore, tra gli altri, R. Cunich. In un non duraturo entusiasmo per gli studi scientifici, come membro dei rinnovati Lincei, lesse dissertazioni di meccanica idraulica.
Le difficoltà economiche in cui si trovò alla morte del padre lo spinsero a intraprendere gli studi e l'attività legale che mai gli piacquero e dai quali lo distraevano lo studio delle antichità romane e della poesia. Si accostò (1798) a mons. A. Tassoni, prelato della corte romana, che lo prese prima come aiutante di studio e poi (1807) come assistente in tribunale nelle cause rotali; quando Pio VII fu sbalzato dal trono (1809) il B. fu giudice d'appello nella nuova Corte imperiale (incarico che mantenne anche nell'interregno mentre Murat occupava lo Stato pontificio); nel 1814 ebbe l'incarico di ispettore delle biblioteche di Roma e di quelle del dipartimento del Tevere. Alla Restaurazione riprese il suo posto accanto al Tassoni senza dover minimamente scontare l'acquiescenza al passato regime (una sua ode, dedicata a Murat nel 1814, fu ristampata nel 1847, coi necessari mutamenti, per Pio IX; nel 1815 scrisse due canti per la pace data all'Europa da Alessandro di Russia).
In tutto questo periodo il lavoro e l'attività pubblica non impedirono al B. di coltivar la poesia: membro di varie accademie, tra cui la Tiberina e la Rubiconia, lo vediamo partecipare alle adunanze arcadiche con poesie per lo più estemporanee (sappiamo di un'ode a Maria Addolorata, di un poema epico Alessandro, dei volgarizzamenti di Calpurnio e Nemesiano) di cui egli stesso si mostrava insoddisfatto, ma che contribuivano a farlo conoscere negli ambienti letterari. I suoi elogiatori gli rimprovereranno una certa indulgenza per il "cattivo gusto romantico", che si era infiltrato pure in Arcadia, e il B. stesso narrerà di essersene liberato in tempo, ricordando i consigli del suo maestro Pietro Pasqualoni - classicista e traduttore di Eschilo - che lo esortava a leggere i trecentisti, ma soprattutto per la positiva influenza che sempre esercitò su di lui Giulio Perticari, suo amico e compagno: insieme col Perticari e col Di Negro, gentiluomo e letterato genovese, il B. compose un poemetto in ottave sull'Aurora.Un consapevole e maturo erigersi del B. a restauratore dei valori classici avvenne solamente dopo il ritorno a Roma del Perticari (1818), quando un altro importante mutamento si era determinato nella sua esistenza: Marianna di Savoia, duchessa di Chiabiese e sorella di Carlo Felice (che già dal 1802 aveva conosciuto il B. e si era valsa dei suoi consigli legali), lo volle presso di sé come "maggiordomo", soprintendente generale e amministratore del suo patrimonio, incarico che egli tenne dapprima insieme con quello presso mons. Tassoni e che poi, alla morte di questo (1818), gli permise di lasciar per sempre l'attività legale per dedicarsi a una piacevole esistenza di letterato e studioso.
Dal 1817 al 1823 il B. guidò gli scavi che la duchessa fece eseguire nella sua tenuta di Tormaranci; era stato tra i soci ordinari della Pontificia Accademia di archeologia fin dal suo rinnovarsi nel 1810: nel primo volume degli Atti si pubblicarono sue dissertazioni; lì discusse ed espose le Nozze aldobrandine (Lettere sull'antica celebre pittura... delle nozze aldobrandine, Roma 1815), invogliando Pio VII ad arricchirne i Musei Vaticani; pubblicò e illustrò, tra l'altro, le iscrizioni nomentane e le sculture di Tor Sapienza (1819).
Nel 1819 col Perticari, il Betti, il Tambroni e l'Odescalchi il B. fu tra i fondatori del Giornale arcadico, che intendeva opporsi al Romanticismo e sostenere il "buon gusto" letterario ritornando allo studio dei classici. Vi contribuì soprattutto con articoli sulla Divina Commedia, affrontando interpretazioni di singoli passi e questioni linguistiche: i suoi studi su Dante, ai quali era stato invogliato dal Monti e dal Perticari, furono apprezzati a utilizzati anche da A. Cesari (Bellezze della Commedia di Dante Alighieri, Verona 1824-26) e da P. Costa (La Divina Commedia... con brevi note di P. C., Bologna 1826-1827).
La collaborazione del B. al Giornale arcadico durò per tutta la vita, non interrotta né dalla morte del Perticari (1822) - da lui amaramente pianto nella cantica in cui rievoca la calda amicizia e la comunanza di gusti che li univano - né dalle altre molteplici attività intraprese.
Per incarico della duchessa di Chiablese il B. dovette compiere viaggi a Napoli, Firenze, Genova. Il 3 maggio 1823 seguì a Torino la sua protettrice: alla corte di Carlo Felice fu conosciuto e apprezzato da tutti per indole, cultura e fama crescente. Dopo la morte della duchessa (11 ott. 1824), tornò a Roma (1825) come esecutore delle sue volontà: curò la sistemazione dei reperti archeologici di Tormaranci e li illustrò con uno studio (I monumenti amaranziani, Roma 1843); proseguì i già iniziati scavi tuscolani alla Rufinella a spese e per incarico di Carlo Felice prima, della regina vedova Maria Cristina poi. L'ultimo periodo della sua vita trascorse in una felice operosità rallegrata da lodi e richieste di consigli da parte di giovani poeti nonché da onorificenze che gli provenivano da ogni parte.
Carlo Felice lo fece conte, Carlo Alberto commendatore dell'Ordine mauriziano, Leone XII lo nominò marchese di Badino, il magistrato di Roma lo iscrisse tra i patrizi; soprintese a Roma, per conto del re di Sardegna, agli studi artistici dei borsisti piemontesi; fu membro di numerose accademie: dal 1833 presidente della Pontificia Accademia romana di archeologia, alla quale volle far riprender l'uso, instaurato da Pomponio Leto, di festeggiare il natale di Roma.
In questi anni troviamo il B. preso dalle cure e dai lavori accademici, illustratore di reperti archeologici, promotore di nuovi scavi, partecipe alle cerimonie che Accademia di S. Luca e Accademia d'archeologia riunite fecero per il ritrovamento delle spoglie di Raffaello (1833).
Fu collaboratore, tra l'altro, dell'Ape italiana delle Belle Arti del Melchiorri, nelle cui tre prime annate (1835-37) comparvero otto suoi articoli a illustrazione di opere figurative di gusto neoclassico.
L'attività pubblica non fece trascurare al B. l'opera di poeta e volgarizzatore. Vanno ricordati, più che altro per le lodi dei contemporanei, gli Scherzi anacreontici (1836) in cui diede prova di una vena facile e melodica, aggraziata anche se poco brillante, e la meno felice tragedia Dante in Ravenna (composta nel 1826 per consolarsi della morte della madre e stampata solo nel 1837): in una cornice strettamente fedele alle regole classiche (e di cui il B. si vanta) si muovono personaggi flebili e sentimentali; anche i suoi ammiratori non poterono fare a meno di criticare la sua mancanza di nerbo drammatico.
Più elogiata fu la sua opera di volgarizzatore: di Sannazzaro (1823), delle Georgiche (1832), che furono apprezzate dal Leopardi per la "maestria dello stile", di Tibullo (1837), di egloghe virgiliane e petrarchesche (uscite postume nel 1841): traduzioni letteralmente corrette, ma senza fedeltà espressiva e monotone.
Merita di esser ricordata anche la sua opera di erudito, editore e commentatore di antichi testi: Le dicerie di ser Filippo Ceffi (1825) trascritte, con l'aiuto di S. Betti e P. Odescalchi, da un codice vaticano e corredate da un ampio studio storico, codicologico e linguistico; Intorno alcune poesie di Raimbaldo da Vaquerasso (pubblicato postumo nel 1840), in cui, sull'esempio del Perticari, il B. si accostò con interesse agli studi romanzi del Raynouard, dall'edizione del quale tradusse alcune poesie del trovatore provenzale arricchendole di note erudite, storiche e filologiche.
Il B. morì il 3 settembre 1839 a Roma.
Lettere del B. sono conservate tra le carte Betti del fondo Autografi della Bibl. Naz. Centrale di Roma.
Fonti e Bibl.: Giorn. Arcadico, LIV (1832), pp. 156-175; LXVIII (1836), pp. 294-306; LXXVI (1838), pp. 111-120; LXXX (1839), pp. 257-259; LXXXIII (1840), pp. 263-293; V. Monti,Epistolario…, a cura di A. Bertoldi, Firenze 1928-1931, I, p. 107; IV, pp. 243, 309, 363, 382; V, pp. 185, 385-386, 394, 426, 450, 456, 471, 473, 479, 493, 533-534; VI, pp. 16, 35-38, 89, 92, 106, 187; G. Leopardi,Epistolario…, a cura di F. Moroncini, VI, Firenze 1940, p. 201; G. G. Belli,La compagnia de Santi-Petti, a cura di G. Vigolo, II, Milano 1952, n. 1235, pp. 1687-89; A. Stefanucci Ala,Elogio biogr. del marchese L. B..., Roma 1839; Per la solenne dedicaz. del busto di L. B. nella villetta Di Negro il dì 28 luglio 1840, Genova s.d. [ma 1840] (elogi di P. Giordani e L. Costa); P. E. Visconti,Orazione funebre detta nella chiesa dell'Archiginnasio... in occasione delle solenni esequie fatte... al marchese commendatore L. B., Roma 1840; S. Betti,Alcune notizie intorno alla vita del marchese L. B., in Egloghe di Virgilio,di Calturnio,di Nemesiano…, Roma 1841, pp. I-VIII; E. Cagnacci,Scritti,scrittori ed uomini celebri della provincia di Grosseto, I, Grosseto 1874, p. 39; G. Carducci,Commemoraz. di S. Betti [1882], in Ediz. naz. delle opere, serie 2, XIX, Bologna 1937, p. 328; A. Righetti,IlGiornale Arcadico, 1819-1856. Studio letterario con inediti, Roma 1911, pp. 16, 20, 27, 29-31; 34-35, 37, 45-46, 48, 56-61, 81, 89, 97, 102, 106, 115-117, 119; G. Gervasoni, Di una importante riv. del secolo scorso, in Nuova Antologia, 16 genn. 1929, pp. 235-250; G. Mazzoni,L'Ottocento, Milano 1964,passim; Discussioni e polemiche sul Romanticismo, a cura di E. Bellorini, Bari 1943, II, p. 494; E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri…, Venezia 1840, VII, pp. 410-416; F. Ranalli,Vite di uomini illustri romani dal risorgimento della letteratura italiana, Firenze 1840, pp. 40-47.