ROSSINI, Luigi Biagio
– Unico sopravvissuto di otto figli, nacque a Ravenna il 15 dicembre 1790 da Giovanni Maria, umile artigiano con tendenze politiche giacobine, appartenente alla stessa famiglia del musicista Gioachino Rossini, e da Cristina de’ Benedetti, entrambi originari di Lugo di Romagna (Panarotto, 1990, p. 107). Dalle note autobiografiche di Rossini, scritte nel 1830 sotto impulso di Carlo Emanuele Muzzarelli, si apprende che all’età di sedici anni il padre, benché privo di mezzi, lo fece studiare presso alcuni maestri ravennati piuttosto mediocri di cui s’ignora l’identità (Muzzarelli, 1853, p. 305).
Lo stesso Rossini racconta che l’anno successivo, nel 1807, all’insaputa dei genitori, prese la decisione di trasferirsi a Bologna per approfondire gli studi all’Accademia Clementina, ivi recandosi in un giorno e mezzo a piedi, e restando colpito dalle prospettive scenografiche dei vestiboli delle case patrizie. Deciso a stabilirvisi, si recò dal celebre incisore Francesco Rosaspina, conosciuto a Ravenna prima del suo trasferimento, per farsi raccomandare a qualche pittore come garzone. Il maestro lo introdusse ad Antonio Basoli ornatista, scenografo e decoratore eclettico, da cui Rossini apprese molto rapidamente le prime nozioni, avviandosi al mestiere di quadraturista. Secondo Furio Fasolo (1955) a questa prima formazione appartengono un gruppo di schizzi e disegni architettonici e scenografici (di proprietà Ravegnani) oltre a centoni scolastici quasi certamente eseguiti durante i corsi all’Accademia di belle arti, dove Rossini entrò nel 1808 incoraggiato da Rosaspina. Qui egli seguì i corsi di ornato impartiti da Basoli e da Leandro Marconi, quelli di architettura tenuti da Giovanni Antonio Antolini e da Carlo Aspari, e quelli di prospettiva diretti da Francesco Santini. Contestualmente, frequentò l’università, dove apprese l’italiano e l’algebra (Forlì, Biblioteca comunale [BCF], Raccolte Piancastelli, Carte Romagna, scat. 416, cc. 106-109), e non mancò tutte le sere di seguire le lezioni di disegno presso la scuola privata serale che Rosaspina aveva istituito, le cosiddette conversazioni iemali. La solida formazione così ricevuta e la sua determinazione gli permisero di aggiudicarsi due premi a chiusura del secondo anno di Accademia: il Piccolo premio Curlandese per la scuola di architettura, con un’opera d’invenzione, Casino in un bosco, e quello di seconda classe in ornato unitamente alla medaglia d’oro, entrambi ricevuti il 28 giugno 1810. Tuttavia, durante la permanenza bolognese Rossini fu costretto a lavorare per procacciare da vivere per sé e per i suoi genitori. In seguito alla malattia di Basoli, Rosaspina lo mandò dal pittore di prospettive e decoratore Luigi Cini, con il quale rimase per tre anni, e poi dall’architetto bolognese Radi, presso il quale eseguì la decorazione di un appartamento da lui restaurato.
Due certificati rilasciati dal podestà di Ravenna attestano che nel 1811 Rossini fu dispensato dall’obbligo di leva militare presso il IV Distretto di Ravenna poiché studente frequentante l’Accademia di Bologna (BCF, Racc. Piancastelli, Carte Romagna, scat. 416, cc. 100-101). Incoraggiato dai professori e dai buoni risultati ottenuti, nei due anni che seguirono Rossini si apprestò a concorrere per il pensionato di Roma nella sezione architettura per il quadriennio 1814-17, riuscendo a ottenere il primo posto a ottobre del 1813 con pieno riconoscimento, assieme a Michele Sangiorgi per la pittura e al suo amico Adamo Tadolini per la scultura. Dopo aver rischiato la vita a causa di una grave e lunga malattia, nella primavera del 1814 si recò a Roma in compagnia di Tadolini, prendendo alloggio in palazzo Venezia, dove seguì anche la scuola di disegno all’Accademia di S. Luca. Egli stesso racconta di essersi applicato allo studio e alla misurazione del tempio di Giove Statore e delle colonne del tempio di Pallade (BCF, Racc. Piancastelli, Carte Romagna, scat. 416, c. 111), di cui dette prova in sei tavole inviate come saggio all’Accademia bolognese riscuotendo larghi consensi. Ma la caduta del governo napoleonico e la conseguente fine del Regno italico lasciarono Rossini in estreme difficoltà per il mancato pagamento della pensione, durato sette mesi. E le difficoltà furono aggravate dalla morte del padre alla fine dell’estate del 1814, dal successivo trasferimento della madre a Roma presso di lui e dall’obbligo di lasciare la residenza di palazzo Venezia, divenuta sede del governo austriaco, tanto che egli fu costretto a vendere la casa paterna di Ravenna per cercarsi una piccola casa in affitto che trovò in via della Consulta, n. 13 (L. R. incisore…, 1982, p. 10). Malgrado ciò, tra il 1814 e il 1815 Rossini riuscì a dedicarsi al disegno e al rilievo dalle antiche rovine e di motivi prospettici tratti dall’osservazione del vero, come testimonia l’album Roma 1815 conservato nelle Raccolte Piancastelli (Carte Romagna, scat. 416, n. 170).
Grazie all’interessamento di Antonio Canova, ispettore generale delle belle arti e presidente dell’Accademia di S. Luca, nell’ottobre di quell’anno fu ripreso il pagamento delle pensioni, e il 1816 fu per Rossini un anno proficuo, nonostante la morte dell’amata madre a sessant’anni, avvenuta il 14 giugno (BCF, Racc. Piancastelli, Carte Romagna, scat. 416, cc. 144-149): egli vinse il concorso annuale istituito da Canova per gli alunni dell’Accademia con tre progetti architettonici, una Pubblica pescaria, un Bagno e un Casino di campagna, descritti nel resoconto di Raffaele Stern, che fece parte del giurì assieme a Giuseppe Camporese. Come decoratore ricevette varie commissioni di cui si è perduta traccia: dal ministro d’Austria Ludwig von Lebzeltern in palazzo Venezia per gli affreschi del suo gabinetto, dal conte marchigiano Luigi Marconi per conto del quale eseguì durante l’estate il progetto e la decorazione della sala cosiddetta a colonne nel palazzo di Frascati, dove ornò il soffitto con la collaborazione di Francesco Hayez e sistemò la loggia e il padiglione, questi ultimi noti solo dai disegni di Angelo Uggeri. A novembre dello stesso 1816 Rossini lavorò agli affreschi della sala da ballo del palazzo Simonetti in via del Corso (già Boncompagni-Ludovisi, oggi del Banco di Roma) e ad alcune scenografie per il teatro Argentina, del duca Salvatore Cesarini (BCF, Racc. Piancastelli, Carte Romagna, scat. 416, c. 143). Quando più tardi Canova intraprese la ricostruzione del tempio di Possagno, Rossini fu affiancato a Pietro Bosio come disegnatore del progetto. In effetti, egli aveva già eseguito (1816) anche la progettazione di un tempietto rotondo nella villa del banchiere Silvestri ad Ancona, attualmente ridotto a rudere, una delle sue rare realizzazioni architettoniche, la cui documentazione si conserva nelle Raccolte Piancastelli (Panarotto, 1990, p. 109). Nel 1817, a seguito della conclusione del pensionato per cui presentò come prova finale i disegni di un Progetto per un tempio cristiano, Rossini si trasferì in palazzo Trulli in via delle Quattro Fontane, n. 49.
Gli studiosi non sono concordi sull’esatta data d’inizio dell’attività incisoria di Rossini, che collocano tra il 1815 (Rossini, 1823-1826, 1943, p. 18) e il 1817-18 (Tambroni, 1819, p. 302): una lettera inviata da Firenze il 30 ottobre 1815 da parte della ditta Morelli e Giuntini, riguardante la spedizione di una cassetta di «tavole di rame» (BCF, Racc. Piancastelli, Carte Romagna, scat. 416, c. 113), prova che già a quest’epoca il giovane ravennate volesse intraprendere un progetto d’incisione, incoraggiato anche dall’amicizia e dalla stima di Vincenzo Camuccini, che ebbe modo di conoscere a settembre di quell’anno per tramite di Antolini. Lui stesso racconta che, non vedendo a Roma alcuno sbocco come architetto, nell’arco di tre mesi d’intensa applicazione e studio del procedimento all’acquaforte riuscì a «trovare una sua maniera d’incidere che abbastanza lo soddisfece» (Mordani, 1865, p. 12), tenendo a modello le stampe di Giambattista Piranesi, a suo dire nume tutelare e riferimento assoluto (nell’atelier ne possedeva un busto, probabilmente realizzato dall’amico Tadolini: Ossanna Cavadini, 2014, p. 38). Il primo lavoro, Prospettive di Roma, fu inciso a contorno e colorato alla maniera delle fortunate Vedute di Roma e dei suoi dintorni (1780) di Giovanni Volpato e Abraham Louis Ducros (Fiorani, 1990), e fu pubblicato utilizzando il nome del padre, Giovanni Rossini, espediente che gli avrebbe evitato un eventuale danno d’immagine agli esordi della sua carriera (Ossanna Cavadini, 2014, p. 40).
Ma la sua prima opera di una certa rilevanza, da lui mai menzionata nelle sue note autobiografiche, è il Frontespizio delle Antichità di Roma divise in 40 vedute disegnate dal vero dall’architetto Luigi Rossini e da esso incise nel 1817, ripubblicato con successo nel 1818-1819 con l’aggiunta di dieci tavole sotto il titolo: Raccolta di cinquanta principali vedute di Antichità, tratte dai scavi fatti in Roma in questi ultimi tempi, disegnati e incisi all’acqua forte da Luigi Rossini architetto. Subito lodata da Giuseppe Tambroni (1819), la Raccolta s’impose all’attenzione anche del pubblico straniero del grand tour per la presenza inconsueta della tavola con la Veduta dello scavo della Colonna di Foca, che documentava la scoperta effettuata dal giovane architetto Pietro Bianchi nella zona del Foro Traiano il 13 marzo 1813. Tale combinazione di eventi ha condotto all’ipotesi di una stretta intesa tra i due giovani architetti (Ossanna Cavadini, 2014, pp. 34-36): in linea con Giuseppe Valadier, Giuseppe Camporese, Antonio Canova e Bertel Thorvaldsen, essi portarono avanti nel dibattito scientifico della nascente archeologia la nuova prassi della conoscenza e documentazione del monumento mediante il dato oggettivo del disegno e del rilievo confrontato con le fonti scritte, al fine di migliorare la tutela e il 'restauro' del patrimonio architettonico.
I guadagni ottenuti furono subito reinvestiti in un progetto ancora più imponente che, nel titolo, riecheggiava il riferimento piranesiano, ma che si sviluppava con intenti di documentazione «storico-antiquariale» (Pirazzoli, 1990, p. 92): Le Antichità romane, divise in cento tavole, disegnate ed incise da Luigi Rossini architetto ravennate. Roma. Scudellari [o presso l’autore]. Realizzata in centouno tavole dal 1819 al 1823 (e poi ripubblicata nel 1824-1826 e 1829), la raccolta andò a costituire il primo degli undici tomi che Rossini diede alle stampe nell’arco della sua vita artistica. Essa, inoltre, sancì la proficua collaborazione con Bartolomeo Pinelli – iniziata nel 1817 forse grazie all’intermediazione dell’editore e negoziante di stampe Giovanni Scudellari e terminata nel 1834 con la morte di Pinelli –, nell’animazione delle vedute con le sue celebri figurine folkloristiche a puro contorno, in alcuni casi incise direttamente sulla lastra (Fusco, 2014, p. 52). L’immediato successo dell’impresa soprattutto tra i visitatori del grand tour (favorito anche dall’assenza delle lastre piranesiane, partite a Parigi nel 1799 a seguito dell’esilio dei figli Francesco e Pietro) pose Rossini in una condizione di supremazia e agiatezza economica che gli permise di compiere una serie di scelte professionali e familiari importanti. L’8 agosto 1822 acquistò dalla vedova di Giuseppe Regis, per 2250 scudi, il palazzo in via Felice nn. 138-139, che divenne da subito anche sede del suo atelier d’incisione e negozio di vendita; qualche anno dopo (1827) comprò anche un altro immobile in via della Vetrina. Il 7 gennaio 1823 – e non il 18 agosto 1822 come egli riporta, data da riferirsi invece alla promessa di matrimonio (Galieti, 1982, p. 182) – sposò Francesca Mazzoni, figlia di uno speziale di Genzano. Da lei ebbe sei figli: Alessandro, architetto e ispettore dei monumenti antichi, morto per un incidente a ventotto anni; Cristina, sposata a ventiquattro anni nel 1846 con Franz von Rohden, figlio del paesaggista Johann Martin e pittore nazareno allievo di Johann Friedrich Overbeck, da cui ebbe quattro figli; Michelina, andata in sposa ad Antonio Grazioli (di entrambe si conoscono i ritratti eseguiti da Franz von Rohden: G. Capitelli, Johann Martin von Rohden and his Nazarene circle. Watercolours, preparatory drawings and figure studies, Roma 2016, pp. 92 s.); Filippo, anch’egli pittore, allievo di Tommaso Minardi (E. Ovidi, Tommaso Minardi e la sua scuola, Roma 1902, p. 137); Narsete, spedizioniere apostolico, che sposò Lucia Spadoni; Teofilo, architetto, che si occupò dell’atelier del padre smembrandolo agli inizi del Novecento e si unì a Vittoria Bienaimé di Carrara (Rossini, 1823-1826, 1943, p. 12), probabile figlia dello scultore Luigi Bienaimé.
Negli anni che seguirono, l’attività lavorativa di Rossini entrò a pieno regime, disegnando e incidendo tre lastre al mese e pubblicando senza interruzione le nuove raccolte, incontrando largo consenso nella committenza della colonia inglese, come i coniugi Bradshaw di Londra, Thomas Wilkinson, Henry Thompson (Ossanna Cavadini, 2014, p. 44). Tra il 1823 e il 1826 l’architetto ravennate eseguì Le antichità dei contorni di Roma, ossia le più famose città del Lazio (t. 2, 73 tavv.), corredate per la prima volta da un 'discorso preliminare' ai lettori e da una spiegazione delle tavole, mentre nel 1829 diede alle stampe I sette colli di Roma antica e moderna (t. 3, 33 tavv.) e Le porte antiche e moderne del recinto di Roma (t. 4, 35 tavv.), queste ultime oggetto di studio negli anni precedenti con la realizzazione di analitici disegni acquerellati realizzati dal vero, da cui furono tratte le incisioni. Lo stesso metodo fu applicato anche a Le antichità di Pompei delineate sulle scoperte fatte sino a tutto l’anno 1830 (t. 5, 75 tavv.), eseguite e pubblicate tra il 1826 e il 1831 con l’intento di documentare il punto cui era giunto lo scavo al momento della pubblicazione. Nello stesso torno d’anni furono date alle stampe altre due raccolte: nel 1828-1830 i Monumenti più interessanti di Roma (t. 7, 55 tavv.), opera ‘aumentata’ con l’uso di controstampe acquerellate a tratto, ricavate da precedenti incisioni, atte ad acquisire la traccia grafica per le matrici da reincidere nelle successive edizioni (Scaloni, 2014, p. 70), mentre nel 1836 uscirono Gli archi trionfali onorarii e funebri degli antichi Romani sparsi per tutta Italia (t. 6, 73 tavv.), opera dedicata al marchese Luigi Biondi, erudito poeta e presidente della Pontificia Accademia romana di archeologia, dalla quale Rossini avrebbe ricevuto la nomina di socio onorario nel 1852.
Il raggiunto livello di celebrità fu accompagnato da diverse nomine degli istituti italiani più prestigiosi: Rossini divenne socio dell’Istituto di corrispondenza archeologica (1835); accademico di merito (1837) e poi residente (1847) nella classe di architettura dell’Accademia di S. Luca; membro dell’Accademia provinciale di belle arti di Ravenna (1839) e professore estero della Reale Accademia di Torino (1842). Inserendosi nel filone della tradizione dei viaggi illustrati avviata con successo nel 1789 da Carlo Labruzzi, che divenne sua fonte d’ispirazione, nel 1839 pubblicò il Viaggio pittoresco da Roma a Napoli (t. 8, 80 tavv.) dedicandolo al suo amico di origini pesaresi della prima ora, Salvatore Betti, dal 1831 segretario perpetuo dell’Accademia di S. Luca. A questa raccolta si riferisce un nucleo di ventinove disegni del Fondo Lanciani della Biblioteca di archeologia e storia dell’arte di Roma (Bernini, 2014, pp. 80-82). Nello stesso anno Rossini iniziò la stesura della Scenografia degli interni delle più belle chiese e basiliche antiche di Roma (t. 9, 30 tavv.), edita nel 1843. Nel 1850 pubblicò la sua ultima raccolta completa, Scenografia di Roma moderna (t. 10, 20 tavv.), e negli stessi mesi iniziò la pubblicazione della raccolta I principali fori di Roma antica, già annunciata nel giornale Il Saggiatore nel 1844, summa di una visione completa e più approfondita di tutti gli scavi condotti fin allora. Rossini riuscì a inciderne solo quarantatré rami, interrotto dall’apoplessia che lo colpì, lasciandolo semiparalizzato, anche a seguito dell’improvvisa perdita del figlio Alessandro il 12 novembre 1851, evento dal quale non riuscì più a risollevarsi.
Il 22 aprile 1857 Rossini morì all’età di sessantasei anni nella casa in via Felice 134, e per sua volontà fu sepolto nella cappella di S. Francesco nella chiesa dei Cappuccini di Roma. Del migliaio di rami prodotti, seicentosedici furono donati dal figlio Teofilo alla Regia Calcografia di Roma (1909-10), mentre un cospicuo fondo di disegni si conserva ancora presso gli eredi (Rossini, 2015).
Fonti e Bibl.: Forlì, Biblioteca comunale Aurelio Saffi, Raccolte Piancastelli, Carte Romagna, scatola 416.
G. Tambroni, [Incisione], in Giornale arcadico di scienze, lettere e arti, I (1819), p. 302; L. Rossini, Le città del Lazio (1823-1826), a cura di V. Pacifici, Tivoli 1943;C.E. Muzzarelli, R., L., in Biografie autografe ed inedite di illustri italiani di questo secolo, a cura di D. Diamillo Müller, Torino 1853, pp. 305-308; F. Mordani, Vita di L. R. ravennate, architetto ed incisore, Forlì 1865; F. Fasolo, Su alcuni disegni di L. R., in Il Palladio, n.s., V (1955), pp. 66-79; A. Galieti, La moglie 'genzanese' di Luigi Rossini, in Castelli Romani, XXVII (1982), pp. 181-183; L. R. incisore. Vedute di Roma (1817-1850) (catal.), a cura di P. Hoffmann - L. Cavazzi - M.E. Tittoni, Roma 1982; N. Pirazzoli, L. R. 1790-1857. Roma antica restaurata (catal.), Ravenna 1990; F. Fiorani, L. R.: l’arte e la tecnica, ibid., pp. 117-122; P. Panarotto, Luigi Rossini, la vita e le opere, ibid., pp. 107-116; A. Grelle Iusco - E. Giffi, La raccolta di matrici della Calcografia romana: aggiornamento al catalogo generale delle stampe di C.A. Petrucci, Roma 2009, pp. 446 s.; L. R., 1790-1857, incisore. Il viaggio segreto (catal., Chiasso - Roma), a cura di M.A. Fusco - N. Ossanna Cavadini, Cinisello Balsamo 2014 (in partic. N. Ossanna Cavadini, Rossini architetto e incisore: dal rilievo dell’antico alla temperie romantica, pp. 32-49; M.A. Fusco, Della veduta 'animata' anzi 'musicata'. I cugini Rossini e Bartolomeo Pinelli, pp. 50-61; G. Scaloni, Dal disegno acquerellato alla matrice: analisi di un metodo, pp. 62-75; R. Bernini, Il “Viaggio pittoresco da Roma a Napoli”, pp. 76-85); E. Debenedetti, Uggeri, Rossini e la scuola panniniana, in Ricche miniere, II (2015), 4, pp. 138-147; A. Rossini, A margine della mostra su L. R., in Strenna dei romanisti, LXXVI (2015), pp. 427-438; V. Curzi, L. R. e l’immagine di Pompei tra Settecento e Ottocento, in Pompei e l’Europa. Memoria e riuso dell’antico dal neoclassico al post-classico. Atti del Convegno internazionale, Pompei... 2015, a cura di M. Osanna et al., Milano 2016, pp. 78-83.