ANTONELLI, Luigi
Nacque a Castilenti (frazione del comune di Atri in prov. di Teramo) il 22 genn. 1882. Sin da giovane partecipò appassionatamente al generale movimento di sprovincializzazione e di modernizzazione culturale che percorreva allora varie regioni dell'Italia meridionale, e l'Abruzzo in particolare. Fondò e diresse con B. Cascella L'illustrazione abruzzese, ed entrò così in relazione con i più noti scrittori dell'epoca, fra i quali lo stesso Gabriele d'Annunzio. Frequentò l'università di Firenze, seguendovi i corsi di medicina e di lettere. Nel 1912 Si recò nell'America del Sud e si trattenne alcuni anni in Argentina, esercitando la professione di giornalista.
Cominciò a scrivere per il teatro nel igog, rivelando sin dalle prime commedie un talento vivace e originalità: di tali non comuni doti l'A. diede pochi anni dopo conferma con la commedia L'uomo che incontrò sè stesso, rappresentata per la prima volta a Milano il 23 maggio 1918, che si può dire segni l'inizio a tutto quel periodo della storia dei nostro teatro di prosa, del gruppo che fu detto degli "innovatori" (oltre all'A., M. Bontempelli, E. Cavacchioli, L. Chiarelli, P. M. Rosso di San Secondo).
Caratteristiche comuni dì tali autori furono il ripudio di tutto il vecchio amiamentario dranunatico del repertorio borghese e l'aspirazione, non sempre reahzzata, al rinnovamento dei contenuti attraverso la spregiudicata ricerca di nuove forme teatrali, inclini alla satira e all'umorismo. Tra essi l'A. si distinse, di fronté al troppo sogghignante "grottesco" di Chiarelli e al lirismo troppo trasfigurante di Rosso, per la cosciente ansia di dominare la spinta irrazionalistica e dissolvente della nuova tecnica, non isterilendosi nella polemica antiverista, ma al contrario ponendo a base delle più spericolate invenzioni sceniche l'ombra severa di una riflessione e di una moralità.
Nella turbinosa atmosfera intellettuale degli anni del primo dopoguerra, che sospinse su strade contrastanti e tutte pericolose (avviate al decadentismo) i più vivi ingegni artistici del momento, l'A. fu di tutti il più paradossale e il più fantasioso.
Negli anni 1920-1923 a Milano e 1924-1934 a Roma l'A. scrisse una quindicina di commedie, alcune delle quali decisamente farsesche (come Bernardo l'eremita, Il basso in fa, Il barone di Corbò); altre vagamente allegoriche, quali L'isola delle scimmie (rappresentata con grande successo a Praga) e La fiaba dei tre maghi; o intellettualistiche, come Il dramma, la commedia, la farsa; ma sono anche di questo periodo La casa a tre piani, La bottega dei sogni, La rosa dei venti e soprattutto La donna in vetrina, nelle quali i temi del valore delle illusioni umane, della impossibilità di evadere dalla realtà, della contraddittorietà dell'umano destino, sono lo schermo su cui l'A. proietta il senso profondo della sua accettazione della vita così com'è. È il periodo m cui l'A. è nel pieno della vita teatrale italiana, ha rapporti con i migliorì autorìe letterati del tempo, e soprattutto con Pirandello, cui lo univa la disincantata conoscenza delle cose di questo mondo e da cui lo divideva però una concezione non disperata della vìta; le maggiori compagnie recitavano le sue commedie, e gli attori che le portarono al successo si chiamavano E. Zacconi, A. Sainati, V. Talli, A. Gandusio, R. Ruggeri, E. Grammatica, D. Falconi, D. Galli, E. Merlini, L. Cirnara, S. Tofano, L. Picasso, Marta Abba, Memo Benassi.
Nel 1931, era stato intanto chiamato da Il Giornale d'Italia a sostituire F. M. Martini nella critica teatrale, che svolse con riconosciuta competenza e obiettività per oltre dieci anni.
Ma l'A. mirava più in alto, a una ricerca dell'essenzialità, nello stile e nella ispirazione, che doveva, raggiungere con una commedia che molti considerano il suo capolavoro, Il maestro, messa in scena e diretta da L. Pirandello per la compagnia di Marta Abba in Roma al teatro Argentina la sera del 18 dic. 1933, e subito accolta da caloroso successo.
Dì nuovo, come ne L'uomo che incontrò sé stesso, un uomo anziano e uno giovane (padre e figlio) e, tra loro, la stessa donna; ma in luogo della magia che non riesce ad infrangere la spietata logica della realtà, la superiore coscienza dell'uomo maturo che sa .rinunciare, generosamente, ai sogni della sua gioventù a beneficio dei giovani che hanno ormai davanti a sé la "loro" vita.
Sulla strada volta a ridare nobiltà di temi e di forme al teatro italiano proseguì ancora con Bellerofonte (modernizzazione dell'antico mito), rappresentato nel 1936, e si dedicò anche a un'attività novellistica e saggistica, finché un male inguaribile lo costrinse a ritirarsi nel suo Abruzzo, in Pescara, ove la morte lo raggiunse, sessantenne, il 21 nov. 1942.
Bibl.: G. Antonini, Il teatro contemporaneo in Italia, Milano 1927, pp. 139-150; E. Barbetti, L. A. o della fantasia, in Scenario, XII(1943); E. Contini, L. A., in Rivista italiana del teatro, VII, I (1943), pp. 193-208; S. D'Amico, Storia del Teatro drammatico, IV, Milano 1950, pp. 298, 396; Encicl. dello Spettacolo, I, coll. 706 s. (con elenco dei lavori drammatici dell'Antonelli).