lui (lei)
1.1. La distribuzione delle forme oblique del pronome maschile ‛ lui ', che, come ‛ lei ', reca chiari indizi della sua tonicità nell'uso ritmico-prosodico e nel suo frequente ricorrere in posizione fonosintattica, si distingue da quella di ‛ lei ' per la frequenza decisamente minore nella Vita Nuova (32 volte, di cui 5 con funzione di complemento oggetto o di soggetto di frase oggettiva [cfr. XXV 2 io ponga Amore essere corpo... io ponga lui essere uomo], e una di complemento di termine: XXXIII 3 dicendo io lui che per lui solo fatto l'avea) e nelle Rime (33, di cui 2 con funzione di accusativo [LXXX 25 Ma quanto vuol nasconda e guardi lui, e CIV 42], 2 di dativo [CVI 28 Vertute... / lui obedisce e lui acquista onore], e 2 con dubbio valore: LXVI 7 non ebbe poi alcun valore / di poter lui chiamar se non: " Signore... ", e CIII 53 Così vedess'io lui fender per mezzo / lo core a la crudele che 'l mio squatra!, ambedue dativi secondo Contini, ad l.). Più frequente è nel Convivio (89 attestazioni, di cui 14 con funzione di accusativo: cfr. I X 6 queste tre cose mi fecero prendere lui, cioè lo nostro volgare; XIII 4 manifesto è lui essere concorso a la mia generazione: così vivo, quindi, da essere alcuna cagione del mio essere; v. 1.3.) e ancor più nella Commedia, con 241 attestazioni di cui 95 nell'Inferno, 82 nel Purgatorio e 64 nel Paradiso. Con funzione di accusativo ritorna 38 volte; 26 con quella di dativo (per un'attestazione precedente a D., cfr. Guittone Gente noiosa e villana 126 " savendo lui, ed a llei, forte bene "), di cui 9 nel Purgatorio e nessuna nel Paradiso: quest'uso è concentrato nelle 19 occorrenze dei moduli dissi (io) lui (If VII 67 - nell'ediz. del '21, ma in Petrocchi diss'io -, XI 14, XIV 71, XV 34, XXIX 112, XXX 34, XXXIII 121 e 139, Pg VIII 58 e 121, XI 79), rispuosi (io) lui (If X 50, XV 50 e 80, XIX 89, Pg XVIII 41, XXIII 57) e rispuose lui (Pg I 52, VII 23). Della Commedia, si ricordino le frasi nominali e, onde, per ch'io a lui, che ritornano 24 volte, rispettivamente 13, 10 e una (Pd XXII 52) per cantica, sebbene in Pd VIII 94 si succedano due frasi nominali, Questo io a lui; ed elli a me: " S'io posso... "; soltanto in If III 94 E 'l duca a lui, e Pg XXII 64 Ed elli a lui.
L'uso assoluto di l. ricorre in If XXXII 105 latrando lui con li occhi in giù raccolti, e Pg XXV 49 e, giunto lui, comincia ad operare.
1.2. Di l. si osservi il rilievo espressivo nel susseguirsi di pochi versi del XVII canto del Paradiso, ove D. celebra Cangrande della Scala (vv. 76-92 Con lui vedrai colui che 'mpresso fue / ... da questa stella: vi si noti l'assonanza, non specifica di questa sola attestazione di l.; A lui t'aspetta e a' suoi benefici; / per lui fia trasmutata molta gente / ... e portera'ne scritto ne la mente / di lui, e nol dirai), e nell'iterazione di II 117 Lo ciel seguente... / quell'esser parte per diverse essenze, / da lui distratte e da lui contenute; l. è usato anche in rima (Rime L 24, XCI 35; If I 65, II 74, Pg XXVI 101, XXXIII 135, Pd II 47, XIX 6), in cesura (If II 18, XXXIII 17, XXII 140, Pd XXVI 50), in ottava sede (Pg XXIII 129, Pd X 59, XXVII 112), ma le posizioni di l. nel verso sono più varie di quelle di ‛ lei ': in prima sede in If XVII 77 E io, temendo no 'l più star crucciasse / lui che di poco star m'avea 'mmonito; in nona sede in If XI 53, XXXIII 147, Pg Il 4, VII 116 e 125, Pd XI 92 sua dura intenzione / ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe / primo sigillo a sua religïone.
In una stessa frase l. può riferirsi a più di una persona, svolgendo insieme funzione di anafora e di deissi, ad es. in Pg XI 130-132 Se quello spirito... qua sù non ascende, / se buona orazion lui non aita / ... come fu la venuta lui [Provenzano Salvani] largita?. Allitterazioni e rime si accompagnano all'uso di l. (oltre a Pd XVII 76, cfr. VIII 80 per lui, o per altrui, sì ch'a sua barca / ...più d'incarco non si pogna; XIV 9 a cui si cominciar, dopo lui, piacque), e riprese con un pronome fortemente individuante, come esso, in Pd XVIII 110 Quei che dipinge lì, non ha chi 'l guidi; / ma esso guida, e da lui si rammenta / quella virtù.
1.3. Nella Vita Nuova, ben 18 volte su 32 totali, l. indica Amore (6 volte ‛ l'amico di D. ', 3 ‛ il gentil pensero '); una volta è riferito al sonetto (XXVI 8), come ‛ lei ' si riferisce a ‛ ballata ' o a ‛ canzone ' (v. 2.5.); una volta al ‛ cuore ' (XLI 10 4; v. oltre) e al ‛ desiderio ' (XV 2). L'ambito semantico di queste attestazioni coincide con quello delle Rime, ove l. indica ‛ amore ' 14 volte su 26 (e 6 su 7 nelle Rime dubbie, ove una volta indica il ‛ cuore ' [XVII 4], come in Rime L 56), e con alcune attestazioni del Cavalcanti (Deh, spiriti miei 8-9 " che son da lui le sue vertù partite. / I' veggo a lui spirito apparire ", ‛ cuore '; Una giovane donna 6-7, cfr. 2.4.; Era in penser 44 " Se t'è greve 'l soffrire, / raccomàndati a lui "; Quando di morte 3 " la mia vita fera / li fue, di tal piacer, a lui gradita ", ‛ amore '). Le identificazioni di l. con ‛ Dio ' si diffondono dal Convivio al Paradiso; non ne mancano precedenti nel Guinizzelli (Al cor gentile 44 " e 'l ciel volgendo, a Lui obedir tole ").
L'andamento logico della personificazione rappresentata da l. non è, quindi, casuale; se fondamentalmente l'uso di l. si riferisce a esseri umani - di questo (Rime LXIII 5 e 14) e dell'altro mondo (If I 65 " Miserere di me ", gridai a lui, / " qual che tu sii, od ombra od omo certo! ") - quello traslato si rivolge non soltanto verso entità che, come l'amore o Dio (dal primo girone, If V 92 se fosse amico il re de l'universo, / noi pregheremmo lui de la tua pace, alla visione del ‛ vivo raggio ' di Dio, in Pd XXXIII 78) o il bene creato (Pd XIX 90), e quindi il sole (If I 39 'l sol montava 'n sù con quelle stelle / ch'eran con lui quando l'amor divino / mosse di prima quelle cose [" cose create "] belle), nell'esperienza culturale di D. rivelano affinità profonde, ma anche verso elementi la cui importanza vitale era sentita da D., quali ‛ il volgare ' nel Convivio (persino il vocabulo, IV VI 3) e il ‛ segno ' nel VI canto del Paradiso, ove anche Giustiniano connota con l. l'alto lavoro cui tutto si diede (v. 24).
2.1. La forma obliqua del pronome tonico di III singol. femm., ‛ lei ', che ricorre 49 volte nelle Rime (13 nelle Rime dubbie), 78 nel Convivio e 106 nella Commedia, in proporzione al lessico totale delle singole opere è particolarmente frequente nella Vita Nuova, dov'è attestata 92 volte. Nei passi, non numerosi, in cui non è preceduta da preposizione, l. funge da complemento oggetto e, più raramente, da soggetto di frase oggettiva: di quest'uso, 11 sono le attestazioni nella Vita Nuova (4 in poesia), una nelle Rime (LXXXIII 111 che 'n donar vita è tosta / ... e vertù per essemplo a chi lei piglia), 3 nelle Rime dubbie (III 15 25 e 30, XXVI 4), 8 nel Convivio (in III Amor che ne la mente 50 e bello è tanto quanto lei simiglia, si noti l'uso transitivo di ‛ simigliare ') e 10 nella Commedia. Ancor più raro è l'uso di l. quale dativo: in 2 luoghi della Vita Nuova (XII 16 quello che lei si pertiene, e XVIII 6 io, rispondendo lei, dissi cotanto), uno delle Rime dubbie (XXII 4 nullo uom deve sua donna pregare / di cosa che può lei danno tenere, " recare "), e uno della Commedia: Pg XXXIII 91 Ond'io rispuosi lei, modulo che è assai frequente con il maschile corrispondente (v. 1.1.).
2.2. La tonicità del pronome è evidenziata, in poesia, dalla coincidenza con sedi particolari del verso nelle quali l. ritorna quasi esclusivamente: in rima, cfr. Vn XIX 14 69 Tu troverai Amor con esso lei; XXXII 5 8 gli occhi mi sarebber rei / ... di pianger sì la donna mia, / che sfogasser lo cor, piangendo lei; Rime LXVII 19 per forza di lei / m'era la mente già ben tutta tolta; LXXXV 11 non v'arrestate, ma venite a lei; XC 55 il gran disio ch'i'ho di veder lei (cfr. Rime dubbie II 8 ora, perché non posson veder lei); CIV 40 chi fosser l'altre due ch'eran con lei; Rime dubbie VII 15 Dico che tutti si dolien per lei; Cv II Voi che 'ntendendo 35, III Amor che ne la mente 10 s'io vo' trattar di quel ch'odo di lei; e soprattutto in cesura, cfr. Vn XXI 2 7 fugge dinanzi a lei superbia ed ira; XXII 16 14 sarebbe innanzi lei piangendo morta; 14 7 Vedestù pianger lei, che tu non pui / ... celar la dolorosa mente; 10 11 e qual che sia di lei, 'nol mi celate; XIX 7 20 Lo cielo, che non bave altro difetto / che d'aver lei, al suo segnor la chiede; Rime LXVIII 6 che non credea di lei mai star doglioso, e 26 e sempre mai con lei starà ricolto; LXXXIII 69 tratterò il ver di lei, ma non so cui (vi si osservi, come in Vn XXII 14 7, l'assonanza con -ui; cfr. anche Rime CIV 40); LXXXIV 5 andatevene a lei, che la sapete; LXXXVII 20, XCI 72, CIII 13 sì ch'io non so da lei né posso atarme (il vero è importante, perché la posizione di rilievo di l. vi provoca una sorta di tmesi tra non so e né posso), CXVI 5; Rime dubbie XXII 4; Cv III Amor che ne la mente 3, 28, 82 e 88, IV Le dolci rime 53 chi pinge figura, / se non può esser lei, non la può porre. In qualche caso, non sempre perspicuo, la cesura coincide con la quarta sede del verso: Rime XL 10 che fia, da lei cui desiate, amore; XCI 27 che sol per lei servir mi tegno caro,.e 70 che sanza lei non può passare un'ora; CII 47, CV 14; Rime dubbie XXIV 8 e XXVI 10. Più rare sono le attestazioni di l. nella seconda sede del verso: Rime LXVIII 34, LXXXIV 9 Con lei non state, ché non v'è Amore; CIII 28, CIV 30 egli, pietoso e fello, / di lei e del dolor fece dimanda; CV 3 per lei ti priego che da te non fugge; Rime dubbie II 14, III 9 17, VIII 2, XXVII 13; Cv III Amor che ne la mente 37 In lei discende la virtù divina; i passi non riportati sono meno probanti per il rilievo di l., perché il verso in cui il pronome si trova è collegato dall'enjambement a quello precedente. Per la posizione di l. in ottava sede, cfr. Vn XIX 8 26 là 'v'è alcun che perder lei s'attende; XXXI 16 70 e io ne spero ancor da lei merzede; XXI 2 3, XL 10 13; Rime L 54, CVI 38 Morte repugna sì, che lei non cura; Rime dubbie III 15 25, XXVI 10; Cv II Voi che 'ntendendo 12, III Amor che ne la mente 49-50 gentile è in donna ciò che in lei si trova, / e bello è tanto quanto lei simiglia, e 83. In terza e nona sede, soltanto in Rime dubbie XII 5 che per lei veggio la faccia d'Amore, e VII 5 e per che tu, parlando anzi lei, palpi.
2.3. Anche nella Commedia l. ritorna 31 volte in cesura, oltre alcune delle 26 volte in cui è in quarta sede. Alla ventina di attestazioni in ottava sede e alle 9 in rima seguono, rarissime, le attestazioni in prima sede (Pg XXVII 108 lei lo vedere, e me l'ovrare appaga, dov'è notevole il contrasto tra l. e ‛ me '; XXXIII 66) e in terza sede (Pd XXII 22 Come a lei piacque, li occhi ritornai).
2.4. Il rilievo di l. è più evidente in poesia che in prosa, sebbene anche qui l. ritorni, a volte, all'inizio e alla fine della proposizione, in posizioni, cioè, notoriamente contraddistinte da una particolare efficacia affettivo-mnemonica: cfr. Vn II 8 certo di lei si potea dire quella parola del poeta Omero; Cv IV XVII 16 più pare che lei l'uomo ascolti che nulla più tostana etade. All'indubbia enfasi ritmico-prosodica sembra corrispondere, nella gerarchia dei valori espressivi, una funzione specifica: l. indica prevalentemente - in alcune opere, quasi esclusivamente - la ‛ donna ', secondo una tradizione che, nella lirica predantesca, appare già in Iacopo da Lentini (Or come pote 7 " ma voglio lei a lumera asomigliare "; in Poi no mi val merzè 13 " Anzi vorrea per ella pena avere ", ‛ ella ' è l'analogo di l., come nella Vita Nuova; cfr. la voce Egli), quindi in Guittone (Tuttor, s'eo veglio 2 " di lei [" a lei "] pensar non campo " e 11 " perch'eo non dico no / di lei servir mai dì "; e Gente noiosa e villana 113 " como lei dissi ", 128 " a lei ch'aucide e sana ", e 137 " E anco me di' lei e a ciascuno / meo caro amico e bono "), in Chiaro Davanzati (La splendiente luce 9 " E l'altre donne fan di lei bandiera "), in Guinizzelli (Tegno de folle 'mpres', a lo meo dire 25 " la plu bella donna è che si trove / ... che 'n lei eno adornezze, / gentilezza e bel parlare ", e 45-46 " da lei non ho sembiante / ed ella non fa vist'amorosa ": i due versi, " rigorosamente sinonimi " [Contini, Poeti II 452], mettono ancora in evidenza il rapporto tra ‛ ella ' e l.), e in Cavalcanti (Posso degli occhi miei 16 " e non si pò di lei giudicar fore / altro che dir "; Chi è questa che vèn 8 " cotanto d'umiltà donna mi pare, / ch'ogn'altra ver di lei i' la chiam'ira "; Un amoroso sguardo 11 " di farne a lei mercè, di ciò non tardo "; Una giovane donna di Tolosa 6-7 " l'anima... da lui [" il cuore "] Si svia / e vanne a lei [" la donna "] ": anche l'uso di ‛ lui ' per indicare " il cuore " è tratto stilnovistico: v. 1.3.).
2.5. Nella Vita Nuova, l. indica Beatrice e la " donna " celebrata nelle poesie, tranne in XII 16, ove indica la ballata che in tre parti si divide: ne la prima dico a lei ov'ella vada... ne la seconda dico quello che lei si pertiene di fare intendere. Di personificazioni analoghe si trovano tracce nel Convivio, ove D. si rivolge alla canzone spiegata nel trattato: II XI 8 appresso ammonisco lei e dico; XV 11 annunzia che per lei si vedranno li adornamenti de li miracoli; III I 13 dirizzando le parole a la canzone, purgo lei d'alcuna dubitanza, e IX 1, estendendo al discorso narrativo le caratteristiche proprie, ad es., del congedo dalla composizione, in cui l'autore si rivolge ad essa come a persona viva. In questo ambito, è facile il trapasso dalla composizione alla lingua di questa, personificata in I XII 2 dirò come a lei fui fatto amico, e 8, XIII 1, 2 ho da lei ricevuto dono di grandissimi benefici, e 3, come personificato è il volgare, al quale D. allude con ‛ lui ' (v. 1.3.). Se nelle canzoni del Convivio l., almeno a livello denotativo, indica la ‛ donna ', nelle prose quest'uso tende a risolversi in allegorie, come esplicitamente dichiara II XII 6 imaginava lei [" la filosofia "] fatta come una donna gentile; in altri luoghi può cogliersi un'ambivalenza (III XIV 14 sì come per lei molto di quello si vede per ragione... che sanza lei pare maraviglia, così per lei si crede... ogni miracolo), e in altri ancora l. designa la ‛ ragione ', la ‛ sapienza ' (III XV 5 e 15), la ‛ gentilezza ' (cfr IV Le dolci rime 53) e persino la senettute ' di ciceroniana memoria, in quanto somma di ragione, sapienza e dominio delle passioni (IV XXVI 12), oltre che ‛ Roma ' (IV V 12), ‛ la luce ' (III VII 4), ‛ la rosa ' (IV XXVII 7), in quanto simboli della grazia, della volontà e della sapienza divina.
2.6. Da questo punto di vista non sorprenderà la scarsa frequenza di l. nell'Inferno, ove in 3 luoghi su 12 indica Beatrice (I 123, X 132 e XV 90), mentre altrove indica la personificazione della Fortuna (VII 85), di cui D., diversamente che della ‛ lingua ', non è amico (II 61 l'amico mio, e non de la ventura), i simboli del male nell'istintualità e brutalità animalesche della ‛ lupa ' (I 89) e di Gerione (XVII 34) e nell'accesso irremediabile al peccato attraverso la ‛ porta ' dell'Inferno (VIII 128). L'ambito semantico di l. nelle 41 attestazioni del Paradiso consuona con quello del Convivio (oltre a Beatrice e Maria, l. vi indica fede, speranza, luce e volontà divina), mentre più vario è quello delle 53 occorrenze del Purgatorio, tra le quali spiccano tuttavia la personificazione della libertà, il cui valore sa chi per lei vita rifiuta (I 72) - ma ancora in quanto " liberazione dal male ", come da lui che si... sprona... nostra virtù (XI 19-21) - e quella della Curia romana che tresca con il gigante, nella visione apocalittica della corruzione della Chiesa (XXXII 148-160, e particolarmente v. 152).
3. Nel Fiore sono una cinquantina le attestazioni di ‛ lei ', una decina quelle di ‛ lui '. I due pronomi, sempre riferiti a persona o ad astratti personificati (cfr. LXXIV 12 vidi... una donna pregiata / ... ed un suo amico co llei si posava. / La donna sì avea nome Ricchezza), compaiono nelle forme llui (CLXIX 14, CLXXXVI 2), llei (XIII 4, XXXV 14, LX 1, LXXIV 12, CLXXXVI 9, CCXXVI 6) per assimilazione con -n finale della preposizione ‛ con ' (v. LORO 4.), e nelle forme scorciate lu' (llu' soltanto in IX 11 tu non saresti gito co llu' a danza) e le': la differenza dal pronome atono ‛ le ' è garantita dal ritmo in LIV 5, unico passo in cui l. funge da dativo (e le' dirai: " Per Gieso Cristo, tra'mi / d'esti pensier... ", che ricorda " tragemi d'este focora " del Contrasto di Cielo d'Alcamo, v. 3) e dalla funzione di accusativo, in XIX 11 in le' guardar, che non faccia follia; LVII 5 a le' lodar suo' occhi e bocca e testa, e 9 Così le' dei del tutto andar lodando; LXIII 11 di le' servir non ti vegghi mai lasso (cfr. LXIV 8 a le' servir tuttor pensa e lavora); LXXII 11 pena perduta seria in le' guardare. Soltanto in XCIV 12 Né lui né altri già ciò non credesse [" crederebbe "], l. funge da soggetto.