TRAUBE, Ludwig
Figlio del clinico omonimo (v.), fondatore del moderno metodo della filologia latina del Medioevo, nato a Berlino il 9 luglio 1861, morto il 9 maggio 1907 a Monaco, dove si era abilitato nel 1888 quale libero docente di filologia classica e medievale, ed era divenuto nel 1902 professore ordinario di filologia latina del Medioevo.
Fornito di precocissimo ingegno critico, pubblicò già a diciassette anni il primo tra i suoi molti manipoli di congetture a testi latini per lo più tardi ma talvolta anche di età classica (particolarmente Catullo e Plinio); a diciott'anni una memoria sullo sviluppo della scena nel dramma medievale. Ma il primo lavoro di polso è l'edizione dei Poetae latini aevi carolini nei Monumenta Germaniae historica (1886-1896), al cui primo volume tenne dietro (1888) un libretto di ricerche (Karolingische Dichtungen); nella sua attività editoriale è anche notevole l'edizione dei resti delle orazioni di Cassiodoro (parimenti nei Monumenta Germaniae, 1894). Altre ricerche sul testo di autori classici (per es. di Ammiano Marcellino: 1903), si segnalano particolarmente per la raffinatezza del metodo con la quale dallo studio sistematico della corruttela si ricostruiscono, grazie a una perizia paleografica eminente, gli stadî per i quali il testo passò, e si cerca poi di fissare questi stadî nello spazio e nel tempo, il che è solo possibile mercé una conoscenza minuta degli scriptoria ecclesiastici medievali e delle loro relazioni reciproche. I lavori su Livio (cfr. specialmente Paläographische Forschungen, IV: Bamberger Fragmente der vierten Dekade des Livius, 1904) studiano l'uso che di codici medievali ora in gran parte perduti fecero umanisti tedeschi e mostrano profonda comprensione anche per lo spirito di quell'età e di quelle cerchie. Gli stessi metodi egli applicò anche a testi medievali: l'esempio più splendido è la storia del testo della regola benedettina (Textgeschichte der Regula S. Benedicti, 1898; 2a ediz. postuma, 1910), dove le vicende di un testo sono tratte a lumeggiare lo spirito delle varie epoche, per cui quel testo passò e che in esso lasciarono le proprie impronte. Per la storia della letteratura propriamente medievale è anche importante una serie di piccoli saggi (O Roma nobilis: già 1891), dove egli fissa il luogo e il tempo (Verona nel sec. X) della composizione di questo inno e tratta di Sedulio Scoto (v.) e della dottrina greca degl'Irlandesi al tempo di Carlo il Calvo. Il Traube rifece anche (1904) il primo volume del notissimo manuale del Wattenbach sulle fonti storiche del Medioevo tedesco (Deutschlands Geschichtsquellen im Mittelalter).
Nell'ultimo decennio la paleografia prende a poco a poco il primo posto nella sua produzione. Il primo lavoro veramente importante in questo campo è il Perreona Scotorum (1906), dove la scoperta di una testimonianza manoscritta (sulla storia di questo convento irlandese in Piccardia) gli dà occasione a studiare le relazioni storiche e geografiche tra scrittura insulare e continentale, a esporre la storia dell'abbreviazione di noster, a dissipare la leggenda che esista una scriptura langobardica, in una parola trasformia una disciplina empirica in storia: un paragrafo formula in generale le relazioni tra paleografia e storia della tradizione. Notevole anche un lavoro sulla storia delle note tironiane in Svetonio e Isidoro. A noi italiani importa anche più la dimostrazione che l'Anonymus Cortesianus, un frammento di storico romano pubblicato alcuni anni or sono, è una falsificazione appunto di G. Cortese. Il libro postumo, per il quale lavorò sino alla morte, sfruttando intensamente il poco tempo che sapeva restargli (1907), tenta generalmente di dimostrare che l'abbreviazione per contrazione nei manoscritti greci e latini ha la sua origine prima nel timore che i cristiani ereditarono dai giudei, di scrivere in modo perfettamente chiaro il nome di Dio e insieme dal desiderio di rilevarlo (tratto orizzontale sovrapposto). Questo ponte gettato tra la paleografia e la scienza delle religioni non è forse solido, certamente non è quella l'unica fonte dell'abbreviazione latina.
Alcuni, purtroppo non tutti, né la maggior parte, degli scritti già pubblicati dal T., insieme con parecchi dei suoi corsi universitarî (specialmente importante l'introduzione alla filologia latina del Medioevo), sono raccolti da Fr. Boll, P. Lehmann e S. Brandt nelle postume Vorlesungen und Abhandlungen (Monaco 1909-1920). Postuma è anche uscita nel 1912 (Abh. bayr. Akad., XXVI) un'importante memoria sugli autografi di Giovanni Scoto.
Il T. ebbe relazioni strettissime con l'Italia. Una sua sorella, Margherita, valente studiosa di fisiologia e chimica organica, sposatasi col prof. Guglielmo Mengarini (v.) di Roma, raccolse intorno a sé una cerchia che non fu senza influsso sulla cultura italiana: ne facevano parte Th. Mommsen, E. Loewy, il fisico Blaserna.
Bibl.: Introduzione di F. Boll. al primo volume delle Vorlesungen und Abhandlungen (con ricca bibliografia); G. Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo, Firenze 1934, pp. 81, 84 segg., 146, id., Pagine stravaganti, Lanciano 1933, p. 196 segg. Sul problema dell'origine delle abbreviazioni: G. Rudberg, in Eranos, X (1910), p. 71; e Neutestamentl. Text und Nomina sacra, Upsala 1915; E. Nechmanson, in Eranos, X, p. 101.