SIMONETTA, Ludovico
– Nacque a Milano intorno al 1500, da Alessandro di Giovanni e da Antonietta Castiglioni, figlia del conte palatino Gianantonio, consignore di Garlasco (e non rampolla del casato dei Gonzaga di Castiglione e Solferino, come sostenuto da Sol, 1903, p. 7).
Dopo le vicissitudini attraversate dai Simonetta sotto il Moro, il padre riuscì a rientrare a pieno titolo nei ranghi dell’amministrazione ducale come collettore generale e poi come duca palatino su nomina di Carlo V nel 1526. Quattro anni più tardi, con la morte dei nipoti diretti di Cicco, Clemente VII gli concesse la consignoria di Torricella, da spartire con il cugino Gianantonio, del ramo parmense originatosi da Andrea. Fu dunque la discendenza di Alessandro a proseguire la linea milanese del casato, soprattutto attraverso Girolamo, erede del titolo in quanto primogenito, e Scipione, futuro senatore.
A Ludovico, forse il primo tra i cadetti, fu invece riservata la carriera ecclesiastica, sulle orme dello zio Giacomo, giureconsulto, vescovo di Pesaro e cardinale nel 1535. Onorando una consolidata tradizione familiare, Ludovico si laureò in utroque iure a Pavia, dove già avevano studiato legge Giacomo stesso e due dei figli di Cicco e dove un altro Simonetta, Giovanni Battista (probabilmente figlio di Filippo e dunque cugino di Ludovico), veniva eletto rettore dell’Università giuridica nel dicembre del 1521. Intorno al 1535 divenne membro dei giureconsulti collegiati milanesi e due anni dopo subentrò a Giacomo come vescovo della diocesi di Pesaro, che amministrò per 25 anni senza particolare zelo. Con ogni probabilità, non vi risiedette mai stabilmente. Prova ne è che proprio nel 1537 accettò la cattedra de Actionibus, appositamente istituita per lui nello Studio ticinese.
Nel novembre del 1539, la morte dello zio cardinale, all’apice del suo potere in Curia, segnò una lunga battuta d’arresto nella carriera di Ludovico, che dovette da lì in avanti puntare solo sulla propria eccellente preparazione canonistica. Il Concilio tridentino gli permise di mettere in luce tale qualità. Fu uno dei primi dieci presuli a rispondere al breve di convocazione, prendendo parte alla riunione preliminare del 3 maggio 1545. Insieme con il vescovo di Piacenza, il milanese Catellano Trivulzio, venne considerato il promotore della supplica inviata al pontefice il 7 settembre per accelerare l’apertura dei lavori. Rimasto in ombra nelle delicate votazioni della quarta e quinta sessione, concernenti la tradizione, il canone biblico e il peccato originale, si mostrò molto attivo nei dibattiti sulla giustificazione, esprimendo in diverse occasioni il suo parere rigidamente conservatore. Partecipò inoltre alla commissione sulla residenza episcopale, opponendosi fermamente a chi auspicava che nel decreto l’obbligo fosse considerato come de iure divino e schierandosi dunque, una volta di più, con i legati papali, e con Giovan Maria Ciocchi Del Monte in particolare. Dopo l’approvazione dei decreti su battesimo e cresima e sulla translatio del Concilio a Bologna, prese parte alle discussioni preparatorie intorno agli abusi del clero regolare e alle definizioni di eucarestia, ordine sacro, matrimonio ed estrema unzione, fino alla sospensione dei lavori. Fu probabilmente per premiare la sua piena consonanza con le direttive conciliari via via recapitate ai legati che papa Farnese lo nominò referendario della Segnatura apostolica, una carica onorifica che non implicava un suo spostamento nell’Urbe.
Non sono noti i motivi per cui Simonetta non risulti tra i partecipanti del secondo periodo conciliare (1551-52), che pur era stato indetto da Del Monte, asceso al soglio petrino come Giulio III. Del resto, durante la prima decade del secondo Cinquecento, di Simonetta paiono perdersi le tracce. Il suo nome ricompare solo nel 1556, tra i membri della commissione incaricata da Paolo IV di discutere i provvedimenti contro le pratiche simoniache. La svolta arrivò con l’elezione del papa successivo, il cardinale milanese Giovan Angelo Medici. A pochi mesi dalla chiusura del conclave, nel maggio del 1560, Simonetta fu nominato datario, ma sbaglia chi lo crede da quell’anno vescovo di Lodi, diocesi retta dallo zio Giacomo, poi dal fratello Giovanni e, dal luglio 1557 fino alla morte nel 1569, dal cardinale Giovanni Antonio Capizucchi. Si avvicinò a Carlo Borromeo, l’onnipotente cardinal nipote, e partecipò all’Accademia delle Notti vaticane.
Il 26 febbraio 1561, insieme con molti connazionali, ricevette la porpora, con il titolo cardinalizio di S. Ciriaco (lo stesso inizialmente scelto dallo zio), mutato nel 1566 in quello di S. Anastasia.
Nel codice ambrosiano N.176 sup. (c. 67v), si trova il sonetto Il saggio agricoltor non sparge il seme, scritto in sua lode da Jacopo Vicomanni di Camerino, come parte di una raccolta (cc. 64v-74r) dedicata a Carlo Borromeo e comprendente un componimento per ciascun nuovo cardinale, a ribadire il significato tutto politico di questa creazione, che servì al pontefice per preparare la riapertura dall’assise tridentina e ribilanciare a proprio favore la composizione del S. Collegio.
In maggio, Simonetta cedette il vescovado di Pesaro al fratello Giulio, che, da residente, perseguì finalmente una politica pastorale in linea con i dettami conciliari; nel luglio divenne protettore dell’Ordine dei certosini, durante lo spostamento della loro sede romana nel complesso ricavato nelle terme di Diocleziano, con la nuova chiesa di S. Maria degli Angeli e dei Martiri costruita da Michelangelo nel frigidarium.
L’incarico di maggior rilievo gli venne affidato in novembre, con la legazione conciliare a Trento, dove si distinse nuovamente per la rigida lealtà con cui si attenne alle istruzioni papali inviate attraverso Borromeo, scontrandosi con altri padri conciliari e con i due presidenti avvicendatisi alla guida dell’assemblea, Ercole Gonzaga e Giovanni Morone. Con una spregiudicatezza talvolta incauta, fece leva sull’antagonismo tra prelati spagnoli e francesi per bloccare i provvedimenti più invisi a Roma, tra cui la definizione della residenza episcopale per diritto divino. Che quest’ultima battaglia, condotta con successo a discapito soprattutto del legato Gerolamo Seripando, gli avesse dato un lustro particolare trova conferma nella dedica del rarissimo Tractatus de residentia episcoporum (Papiae, Bartoli, 1563) di Andrea Camuzio.
Nel 1564, entrò a far parte della neonata congregazione del Concilio e venne nominato vice di Borromeo quale protettore dell’Ordine francescano. Da un anno almeno figurava come prefetto della Segnatura di grazia e sedeva anche in quella di giustizia. Inserito tra i cardinali inquisitori nell’ampliamento deciso da Pio IV per limitare il potere del S. Uffizio, non fu confermato nella riorganizzazione di segno opposto operata da Pio V nel 1566.
Morì a Roma il 30 aprile 1568. Come richiesto, fu sepolto senza onori in S. Maria degli Angeli, nelle stessa chiesa di cui aveva verosimilmente patrocinato i lavori e che avrebbe ospitato le spoglie di Pio IV.
Poco più tardi, pare che un brigante fosse riuscito ad accumulare una certa fortuna impersonificando il defunto Simonetta e distribuendo falsi benefici e assoluzioni prima di essere arrestato a Bologna.
Fonti e Bibl.: Un volume manoscritto di lettere ai fratelli e un Tractatus de haereticis segnalati da Filippo Argelati paiono perduti. Altri suoi scritti in: Milano, Biblioteca Ambrosiana, F.38 inf., F.75 inf., F.81 inf., F.96 inf., F.106 inf., F.107 inf., F.110 inf., P.1-2 inf., P.8 inf. (carteggio con Borromeo, agosto 1565-agosto 1567); Epistolae clarorum virorum..., Venetiis, Guerra, 1568; Tractatus de iure patronatus clarissimorum omnium U.I.C...., Venetiis 1607; Kristeller, Iter Italicum, V, London-Leiden 1990, p. 217a (versi celebrativi).
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