LUDOVICO Sforza, detto il Moro, duca di Milano
Quartogenito di Francesco Sforza, nato a Vigevano il 27 luglio 1452, morto nel castello di Loches in Francia il 27 maggio 1508. Ebbe la prima educazione dalla madre Bianca Maria Visconti e da Francesco Caimi e già nel 1465 fu armato cavaliere in vista della crociata promossa da Pio II; nel 1466-1467 fatto governatore di Cremona, in un momento particolarmente delicato, per la minaccia di Bartolomeo Colleoni alla morte di Francesco Sforza. Privo dunque del padre a 14 anni, a 16 era orfano anche di madre. E a questa età rappresentava, insieme al fratello Sforza Maria duca di Bari, il fratello Galeazzo Maria, duca di Milano, nel render giustizia. Nel 1472 figura a capo di cento uomini d'arme in un progetto di mobilitazione delle forze milanesi contro Venezia. Si trovava in Francia con Sforza Maria quando il 26 dicembre 1476 veniva assassinato in Milano il fratello Galeazzo Maria, lasciando il trono a un bimbo di sei anni, sotto la reggenza della vedova Bona di Savoia, assistita da Cicco Simonetta. Questi mirava forse a costituire un suo governo personale, ma ebbe di fatto contro il partito ghibellino e i fratelli del defunto duca. Un tentativo di sommossa allo scopo di crear duca Sforza Maria il 25 maggio 1477 era represso, e Sforza Maria, Ludovico e Ascanio venivano confinati rispettivamente a Bari, a Pisa e a Perugia. A Pisa il Moro avrebbe dovuto dedicarsi agli studî, con la mira di un possibile cardinalato. Ma l'anno dopo Genova si ribellava al governo sforzesco, e Sforza Maria insieme a Roberto Sanseverino (figlio d'una sorella di Muzio Attendolo), ne faceva la base d'operazione per i suoi intrighi. Anche L. abbandonava allora il confino, si recava a Napoli presso la sorella Ippolita maritata al duca di Calabria, e con aiuti napoletani correva poi nella Riviera Ligure unendosi ai fratelli Sforza Maria e Ascanio e al Sanseverino. Il 27 febbraio 1479 L. e Sforza Maria erano dichiarati ribelli; e quest'ultimo moriva poi improvvisamente a Varese Ligure il 27 luglio. L. era subito investito dal re di Napoli del ducato di Bari (con le terre di Palo e Modugno). Il 23 agosto il Moro e il Sanseverino potevano avere a tradimento Tortona: L., messosi in rapporto anche col favorito della duchessa Bona, il ferrarese Tassino, otteneva di poter rientrare in Milano (7 settembre 1479). Pochi giorni dopo era richiamato anche il Sanseverino e il Simonetta veniva arrestato. A questo punto il Moro mirò a impadronirsi della reggenza e ad eliminare i suoi compagni di lotta, ora rivali. Lasciò che il Sanseverino sfogasse ogni rancore verso il Simonetia fino a farlo decapitare, poi fece allontanare il Tassino, quindi ottenne che il giovane duca dichiarasse di preferire la tutela dello zio a quella della madre e che il consiglio ducale approvasse (3 novembre 1480).
Da questo momento fu di fatto il vero duca di Milano. Ciò portò alla rottura col Sanseverino, che fu dichiarato ribelle (1482). Ma salito al potere con l'appoggio del re di Napoli, L. aveva dovuto permettere che la vecchia promessa di matrimonio tra Isabella d'Aragona e Gian Galeazzo Sforza venisse confermata (giugno 1480). Del resto egli continuò sulle prime la politica d'accordo con Napoli del padre, che il Simonetta aveva cercato di mutare a favore di Venezia. Fu con Napoli durante la guerra di Ferrara (1482-84) e appoggiò validamente il re Ferrante durante la congiura dei baroni (1485-86). Riusciva poi a respingere una pericolosa incursione degli Svizzeri su Domodossola (1487), e a riavere Genova, ribellatasi nove anni prima (1487). Tentò pure di osteggiare l'influenza francese nel ducato di Savoia, nei marchesati di Monferrato e di Saluzzo, e a Genova, ma con minore fortuna: in quest'ultima città dové riconoscere l'alta sovranità francese.
Interveniva anche in Romagna, in favore della nipote Caterina Sforza Riario, dopo l'assassinio di Gerolamo Riario signore di Forlì, e riusciva a frustrare le mire dei Fiorentini su quella città (1488). Nel 1489 veniva a Milano Isabella d'Aragona, sposa a Gian Galeazzo, ma non per questo il Moro cedeva il governo al nipote ormai ventunenne; anzi, d'accordo con lui, cui non dispiaceva di vivere in ozio e senza pensieri, occupava il castello di Porta Giovia che Filippo Eustachio teneva sotto giuramento per Gian Galeazzo; poi metteva in tutte le fortezze e castelli uomini di sua fiducia. Ciò doveva naturalmente portare a una tensione di rapporti con la corte aragonese di Napoli. E già l'anno prima il Moro si era guastato con G. G. Trivulzio, imparentatosi a Napoli coi Davalos, fedelissimi agli Aragonesi, favorevole a Gian Galeazzo e geloso della preferenza che L. manifestava per Galeazzo Sanseverino, nominato capitano generale dell'esercito sforzesco, e sposato con la stessa figlia naturale del Moro, Bianca. Il 17 gennaio 1491 L. sposava Beatrice d'Este, il 25 gennaio 1493 aveva il figlio Massimiliano e il 4 febbraio 1495 un secondo figlio, Francesco.
Per premunirsi contro Napoli nel gennaio 1492 stringeva con Carlo VIII una lega difensiva; e alla morte d'Innocenzo VIII, s'adoperava attivamente e con buon esito, per mezzo del fratello Ascanio, perché fosse eletto un papa a lui favorevole. Il re di Napoli cercava di reagire con l'accrescere la propria influenza nelle terre pontificie; e allora Alessandro VI si univa in lega con il Moro e con Venezia; ma solo quest'ultima esigeva che alla lega partecipasse anche il re di Francia. Poco dopo, nel maggio 1493, il trattato di Senlis liberava la Francia da ogni preoccupazione verso il confine orientale e rendeva sempre più probabile la calata di Carlo VIII: allora Napoli cedeva di fronte al pontefice e si formava anzi una lega Napoli-Roma-Firenze; il Moro cercava allora d'accostarsi sempre più a Venezia, ma vista la freddezza della Serenissima, finiva con lo stringersi sempre più a Carlo VIII. Al tempo stesso però, comprendendo anche i rischi di una simile alleanza, cercava di contrapporre al re di Francia, Massimiliano d'Austria. Fin dal maggio 1493 infatti aveva aperto trattative con il re dei Romani sia per il matrimonio della sua nipote Bianca Maria avvenuto per procura sei mesi dopo, sia per ottenere l'investitura del ducato di Milano. E questa otteneva il 3 settembre 1494, il giorno dopo che Carlo VIII aveva varcato le Alpi. L'accordo con il re di Francia, del resto, durava poco; furioso di non aver avuto in consegna Sarzana, Pietrasanta e Pisa, già il 13 dicembre il Moro aveva richiamato le sue truppe, e cercava nuovamente accordi con Venezia: i progressi francesi lo spaventavano, tanto più che il duca d'Orléans, pretendente al ducato di Milano, e già capo dell'opposizione in Francia, s'era riconciliato con il cugino e prendeva attiva parte alla spedizione. Il 31 marzo a Venezia era conclusa la lega per l'equilibrio d'Italia, con l'adesione del Moro. Frattanto era morto il nipote Gian Galeazzo (senza base sembra l'accusa di avvelenamento da parte di L.) e il Moro si considerava sovrano incontrastato del ducato; ma il colpo di mano del duca d'Orléans su Novara (13 giugno 1495) mostrava come il suo potere posasse su basi poco solide. A ogni modo, tornato Carlo VIII in Francia e ricuperata Novara con i soccorsi della lega, nel 1496 L. parve al culmine della fortuna. Scomparso Lorenzo de' Medici, pretese d'essere al suo posto l'arbitro della politica italiana, e non di quella italiana soltanto. L'imperatore, che nell'agosto-dicembre fece una spedizione contro Pisa dietro sua spinta, non osò toccar Milano. Ma scese ora Napoli e Firenze a potenze del tutto secondarie, il Moro si urtò contro la politica di Venezia. La Serenissima non voleva rinunziare al protettorato su Pisa, e tale questione fu l'inizio della rovina di lui. Intanto l'8 gennaio 1497 perdeva la moglie e saggia consigliera Beatrice d'Este; moriva poi il 7 aprile 1498 improvvisamente Carlo VIII e sul trono di Francia saliva il vecchio nemico di L., il duca d'Orléans, che si proclamava subito duca di Milano. Il Moro cercò di opporgli Massimiliano; ma presto l'imperatore conchiuse una tregua; quindi si volgeva contro gli Svizzeri, alleati del re di Francia. Il Moro non poté esimersi dal finanziare, in parte almeno, anche la nuova guerra (guerra sveva, febbraio-giugno 1499); ma essa portò alla sconfitta di Massimiliano e all'inimicizia dei Cantoni verso il Moro. D'altra parte Venezia, che aveva finito col rinunciare al protettorato pisano, si alleava col re di Francia e lo stesso faceva il papa. Il Moro non ebbe più che l'appoggio di Napoli, e quello indiretto dei Turchi. Di fronte all'esercito francese comandato dal Trivulzio, le principali fortezze, Alessandria, Valenza, castello di Porta Giovia, caddero per tradimento; il Moro riparò a Innsbruck presso il parente imperatore (settembre 1499). Raccolte alcune migliaia di fanti borgognoni e svizzeri, tentava cinque mesi dopo la riconquista del ducato. Ma dopo, tradito a Novara dai suoi Svizzeri, cadde in mano ai Francesi (8 aprile 1500). Trasportato in Francia, nel castello di Lys-Saint. Georges nel Berry, dopo un vano tentativo di fuga fu portato in quello di Loches, ove dimorò, trattato umanamente, fino alla morte.
Vero principe del Rinascimento, si credette maestro insuperabile nelle arti della diplomazia. Andato al potere con l'appoggio del partito ghibellino, lo abbandonò ben presto. Sopravvalutando la nuova potenza del danaro, s'illuse di potere con tale mezzo soprattutto dominare la politica europea, contrapponendo al re di Francia l'imperatore, e alle fanterie svizzere mercenarie, legate alla Francia, quelle dei lanzichenecchi tedeschi. E all'interno cercò di legare a sé un'immensa clientela di grandi e di piccoli, e d'avere un esercito formato da elementi del ducato e guidato da suoi favoriti, appoggiato a solide fortezze, munito di valide artiglierie. Ma tutto questo, nonostante la floridezza del ducato, lo obbligò a spese continue e a imposte sempre più gravose e invise. A ciò contribuiva il suo stesso mecenatismo. Fiorirono alla corte sforzesca i poeti, mediocri invero, Bellincioni e Cammelli, toscani, e Gaspare Visconti, e grandi artisti come il Bramante, Leonardo da Vinci; sotto di lui si fecero grandi lavori nel duomo di Milano, nella Certosa di Pavia, si costruì la chiesa delle Grazie, si curarono i castelli di Milano, Pavia e Vigevano, si diede opera a grandi lavori idraulici. Ma molto appassionato per le arti il Moro non fu, più che altro seguì la corrente del suo tempo. In pratica, si vide la fragilità dell'edificio da lui creato, frutto d'intrigo più che di vera arte diplomatica. Specialmente la campagna diplomatica del 1498-99 mostrò, accanto a veri errori di calcolo, una irresolutezza e soprattutto una tardanza strana, di fronte alla chiarezza e semplicità d'azione del suo avversario francese: mirò a parare più che a prevenire, e si trovò costantemente sopravanzato. All'interno poi, al momento del pericolo, fu un succedersi di defezioni.
Bibl.: F. Malaguzzi-Valeri, La corte di L. il M., voll. 4, Milano 1913 e segg.; A. Dina, L. il M. prima della sua venuta al governo, in Arch. stor. lomb., 1886; A. Luzio, Isabella d'Este e la corte sforzesca, ibid., 1901; P. Negri, Studi sulla crisi italiana alla fine del sec. XV, in Arch. stor. lomb., 123-24; A. Segre, L. Sforza detto il M. e la rep. di Venezia, ecc., ibid., 1902-03; L. G. Pélissier, Louis XII et Ludovic Sforza, voll. 2, Parigi 1896; S. A. Nulli, L. il M., Milano 1929.