SETTALA, Ludovico
SETTALA, Ludovico. – Di nobile famiglia milanese, nacque in Milano il 27 febbraio 1552 da Francesco e da Giulia Ripa, figlia di Gian Francesco Ripa, giureconsulto pavese.
La prima formazione avvenne sotto la guida di Antonio Maria Venusti, medico e letterato, poi studiò filosofia nelle scuole dei gesuiti in Milano, sostenne le tesi a sedici anni. Seguì gli studi di medicina presso l’Università di Pavia ed ebbe come insegnanti Paolo Cigalini, Niccolò Boldoni, Filelfo Amalteo, Baldassarre Gamberino, Ottaviano Ferrari. I primi due per medicina, gli altri per filosofia. Di Ottaviano Ferrari Settala conservò particolare affetto; continuò infatti a frequentarlo approfondendo le proprie cognizioni aristoteliche a Milano, ove il docente si trasferì presso le Scuole canobiane.
Laureato a Pavia il 26 maggio 1573, ritornò a Milano dove dal 5 aprile era già stato accolto al Collegio dei medici. Scrisse un volume, Solutionum apparentium contradictionum Hippocratis et Galeni, rimasto inedito, sui luoghi apparentemente contraddittori che si trovano nelle opere di Ippocrate e Galeno. Subito ebbe una cattedra straordinaria di medicina pratica all’Università di Pavia, indicata da Giacomo Parodi (1753) nel triennio 1576-78. La lasciò per tornare a Milano dove, ancora giovanissimo, ebbe l’opportunità di applicare praticamente le sue nozioni teoriche nella cura della violenta epidemia pestilenziale del 1576. Fu uno dei deputati, eletto per il quartiere di Porta Orientale, e diede importanti disposizioni igienico-sanitarie per l’assistenza degli infermi. Pare fosse stato richiamato a Milano dal cardinal Carlo Borromeo. Lo ricorda lui stesso nella dedica del suo scritto principale De Peste al cardinale Federico Borromeo. Passata l’epidemia in Milano esercitò la medicina presso l’ospedale Maggiore e presso quello del Brolo, zona dove aveva la sua abitazione (Porta Romana).
Nel 1590 vide la luce a Colonia la sua prima opera in cui il lavoro di Ippocrate De aeribus, aquis et locis veniva tradotto e commentato. Considerato uno dei più prestigiosi medici del tempo, amante degli studi, Settala, come ogni intellettuale di rango, possedeva una ricca biblioteca, una discreta quadreria, una piccola collezione di oggetti preziosi e una raccolta di rare sostanze medicinali. Fu in rapporto epistolare con molti potenti ed eruditi ma «partecipava de’ pregiudizi più comuni e più funesti de’ suoi contemporanei» (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XXXI); con un suo consulto contribuì infatti alla condanna di una strega.
Filippo III di Spagna lo avrebbe voluto come storiografo, fu richiesto come lettore di filosofia a Ingolstad e a Firenze, ebbe offerte dalle università di Bologna e di Padova: rinunciò a tutte le proposte. Rimase dal 1605 fino alla morte lettore di filosofia morale e politica alle Scuole canobiane. Il frutto del suo insegnamento fu pubblicato negli anni 1626 e 1627 in due opere De ratione instituendae, et gubernandae familiae libri quinque, e Della ragion di Stato, libri sette. Nel 1606 scrisse un breve trattato, che ebbe più edizioni e fu molto conosciuto, De naevis (voglie o macchie di nascita), lavoro pienamente rispondente alla visione dell’epoca delle cose naturali e scritto per mostra d’ingegno e per bizzarria. Nel 1614 iniziò la pubblicazione (complessivamente nove libri) di una delle sue più utili opere mediche Animadversiones et cautiones medicas caratterizzate da un approccio pragmatico alla scienza e da indipendenza di giudizio. Le sue riflessioni e avvertenze abbondano di frasi assai giudiziose contraddicendo senza riguardo le opinioni delle scuole ove non in accordo con l’esperienza. Interessanti le sue considerazioni sulla cura delle ferite. Nel timore che la peste potesse invadere nuovamente il Paese, volle poi che l’esperienza acquistata durante l’epidemia del 1576 diventasse patrimonio comune e compilò De peste et pestiferis affectibus, rielaborando nel 1622 ciò che aveva steso negli anni giovanili.
L’opera fu molto apprezzata e citata come testo fondamentale sull’argomento. Vennero ricavati estratti che furono tradotti in italiano soprattutto in occasione della peste del 1630. L’autore stesso scrisse un compendio Della preservazione dalla peste, stampato a Milano e a Brescia nel 1630 e nel 1656 a Roma (Cura locale de’ tumori pestilenziali) e a Napoli (Breve compendio per preservarsi dalla peste), dove era scoppiata un’epidemia.
Nel 1628 ricoprì la più alta carica medica del Ducato, il protofisicato, prima ad interim per la morte di Bartolomeo Alessandro, poi ufficialmente con rescritto di Filippo IV di Spagna del 9 gennaio 1628. Ricoprendo quella carica manifestò ancora la sua esperienza nella nuova epidemia di peste del 1630, sia per una rapida diagnosi sia per le relative deliberazioni pubbliche. Rischiò la vita per la sua onestà nel dichiarare tempestivamente la presenza della peste, e che si diffondeva per contagio. Nell’attività fu coadiuvato dal suo luogotenente Alessandro Tadino (Milano, m. 1661) e dal figlio Senatore. Forse la sua attività non risultò molto intensa per l’età avanzata e perché colpito egli stesso dal morbo. Ne guarì rimanendo però leso.
Morì a Milano il 12 settembre 1633, in seguito a una apoplessia che lo aveva lasciato semiparalitico.
Fu seppellito nella basilica degli Apostoli, detta di S. Nazaro, dove era la tomba di famiglia.
Aveva sposato una gentildonna milanese, Angela (o Anna, secondo alcuni) Arona, e aveva avuto numerosa prole. Il primogenito Claudio Francesco (1586-1628) era entrato giovanissimo nell’Ordine dei gesuiti. Eredi delle sue sostanze furono quattro figli: Antonio, amministratore dei beni familiari, Senatore, medico come il padre, Manfredo, l’‘Archimede milanese’ (v. la voce in questo Dizionario), e Carlo Andrea, ecclesiastico divenuto vescovo di Tortona. Nel testamento furono ricordate pure due figlie monache. Tra i nipoti è da segnalare un figlio di Senatore, Ludovico (1626-1697), laureato in giurisprudenza a Pavia quale alunno dell’Almo Collegio Borromeo e divenuto vescovo di Cremona dal 1682.
Opere. In librum Hippocratis Coi de aeribus, aquis et locis commentarii, Coloniae 1590; In Aristotelis problemata commentaria, Hanoviae 1602; De naevis, Mediolani 1606; Animadversionum et cautionum medicarum libri septem, Mediolani 1614 (poi Animadversionum et cautionum medicarum libri duo, quae ad vulnera curanda, et quae ad componenda medicamenta pertinent continens, Mediolani 1629); De peste et pestiferis affectibus, Mediolani 1622; Analyticarum et animasticarum dissertationum libri duo, Mediolani 1626; De margaritis nuper ad nos allatis judicium, Mediolani 1626; De ratione instituendae et gubernandae familiae, Mediolani 1626; Della ragion di Stato, Mediolani 1627; Preservatione dalla peste, Milano 1630; De morbis ex mucronata cartilagine evenientibus liber unus, Mediolani 1632. Lasciò opere manoscritte.
Fonti e Bibl.: B. Corte, Notizie istoriche intorno a medici scrittori milanesi, Milano 1718, pp. 137-146; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum mediolanensium seu acta, et elogia virorum omnigena eruditione illustrium, qui in metropoli Insubriae, oppidisque circumjacentibus orti sunt, II, Mediolani 1745, pp. 1321-1328; G. Parodi, Syllabus lectorum..., Papiae (1753, p. 5 della copia interfoliata e postillata da Costantino Gianorini presente presso la Biblioteca Universitaria di Pavia, Manoscritti Ticinesi); P. Sangiorgio, Cenni storici sulle due università di Pavia e di Milano e notizie intorno ai più celebri medici, chirurghi e speziali di Milano dal ritorno delle scienze sino all’anno 1816. Opera postuma, a cura di F. Longhena, Milano 1831, pp. 258-272; S. De Renzi, Storia della medicina italiana, III, Napoli 1845, pp. 509 s., passim; E. Ferrario, Intorno alla vita ed alle opere mediche di L. S. Cenni, Milano 1857; P. Capparoni, Profili biobibliografici di medici e naturalisti celebri italiani dal sec. XV al sec. XVIII, II, Roma 1928, pp. 131-133; A.F. La Cava, La peste di S. Carlo. Note storico mediche sulla peste del 1576, Milano 1945, pp. 52-55; S. Rota Ghibaudi, Ricerche su L. S., Firenze 1959 (con elenco delle opere e delle loro edizioni a stampa); F.M. Ferro, La peste nella cultura lombarda, Milano 1973, pp. 89-91; G. Cosmacini, Il medico e il cardinale, Milano 2009, passim.