PICO, Ludovico
PICO, Ludovico. – Nacque a Concordia il 9 dicembre 1668 da Alessandro II, sovrano del piccolo ducato indipendente di Mirandola e Concordia, e da Anna Beatrice d’Este, figlia di Alfonso III, duca di Modena, ultimo figlio maschio della famiglia, dopo Francesco (1661-1689), Galeotto (1663-1710) e Giovanni (1667-1723).
Crebbe a Mirandola, dove compì i primi studi sotto la guida del padre somasco Leonardo Bonetti, buon letterato di rilievo locale, e poi del frate minore Fulvio Tangerini da Cento, teologo della corte dei Pico e diplomatico al servizio del duca. Venne destinato alla vita religiosa (1683), mentre i fratelli maggiori proseguivano le tradizionali attività militari e politiche della famiglia.
All’inizio degli anni Novanta fu coinvolto nella difficile situazione politica determinatasi nel Ducato di Mirandola a seguito della morte del padre, nel febbraio 1691, e del passaggio dello Stato al giovanissimo nipote Francesco Maria II (1688-1747), figlio di suo fratello Francesco, sotto la tutela della prozia Brigida (1633-1720). A Pico e ai suoi fratelli, Galeotto e Giovanni, fu riconosciuto, in qualità di zii del nuovo duca, un modesto appannaggio di 500 ducati annui, del tutto inadeguato a mantenere il loro status.
I tre reagirono impugnando il testamento presso il tribunale imperiale, ma, nel 1693, furono imputati dalla reggente di tentato avvelenamento ai danni del piccolo Francesco Maria e furono costretti all’esilio a Bologna. Su consiglio del cardinale Rinaldo d’Este, Pico si recò a Vienna per patrocinare le proprie ragioni presso l’imperatore Leopoldo I d’Asburgo e, nell’aprile 1697, il tribunale imperiale scagionò i tre fratelli dall’accusa, riconoscendo che questa derivava dalla volontà della reggente di estromettere da Mirandola i membri della famiglia che sfidassero il suo potere. Nonostante la vittoria giudiziaria e l’affermazione di una coreggenza di Brigida Pico e Rinaldo d’Este, a Pico fu però comandato di vivere lontano dal Ducato di Mirandola, per non turbare gli equilibri politici faticosamente raggiunti.
Egli si trasferì dunque a Roma, stabilendosi nel palazzo d’Este alle Stimmate, e il 21 maggio 1699 ottenne la carica di chierico della Camera apostolica, il massimo organo finanziario e contabile della Santa Sede. Il 7 giugno 1706, Clemente XI lo nominò maestro di camera e, poco dopo, patriarca di Costantinopoli e prefetto del Palazzo apostolico.
Il 26 settembre 1712 fu nominato cardinale. La nomina, oltre a riconoscere il fedele servizio di Pico, acquisiva un forte significato politico nel quadro dei difficili rapporti tra papato e Impero. Nel 1708, infatti, i Pico erano stati deposti dalle truppe imperiali a causa della loro alleanza con la Francia durante la guerra di successione spagnola e il Ducato di Mirandola aveva cessato di esistere come Stato autonomo. La fine della signoria dei Pico e il passaggio di Mirandola agli Este spinsero Pico a rivendicare, con alterna fortuna, una serie di beni di famiglia, che solo in parte riuscì a ottenere.
Pur non svolgendo un ruolo di primo piano negli equilibri curiali, Pico ebbe un certo rilievo nella vita religiosa e culturale romana. Membro dell’Arcadia con il nome di Aurasco Pamisiano, compose alcuni sonetti di gusto schiettamente petrarchesco. Dopo avere declinato l’offerta dell’arcivescovato di Fermo, fu vescovo di Senigallia dal 22 novembre 1717 al 10 settembre 1724, ma non vi svolse attività pastorali significative. Nel conclave del 1721 fu annoverato tra i cardinali filofrancesi e il suo nome circolò brevemente tra i papabili. Pochi anni dopo, nel conclave del 1724, seguì il partito del cardinale Annibale Albani, in nome della fedeltà all’eredità di Clemente XI.
Durante il pontificato di Benedetto XIII (1724-30), assunse un ruolo di maggiore rilievo nel governo religioso della Chiesa, come prefetto della congregazione delle Indulgenze e membro delle congregazioni del S. Uffizio, dell’Indice, del Concilio e della Fabbrica di S. Pietro. Vicino alla cultura gesuitica e ostile al giansenismo, si impegnò particolarmente nella promozione della cultura pastorale dei vescovi, ma anche nel contrasto al pensiero giurisdizionalista. Secondo una tesi accreditata dallo stesso Pietro Giannone, avrebbe finanziato la pubblicazione delle Riflessioni morali e teologiche sopra l’Istoria civile del Regno di Napoli del gesuita Giuseppe Sanfelice (Colonia 1728), che costituì la più articolata risposta curiale alle tesi giannoniane.
Partecipò al Concilio romano del 1725 e, nel 1727, fu membro di una congregazione speciale per reprimere il gioco del lotto. Il suo rigorismo lo portò tuttavia a entrare in conflitto con i discussi e venali collaboratori di Benedetto XIII e già nel concistoro dell’11 giugno 1725 votò, con altri nove cardinali, contro l’elezione al cardinalato di Niccolò Coscia, principale consigliere del papa. La sua opposizione a Benedetto XIII si espresse anche nel rifiuto di dismettere la parrucca, come richiesto a tutti i cardinali.
Nel lungo conclave del 1730, la candidatura di Pico venne avanzata dal cardinale Annibale Albani, nel maggio 1730, ma subì l’opposizione dell’imperatore, che riuscì a mobilitare 25 cardinali, spingendo Pico a rinunciare spontaneamente alla candidatura.
All’inizio del pontificato di Clemente XII, nell’agosto 1730, fu chiamato a far parte della congregazione ‘de nonnullis’, incaricata di istruire un processo per le malversazioni del cardinal Coscia e di altri collaboratori di Benedetto XIII. In questa fase, si dedicò pure al restauro delle chiese romane a cui era più legato. A partire dal 1728 fece realizzare dall’architetto Francesco Ferrari una complessiva risistemazione del presbiterio e della cripta di S. Prassede, chiesa di cui fu titolare dal 1728 al 1731, che consentì la riscoperta di un antico deposito di reliquie. A partire dal 1738 promosse inoltre la costruzione della chiesa del Ss. Nome di Maria al Foro Traiano, incaricandone l’architetto Antoine Deriset.
Alla morte di Clemente XII, fu ancora un candidato autorevole per il papato. Molto vicino al cardinale Albani, era ritenuto dalla Francia un cardinale amico, anche se le istruzioni agli ambasciatori sottolineavano la sua rigida difesa dell’autorità papale. Nel lunghissimo conclave del 1740, la sua candidatura emerse in alcune fasi come possibile compromesso tra la fazione degli Albani e quella dei Corsini, ma senza successo. Nello stesso anno venne chiamato a far parte di una congregazione incaricata di esaminare i candidati all’episcopato.
Morì a Roma il 10 agosto 1743.
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