ODASI, Ludovico
– Nacque nel 1455 da Bartolomeo, trasferitosi a Padova da Martinengo, nel Bergamasco, intorno alla metà del secolo, e da Sara da Camarano. Ebbe tre fratelli: Michele, Francesco e Antonio.
La sua formazione si svolse tra Padova e Venezia. Malgrado Comneno Papadopoli (1726) lo dica addottoratosi presso l’Università di Padova, gli Acta graduum dello Studio non recano traccia di una sua laurea. Vi compare invece il 27 ottobre 1479 come teste al dottorato in diritto civile di Sebastiano di Pietro Priuli: l’unica qualifica attribuitagli è quella di essere «in grecis et latinis literis eruditissimus» (Acta graduum, 2001, p. 554). La fama conseguita come studioso ed esperto di lettere antiche è confermata a quell'altezza dalla presenza di un suo carme elegiaco nella silloge In memoriam Domitii Calderini (Weiss, 1960), aperta da un epigramma di Angelo Poliziano. A Padova, e prima del suo definitivo trasferimento a Urbino nel 1482, Odasi conobbe lo stesso Poliziano, come attesta la prima delle quattro lettere che i due si scambiarono intorno al 1485.
La svolta nella carriera di Odasi avvenne, appunto, nel 1482: Federico da Montefeltro, duca di Urbino, gli affidò l'ufficio di precettore del figlio Guidubaldo, che aveva allora solo dieci anni. Si trattava certamente di un incarico di enorme prestigio, di cui nell’ambiente padovano si dovette parlare con grande ammirazione, come dimostra un lungo carme (112 versi elegiaci) del poeta Galeazzo Pontico Faccino In discessu Litavici Odaxii (Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana, Ashb. 1078, cc. 9v ss.). Odasi subentrò nel ruolo che fino al 1478 era stato di Gian Mario Filelfo e si affiancò al francescano Giorgio Benigno Salviati. Non si sa chi abbia suggerito il suo nome a Federico, ma è possibile che sia stato Ottaviano Ubaldini, consigliere del duca. Poco dopo l'arrivo di Odasi la morte di Federico (10 settembre 1482) sconvolse il Ducato, avviando una fase di governo in cui il giovane Guidubaldo fu posto sotto la tutela politica proprio di Ubaldini.
Odasi pronunciò la laudatio funebre di Federico, la Oratio habita in funere illustrissimi atque invictissimi Federici Urbini ducis, che probabilmente contribuì non poco a imporlo negli anni successivi come oratore ufficiale di corte. È trasmessa da sei codici: il ms. 1480 della Biblioteca Angelica di Roma, membranaceo, parrebbe la copia ufficiale della biblioteca di corte. L’ammirazione e la stima dell’ambiente cortigiano per il precettore del giovane principe crebbero negli anni e Odasi riuscì non solo a instaurare un rapporto di familiarità con Guidubaldo, ma anche ad assumere un ruolo non secondario negli indirizzi dell’umanesimo urbinate, soprattutto in virtù dei suoi interessi spiccati per testi didascalici greci di contenuto etico ed erudito, funzionali a un progetto educativo e culturale.
Nel 1485 ebbe il citato breve ma intenso scambio epistolare con Poliziano. Nella prima lettera Odasi ricorda di avere dedicato qualche tempo prima a Piero de’ Medici, allievo di Poliziano, la traduzione di un’opera di Plutarco, che avrebbe volentieri inviato all’amico. Poliziano lo invitò caldamente a spedirgli la traduzione, cosa che avvenne, come si ricava dalla terza missiva (l'unica datata: Gubbio, 27 giugno 1485), nella quale Odasi comunicava gli ossequi di Ermolao Barbaro e Pietro Contarini, incontrati a Venezia nell’autunno precedente (l’amicizia con Barbaro è testimoniata da una lunga epistola dell’umanista veneziano scritta a Odasi per la morte del padre Bartolomeo). Poliziano espresse il suo apprezzamento per il Plutarco tradotto da Odasi nell’ultima lettera della serie, la più lunga.
Dal carteggio non emergono indizi utili all’individuazione dell’opera, ma è sicuro in quegli anni l’impegno di Odasi come traduttore di Plutarco. Intorno al 1486 dedicò al cardinale di Siena Francesco Todeschini Piccolomini il Quomodo adulator ab amico internoscatur, preceduto da una Praefatio (l’esemplare di dedica è il ms. 1724 della Biblioteca Casanatense di Roma; altra copia nel ms. Vat. Lat. 8086). È innegabile che tale predilezione sia ricollegabile all'incarico di precettore ricoperto da Odasi, che stimolava l'interesse per testi applicabili al percorso di formazione culturale e umana del principe. All'allievo Odasi dedicò due opere che si inseriscono in questo filone: l’editio princeps della Cornu copiae di Niccolò Perotti, apparsa a Venezia per Paganino Paganini nel 1489, ma soprattutto la traduzione del De capienda ex inimicis utilitate e del Quo pacto quispiam ab inimicis emolumentum capere possit (Vat. Urb. Lat. 1432). Nelle dediche Odasi insiste molto sull’eredità morale e culturale che legava il giovane principe al padre, con la mediazione sapiente del precettore. Tale ruolo gli fu riconosciuto da Marcantonio Sabellico, che scrivendo, probabilmente alla fine degli anni Ottanta, a Guidubaldo non risparmiò gli elogi al magister padovano, il quale ringraziò con una lettera da Gubbio allo stesso Sabellico.
Contemporaneamente, si consolidò il suo ruolo pubblico come oratore ufficiale di corte: a lui nel 1488 fu affidata l’orazione commemorativa in suffragio di Ippolita Sforza (Oratio in funere Hyppolitae Aragoniae Calabriae ducis). Per il duca d'Urbino Odasi svolse anche incarichi di segretario e procuratore. Tra il 1496 e il 1503 fu più volte a Venezia, come attestano i Diarii di Marino Sanuto. La vicinanza alla famiglia del principe, e in particolare alla moglie Elisabetta Gonzaga, spiega anche la decisione di scrivere il 26 gennaio 1493 al fratello di questa, Francesco, quarto marchese di Mantova, per richiedere la sua intercessione presso il doge di Venezia affinché ad Antonio Odasi fosse assegnato l’incarico di 'vicecollaterale' di Padova, per lungo tempo ricoperto dal fratello Michele, scomparso da poco. Il 7 febbraio Gonzaga soddisfece la richiesta, scrivendo una lettera al doge Agostino Barbarigo (le lettere di Odasi e di Francesco sono conservate nell’Arch. di Stato di Mantova, Arch. Gonzaga, bb. 1591, c. 453r; 2961, I, c. 24r-v).
Odasi sposò, non sappiamo quando, Lucrezia Barzi da Gubbio, dalla quale ebbe tre figli: Lucrezia, Battista e Girolamo, che subentrò al padre nella carica di segretario ducale. La famiglia risiedeva in una splendida residenza in città, l’attuale palazzo Bonaventura Odasi.
Negli anni Novanta non mancarono ulteriori testimonianze del credito di cui Odasi godeva come umanista, soprattutto nel campo dei testi greci di genere allegorico-moraleggiante. Nel 1497 Filippo Beroaldo il Vecchio pubblicò la sua traduzione latina della Cebetis tabula in un’edizione contentente anche testi di Censorino, Leon Battista Alberti, Epitteto e Basilio Magno (Index librorum qui in hoc volumine continentur: Censorinus de die natali: Tabula Cebetis…, Bologna, B. Faelli). Il testo della versione, ricontrollato minuziosamente da Beroaldo (che si dichiara «amicissimus» di Odasi) su un codice greco, ebbe grande fortuna e fu più volte ristampato, segnando l’avvio dell’ampia fortuna umanistica dell’opera. Seguì la Praefatio indirizzata a Odasi del De rerum inventoribus di Polidoro Virgili (Venezia, C. Pensi, 1498) e la decisione di Giovanni Battista Valentini (Cantalicio) di affidare alla lima di Odasi, con l’epigramma Ad librum de Odaxio, il perfezionamento delle sue poesie, e, con il successivo carme Ad Ludovicum Odaxium Patavinum, di far leva sulla sua amicizia con il duca per la favorevole accoglienza della silloge da parte di Guidubaldo (nell'Urb. Lat. 718).
Tra il 1502 e il 1503, durante l'occupazione di Cesare Borgia, Odasi non abbandonò Urbino. Rientrato Guibaldo, i rapporti con il duca ripresero senza problemi, tanto che proprio a Odasi fu affidata l’orazione funebre in occasione delle esequie di Guidubaldo, il 2 maggio 1508. L’oratio funebris fu assai apprezzata da tutti coloro che assistettero ai funerali. Il giorno successivo Giovanni Gonzaga riferì al fratello Francesco: «Messer Lodovico Odaxio preceptore et secretario del Duca morto fece la oratione, la quale durete circa una hora, qual fu bellissima, per quanto dicono coloro se ne intendono più de me» (in Luzio - Renier, 1893, p. 185 n.1). Baldassarre Castiglione si servì dell'orazione quasi come traccia per comporre il suo De vita et gestis Guidubaldi; Pietro Bembo la introdusse, in una versione amplificata, nel suo dialogo De Guido Ubaldo Feretrio deque Elisabetha Gonzaga Urbini ducibus liber, composto tra il 1509 e il 1510 e andato a stampa solo nel 1530. La versione bembiana dell’orazione ha peraltro a lungo fatto dimenticare quella originaria di Odasi, pubblicata anch’essa, nel 1508, a Pesaro per i tipi di Girolamo Soncino (il testo è stato riportato all’attenzione da Benedetti, 2008).
Morì a Urbino l’8 agosto 1509. Fu sepolto, secondo quanto da lui espressamente stabilito nel testamento rogato nel luglio di quell’anno presso il notaio Roberto De Azzi, nella chiesa di S. Bernardino fuori delle mura, la stessa che ospitava i suoi due mecenati, Federico e Guidubaldo.
Fonti e Bibl.: A. Poliziano, Letters, I, Books I-IV, a cura di Sh. Butler, Cambridge (Mass.)-London 2006, pp. 140-154; E. Barbaro, Epistolae, orationes et carmina, a cura di V. Branca, I, Firenze 1943, pp. 47-50; N. Comneno Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini…, II, Venezia 1726, pp. 176 s.; G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, II, Padova 1836, pp. 6-8; V. Rossi, Di un poeta maccheronico e di alcune sue rime italiane, in Giornale storico della letteratura italiana, XI (1888), pp. 6-13, 31-40; A. Luzio - R. Renier, Mantova e Urbino: Isabella d’Este ed Elisabetta Gonzaga nelle relazioni famigliari e nelle vicende politiche, Torino-Roma 1893, p. 185 n. 1; A. Pinetti - E.E. Odazio, L’umanista Ludovico Odasio alla corte dei duchi d’Urbino, in Archivio storico lombardo, s. 3, XXIII (1896), pp. 355-380; A. Altamura, Un’orazione inedita di Lodovico Odasio per la morte d’Ippolita Sforza, in Studi e ricerche di letteratura umanistica, Napoli 1956, pp. 43-52; J.F.C. Richards, The poems of Galeatius Ponticus Facinus, in Studies in the Renaissance, VI (1959), p. 113; R. Weiss, In memoriam Domitii Calderini, in Italia medievale e umanistica, III (1960), p. 313; L. Michelini Tocci, Agapito, bibliotecario «docto, acorto et diligente» della Biblioteca urbinate alla fine del Quattrocento, in Collecatenea Vaticana in honorem Anselmi M. Card. Albareda, II, Città del Vaticano 1962, pp. 273 s.; M. De Nichilo, L’orazione in morte di Ippolita Sforza, in Monopoli nell’età del Rinascimento, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Monopoli, 22-24 marzo 1985), a cura di D. Cofano, Monopoli 1988, pp 683-730; C. Bevegni, Appunti sulle traduzioni latine dei «Moralia» di Plutarco nel Quattrocento, in Studi umanistici piceni, XIV (1994), p. 74; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1471 ad annum 1500, a cura di E. Martellozzo Forin, Roma-Padova 2001, p. 554 n. 631; S. Benedetti, Itinerari di Cebete. Tradizione e ricezione della Tabula in Italia dal XV al XVIII secolo, Roma 2001, pp. 53-66; R. Monreal, Una biografia in versi: gli epigrammi di Giovanni Battista Valentini, detto il Cantalicio, sulla vita e le gesta di Federico da Montefeltro, in Studi umanistici piceni, XXII (2002), pp. 129-137; U. Motta, Castiglione e il mito di Urbino. Studi sulla elaborazione del «Cortegiano», Milano 2003, passim; C. Bianca, La presenza degli umanisti ad Urbino nella seconda metà del Quattrocento, in Francesco di Giorgio Martini alla corte di Federico da Montefeltro, Atti del Convegno internazionale di studi (Urbino, 11-13 ottobre 2001), a cura di F.P. Fiore, Firenze 2004, pp. 133 s.; U. Motta, Introduzione a B. Castiglione, Vita di Guidubaldo duca di Urbino, Roma 2006, pp. LXVII s.; S. Benedetti, «In funere Illustrissimi Principis Guidubaldi»: L. O. e l’orazione per la morte di Guidubaldo da Montefeltro, in Humanistica, III (2008), pp. 15-33.