LUDOVISI, Ludovico
Nacque a Bologna intorno al 1415 da Verzuso di Paolo e da Antonia di Pasio Fantuzzi. Ebbe alcuni fratelli maggiori, tra i quali Nicolò, e due sorelle, Uliana e Giovanna, spose rispettivamente di Benedetto Ratta e di Antonio Magnani.
Avviato agli studi e alla carriera ecclesiastica, nel 1438 divenne canonico della cattedrale di S. Pietro e nel novembre 1440 dottore in diritto civile. Nel 1443-44 gli fu assegnata la lettura del Digesto nuovo nello Studio bolognese e l'anno seguente la lettura ordinaria serale del Codice. Acquisì nel contempo incarichi ecclesiastici e fu uditore apostolico e amministratore dell'abbazia cittadina dei Ss. Naborre e Felice. Il 17 marzo 1445 fu aggregato al Collegio dei dottori di diritto civile. Il 25 nov. 1448 divenne dottore anche in diritto canonico e fu in seguito cooptato nel corrispondente collegio legale. Incaricato della lettura ordinaria serale delle Decretali la tenne solo per il 1450-51, forse per prevalenti impegni nell'amministrazione ecclesiastica. Il 24 genn. 1454 Niccolò V gli conferì il decanato di S. Michele dei Leprosetti e Callisto III il 15 apr. 1455 lo nominò protonotario e referendario apostolico. Per il 1456-57 gli fu assegnata la prestigiosa lettura ordinaria mattutina delle Decretali, ma non è certo che il L. abbia svolto le lezioni di rito, poiché da dicembre a febbraio egli risulta presente a Roma.
Tra i motivi di questo distacco da Bologna sembra abbia avuto un ruolo la questione dell'arcidiaconato della cattedrale, dignità cui ineriva l'ufficio di cancelliere dello Studio. Nell'autunno 1455 il capitolo della cattedrale, in virtù di una lettera pontificia del luglio che gliene dava facoltà, aveva nominato il L. arcidiacono. Ma il cardinale Ludovico Mila, nipote di Callisto III e legato in Bologna, aveva voluto per sé dignità e reddito dell'arcidiaconato e lo zio, che in precedenza aveva avallato la nomina del L., ne assecondò i desideri. L'ambiente bolognese si piegò alla volontà del papa, ma, morto Callisto III, si manifestò immediata e decisa l'opposizione al Mila. Il 10 ag. 1458, il Collegio dei dottori di medicina e arti riconobbe il L. legittimo arcidiacono e lo stesso fece in seguito il capitolo della cattedrale. Pio II, giudicando tale riconoscimento lesivo del prestigio del legato pontificio, lo annullò; ma, perdurando nei vari collegi dei dottori dello Studio l'incertezza sul legittimo titolare della dignità, il 18 marzo 1459 dichiarò decaduti entrambi i contendenti e nominò Giacomo Feo, vescovo di Savona, economo provvisorio dell'arcidiaconato con facoltà di agire quale cancelliere dello Studio.
Nel frattempo il L. era a Roma, occupato negli incarichi di Curia. Ebbe anche modo di rafforzare i rapporti con gli Sforza di Milano, nei cui domini erano ubicati due importanti benefici da lui goduti, la basilica dei Ss. Felice e Fortunato in diocesi di Piacenza e l'abbazia di S. Maria di Castiglione in quella di Parma. Nelle lettere scambiate tra dicembre 1456 e gennaio 1462 con Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, ai ragguagli forniti dal L. sulle pratiche di interesse della signoria trattate in Curia, fanno riscontro le assicurazioni di loro interventi a favore del L. in materia di benefici.
Il 18 apr. 1463 il L. ottenne infine da Pio II la nomina ad arcidiacono della cattedrale bolognese, e il 23 luglio il S. Collegio lo inviò nunzio apostolico presso Luigi XI, re di Francia. Nel corso della missione protrattasi fino all'aprile 1464 il L. mantenne anche i rapporti con Francesco Sforza, curandone di fatto, d'intesa con gli ambasciatori milanesi, immagine e interessi in corte di Francia.
Nell'ottobre 1465 riprese stabile dimora in Bologna. Alle funzioni connesse alla dignità di arcidiacono unì quelle di vicario generale del vescovo, il tutto accompagnato dall'assegnazione di altri benefici.
Fu un periodo contrassegnato anche da un'intensa attività di compravendite e concessioni immobiliari, in cui egli agiva sia quale amministratore dei suoi numerosi benefici sia in proprio, avendone ottenuta espressa licenza. Difficile è stabilire la consistenza del patrimonio così accumulato. Nel testamento da lui redatto nel novembre 1461, il solo che si conosca, appariva titolare di forti crediti, proprietario di una grande casa in cappella di S. Nicolò degli Albari e di un'estesa unità immobiliare in cappella di S. Maria degli Alemanni. Ma i tanti acquisti di cui resta traccia nei registri di imbreviature dei notai bolognesi dal 1465 in poi mostrano che il suo patrimonio si incrementò in quegli anni in misura considerevole.
Parte non irrilevante del suo reddito fu peraltro destinata dal L. a interessi diversi da quelli immobiliari. Raccolse infatti nella sua abitazione bolognese una biblioteca, ricca di oltre 250 opere. Vi erano i testi della migliore dottrina di diritto canonico e civile, dalla Summa di Azzone alle opere di giuristi contemporanei, come Ludovico Bolognini; testi sacri, tra cui un codice molto antico della Bibbia; opere di dottori della Chiesa, da Agostino a Tommaso; testi della letteratura latina, da Cicerone a Seneca; opere di Cassiodoro, Petrarca, Francesco Filelfo. Vi erano anche nove esemplari dei primi libri a stampa, tra cui il De civitate Dei di Agostino e la Naturalis historia di Plinio.
La composizione della biblioteca fa intuire che la prevalente attenzione del L. era rivolta al diritto, ma probabilmente più alla prassi che alla speculazione teorica. Lo si deduce sia dal tenore dei suoi scritti di cui è memoria - Decisiones quale uditore della Sacra Rota (Fontana) e un Consilium (de Marsiliis, p. 82a) - sia dalla sua scarsa disponibilità per l'attività di docente. Al rientro in città aveva di nuovo ottenuto per il 1465-66 la lettura ordinaria mattutina delle Decretali, ma l'insegnamento fu definitivamente abbandonato l'anno seguente.
Fu invece assiduo alle sedute dei collegi di diritto civile e canonico, ricoprendovi ripetutamente la carica di priore. Alcune decisioni lo riguardarono direttamente, come quella del Collegio canonico che il 22 ott. 1466 gli riconobbe il diritto a farne parte, nonostante la sua dignità di arcidiacono, con la motivazione che ne aveva già fatto parte prima di assumere tale dignità. In altre decisioni, significative per l'oggetto o per i contrasti che le precedettero, ebbe ruolo di un certo rilievo. Priore del Collegio civile, il 10 sett. 1466 fece approvare tratti di procedura, accolti nella successiva prassi, per l'esame delle richieste di più cittadini, candidati nello stesso anno al solo titolo di dottore conferibile. Il 12 settembre, ritrovati nell'urna della votazione segreta per l'aggregazione di un nuovo dottore più voti dei presenti, convinse il Collegio della opportunità che i voti venissero espressi segretamente, ma a voce, al notaio di Collegio. Il sistema fu applicato di nuovo nell'agosto 1469, su sollecitazione dello stesso L. e dei dottori Scipione Gozzadini e Bartolomeo Lambertini, che ne condividevano spesso le opinioni.
Non cessò però il malcostume dei brogli. Un numero di voti superiore a quello dei presenti si ebbe anche nell'agosto 1473 per la cooptazione di Gaspare Canonici, respinta per tale motivo. Il Canonici ricorse al papa e Sisto IV con breve del 16 settembre ne chiese l'aggregazione. Il Collegio dibatté a lungo, tra scontri vivaci e assenze mirate, e infine il 26 ott. 1473, con l'assenso di soli sette dottori, tra cui il L., cooptò il Canonici. La delibera con cui il Collegio si era piegato alla volontà del papa non fu senza conseguenze. Si ebbe anzitutto una restrizione delle deroghe. Lo mostrò la decisione con cui il 27 dic. 1473 il Collegio, priore lo stesso L., in nome dell'assoluto rispetto delle norme, respinse la richiesta di dispensa del completamento della lettura presentata da Paolo da Legnano, discendente del canonista Giovanni. Nel contempo i dottori che si erano opposti alla volontà del papa impugnarono la decisione del Collegio di fronte al cardinale legato e ne ottennero l'annullamento. La questione, ripetutamente dibattuta, trovò soluzione solo nel luglio 1475 quando il Collegio, censurato il Canonici per essersi rivolto al papa, annullò tutte le precedenti delibere e ne decretò ex novo l'aggregazione.
A questi ultimi dibattiti peraltro il L. non prese parte. All'inizio di agosto 1474, affidata ad Antonio Magnani ampia procura per la gestione dei suoi affari, lasciò Bologna. Non è noto dove egli si fosse diretto; nell'estate 1475 era a Milano, dove morì il 26 agosto.
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