LIPPARINI, Ludovico
Nacque a Bologna il 17 febbr. 1800 da Giuseppe e da Francesca Tarin. Trasferitosi a Venezia sin dal 1817, iniziò a studiare con L. Cozza e si perfezionò all'Accademia di belle arti con T. Matteini, che lo indirizzò verso lo studio dei gessi greci e canoviani e la pratica del disegno. Prese studio al primo piano di palazzo Moro Lin insieme con F. Hayez, di cui realizzò a disegno un ritratto (Venezia, Museo civico Correr) e per il quale posò per la figura del messaggero nel dipinto Pietro Rossi (1818-20). Nel 1820, in occasione di una gara che coinvolse anche Hayez e altri allievi di Matteini, il L. dipinse un Filottete ferito (Venezia, palazzo Barozzi Emo Treves de Bonfili), che segnò il suo esordio sulla scena lagunare e fu acquistato dal barone G. Treves per ornare, insieme con le statue di Ettore e Aiace di A. Canova, il proprio palazzo veneziano. Tra il 1821 e il 1822 compì soggiorni di studio a Roma, dove realizzò alcune copie da Th. Lawrence (Ritratto del pontefice Pio VII; Ritratto di Antonio Canova, già Milano, collezione Vallardi), e a Napoli, dove ritrasse gli ufficiali dello stato maggiore dell'Esercito austriaco di stanza nella città. Tornato a Venezia nello stesso 1822, sulla scorta della lezione matteiniana approfondì il genere ritrattistico sia attraverso la copia dei grandi maestri del passato, da H. van Rijn Rembrandt a D. Velázquez, a M.J. Miereveld, sia attraverso la copia dal vero. Si recò, quindi, a Firenze per studiare i cinquecentisti toscani e, in particolare, le opere di Fra' Bartolomeo (Bartolomeo di Paolo); tornato per breve tempo a Bologna, fu poi a Parma per vedere le opere del Correggio (Antonio Allegri). Rientrato a Venezia nel 1823, iniziò a lavorare a un grande quadro storico di ispirazione neoclassica, Il giuramento degli Orazi. Una prima versione di minori dimensioni fu presentata nel 1824 all'esposizione annuale dell'Accademia di belle arti di Bologna insieme con un dipinto di tematica religiosa, S. Maria Maddalena orante nel deserto, acquistato da Felice Baciocchi, principe di Lucca e Piombino, e con un Ritratto di Gioacchino Rossini che fu più volte replicato. Questi lavori procurarono al L. la nomina a socio onorario dell'Accademia bolognese, nonché le prime commissioni, come l'effigie del Beato Angelo da Acri per la chiesa di S. Giuseppe dei cappuccini a Bologna e il S. Matteo in forma di lunetta per la chiesa della Madonna della Salute a Venezia (1825-30).
Nell'aprile del 1824 sposò a Venezia la pittrice Anna Rosa Manetti, che aveva diciotto anni più di lui, alla quale si devono molti degli sfondi paesaggistici dei suoi quadri. Dal loro matrimonio nacque, nel luglio dello stesso anno, Elisabetta, detta Elisa: evento celebrato nell'intimo Ritratto di famiglia (1824: Milano, collezione privata, già collezione Mariannina Vanzetti Vergara di Craco). Alla mostra annuale dell'Accademia di Bologna del 1825 espose un gruppo di ritratti realizzati negli ultimi due anni (La famiglia del sig. Filippo Panni bolognese, Ritratto del prof. Antonio Basoli pittore, La principessa Elisa Napoleona Baciocchi e il fratello Federico Napoleone) e la versione finale del Giuramento degli Orazi, ammirato da A. Astolfi per il colore, memore della migliore tradizione cinquecentesca veneziana, e per l'attenzione rivolta "al ben delineare, a disporre le figure, ad esprimere con ogni veracità nel loro portamento, e sembiante i vari affetti addimandati dal subjetto".
Il dipinto confermava l'adesione del L. all'idealismo classicistico di L. Cicognara, del quale aveva realizzato, nello stesso anno, un ritratto (Venezia, Gallerie dell'Accademia, in deposito presso la Galleria internazionale d'arte moderna a Ca' Pesaro; a Venezia si trova anche, nella collezione Treves, una seconda versione, a mezzo busto; una terza, più tarda, è a Ferrara presso la Pinacoteca nazionale): una delle sue opere più riuscite per finezza d'introspezione psicologica.
Attraverso il conte Carlo Pepoli di Bologna, conobbe G. Leopardi e fu in contatto con i letterati P. Giordani e P. Costa. Nel 1826 presentò La stanza del pittore Francesco Francia visitato da Giovanni Bentivoglio II e nel 1827 un dipinto di soggetto bacchico (tratto dal VI libro delle Metamorfosi di Ovidio), Erigone, che, lodato dallo stesso cardinale Giacomo Giustiniani, decretò il successo del pittore, tanto che in tale occasione venne data alle stampe una raccolta di scritti e componimenti dedicati a lui e alla sua opera, già apparsi separatamente negli anni precedenti (A L. L. pittore socio onorario dell'Accademia di belle arti in Bologna, Bologna 1828).
La sua posizione era, dunque, già ben consolidata quando, nel 1831, in seguito alla scomparsa del cognato, ottenne la cattedra di elementi di figura all'Accademia di Venezia ma, nonostante l'appoggio di Cicognara, non quella di pittura, assegnata a O. Politi, nei confronti del quale mosse nel 1836 l'accusa di aver ispirato e finanziato la pubblicazione del libello di G.E. O' Kelles, Confutazione di recente sentenza con cui sembra interdetto ai letterati non artisti il dare ragione delle arti belle, stampato a Venezia nel 1836 (Mazzocca, p. 62).
Risalgono al periodo giovanile soggetti tratti dalla mitologia e dalla storia antica, tra i quali si ricordano: Leda con Giove trasformato in toro, commissionato intorno al 1827 da Michelangelo Gualandi di Vicenza, quale pendant dell'Erigone; La morte di Camilla, ordinato nello stesso periodo dal conte F. Gualdo di Vicenza, già committente della versione più piccola del Giuramento degli Orazi; Socrate scopre Alcibiade nel gineceo, dipinto nel 1829-30 per G. Treves, quale pendant di un quadro di Hayez di soggetto analogo. A questa produzione più accademica e attardata faceva da contraltare l'attività ritrattistica, in gran parte rappresentata da opere di carattere ufficiale destinate a membri della vecchia e nuova aristocrazia (Il principe di Metternich; Il conte di Kolowrat; Iacopo e Giuseppe Treves: Venezia, Palazzo Barozzi Emo Treves de Bonfili; Ritratto di Auguste-Frédéric-Louis Viesse de Marmont: ibid., Gallerie dell'Accademia, in deposito presso la Galleria internazionale d'arte moderna a Ca' Pesaro) e a esponenti della classe borghese (L'ingegner Milani: Venezia, Palazzo Barozzi Emo Treves de Bonfili; Il deputato di borsaAron Isach de Parente: Trieste, Palazzo della Borsa Vecchia; Ritratto del signor Giovanni Pirotti sartore; Odoardo Reinganum negoziante di Francoforte sul Meno; L'attrice comica Pasqualina: si veda A L. L. pittore socio onorario dell'Accademia di belle arti in Bologna, Bologna 1828, pp. 25 s.).
Al di là della serie di piccoli quadri (La vedova del soldato, La famiglia di un marinaio, Gli orfanelli, Due fanciulli smarriti) realizzata nel 1828 per M. Gualandi di Vicenza con soggetti derivati da dipinti di A. Scheffer, incisi da T. Iohannot (ibid., p. 24), l'interesse per nuove tematiche e l'emergere di riferimenti culturali alternativi sono testimoniati dalle opere della metà degli anni Trenta, quando, in sintonia con il rinnovamento dell'ambiente culturale veneziano, il L. si volse alla storia medievale, ispirandosi a drammi e romanzi del tempo e aderendo alla formula del moderno romanticismo storico, già sperimentata con esiti originali da Hayez. Tra queste opere si ricordano: Marin Faliero, esposto all'Accademia di belle arti di Venezia nel 1835 insieme con Cia degli Ordelaffi e ordinato da Salomone Parente di Trieste; il soggetto biblico La famiglia di Caino, presentato nel 1837 all'Accademia di Brera e allogato dal banchiere milanese Ambrogio Uboldo (Pinto, p. 214 n. 11); Vettore Pisani liberato dal carcere e presso ad essere comunicato, commissionato dall'imperatore d'Austria Ferdinando I (1840 circa: Vienna, Österreichische Galerie Belvedere; incisione di D. Gandini su disegno di Leipoldi, edita da P. Ripamonti Carpano, del 1855 circa: Venezia, Museo civico Correr).
Nel 1838 vinse, insieme con Politi, F. Schiavoni, M. Grigoletti e ai pittori nazareni J. Tunner e J. Schönmann, il concorso per l'esecuzione di sei pale d'altare per la chiesa di S. Antonio Nuovo a Trieste, progettata dall'architetto P. Nobile in stile neoclassico, dove realizzò, per il primo altare di sinistra, Le sante martiri aquileiesiEufemia, Tecla, Erasma e Dorotea (1840).
Caratterizzata da forme nitide e smaltate e da un impianto scenografico memore della grande tradizione pittorica bolognese, di cui Antonio Basoli era stato l'ultimo rappresentante, l'opera affrontava il tema con piglio narrativo illustrando, attraverso l'esasperazione delle fisionomie e dei gesti e l'evidenza dei contrasti cromatici, il momento più drammatico della storia, quello precedente il martirio. Contemporaneamente, sulle orme di Hayez e sulla scorta della Histoire de la régénération de la Grèce di F.-L. Pouqueville, il L. arrivò a trattare personaggi ed episodi della storia recente e, in particolare, l'epopea della rivoluzione greca. Unendo contenuti patriottici e concezione squisitamente estetica della pittura, contribuì alla fortuna di un gusto e di una tematica destinati al successo sia tra i sostenitori della Restaurazione sia tra i liberali, come testimoniano i dipinti Costantino Ipsilanti, eseguito nel 1834 per Francesco Arese, reduce dalla prigione asburgica dello Spielberg; Suliotto che medita sulle condizioni della patria, esposto a Milano nel 1837 e replicato ancora una volta nel 1841 per la granduchessa Elena di Russia (collezione ignota; acquerello, 1838: Cipro, collezione arcivescovile; disegno a penna, 1842, Atene, Museo Benaki); L'arcivescovo Germanos pianta lo stendardo crociato sulla rupe di Calafrita (Milano, Galleria d'arte moderna), esposto a Venezia nel 1838 e acquistato dal marchese Filippo Ala Ponzoni; Corsaro greco, ordinato nel 1839 da Antonio Pitozzi (Brescia, Pinacoteca civica Tosio Martinengo); Morte di Lambro Zavella, esposto a Milano nel 1840 e destinato al collezionista sabaudo Gaetano Bertolazzone d'Arache; La morte di Marco Botzaris, che fu realizzato da L. in tre redazioni diverse solamente nella resa dei costumi e degli accessori. La prima di questa venne commissionata dal principe K.L. Wenzel von Metternich nel 1840; la seconda apparve nel 1841 alla Promotrice triestina per poi passare nella villa di Michele Sartorio, collezionista d'arte contemporanea (Trieste, Civico Museo Sartorio); la terza, destinata al conte ungherese Casimiro Batthyány a Milano, fu esposta all'Accademia di belle arti di Venezia nel 1844 insieme con il dipinto Una barca dei greci, commissionato dalla direzione generale delle Pubbliche Costruzioni della Repubblica di Venezia e più volte replicato negli anni successivi: per la viceregina (Maria) Elisabetta di Savoia-Carignano così come per il liberale veneto Giuseppe Maria De Reali (1846: Verona, Banca d'Italia). Opere che, con Il giuramento di Byron sulla tomba di Marco Botzaris, esposto a Venezia nel 1850 (Treviso, Museo civico, Raccolta Giacomelli), sono tutte caratterizzate da un disegno duro e incisivo e da un impianto teatrale di salda tenuta drammatica anche se non sempre aderente alla realtà storica dei fatti.
In seguito alla scomparsa di Politi, il L. ottenne nel 1847 la cattedra di pittura dell'Accademia di belle arti di Venezia, e nel 1848 entrò a far parte della commissione di esperti, annoverati tra noti artisti e docenti dell'Accademia, ordinata dal governo provvisorio di D. Manin per valutare il patrimonio artistico della città nel tentativo di sostenere la sollevazione popolare antiaustriaca. Negli anni successivi fu direttamente coinvolto, in qualità di consigliere, nei lavori di restauro della palladiana villa Barbaro di Maser, acquistata nel 1851 dal mercante di tessuti e collezionista d'arte contemporanea Sante Giacomelli. Fino all'ultimo si dedicò all'insegnamento in Accademia, dove ebbe tra i suoi allievi i pittori A. Rotta, P. Molmenti e T. Cremona.
Il L. morì a Venezia il 19 marzo 1856.
Fonti e Bibl.: A. Astolfi, Sopra alcuni dipinti di L. L. di Bologna…. Discorso, Bologna 1825, p. 23; N. Barbantini, Catalogo della mostra del ritratto veneziano dell'Ottocento, Venezia 1923, p. 15, nn. 90-101; S. Moschini Marconi, Gallerie dell'Accademia di Venezia. Opere d'arte dei secoli XVII, XVIII, XIX, Roma 1970, pp. 197 n. 476, 207 n. 507, 210 s. nn. 515 s.; Venezia nell'età di Canova 1780-1830 (catal.), a cura di E. Bassi et al., Venezia 1978, pp. 257, 273 n. 389; S. Pinto, Venezia nell'età di Canova: la mostra e alcune divagazioni, in Arte veneta, XXXIII (1979), pp. 209-215; G. Pavanello - G. Romanelli, Venezia nell'Ottocento. Immagini e mito (catal., Venezia), Milano 1983, p. 158; Risorgimento greco e filellenismo italiano. Lotte, cultura, arte (catal.), a cura di C. Spetsieri Beschi - E. Lucarelli, Roma 1986, pp. 231, 247, 297; R. Fabiani, La chiesa di S. Antonio Nuovo, in F. Firmiani, Arte neoclassica a Trieste, Trieste 1989, pp. 143, 148, 150, 199, 239 s.; F. Mazzocca, Arti e politica nel Veneto asburgico, in S. Marinelli - G. Mazzariol - F. Mazzocca, Il Veneto e l'Austria: vita e cultura artistica nelle città venete, 1814-1866 (catal., Verona), Milano 1989, pp. 62 s., 179, 192-194; La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, I, ad ind.; II, pp. 884 s.; E. Noè, Un busto neoclassico (e una congiuntura post-canoviana) a Venezia, in Ateneo veneto, s. 3, CLXXXIX (2002), 1, p. 71; A. Bernardello, Venezia 1848: arte e rivoluzione, in Società e storia, XXV (2002), 96, pp. 282, 284 n., 285; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 266; A.M. Comanducci, Diz. illustrato dei pittori disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei, III, pp. 1723 s.; Diz. encicl. Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani, VI, p. 441 (G.L. Marini).