LEPOREO, Ludovico
Nacque nel 1582 a Brugnera, in Friuli sulla riva destra del Tagliamento, probabilmente da un Guerrino, cancelliere della Comunità dal 1562 al 1611. La famiglia si trasferì più tardi a Udine, forse al seguito del fratello Niccolò, che nel 1637 vi ricopriva la carica di notaio della Cancelleria pretoria. Il L. ricevette la prima istruzione a Porcia e a Pordenone, per poi proseguire gli studi umanistici all'Università di Padova. Qui iniziò, giovanissimo, a comporre versi e forse conobbe Paolo Beni, dal 1600 professore di eloquenza nell'ateneo. Anche un altro fratello, Giovanni, coltivò le lettere e con lo pseudonimo anagrammatico di Giuniano Elpireo pubblicò a Lucca nel 1669 una raccolta di versi intitolata La zampogna.
Entrato in religione, nel 1602 il L. si recò a Roma, sotto il pontificato di Clemente VIII, ed entrò al servizio del cardinale Ottavio Parravicino. Durante i circa cinquant'anni della sua permanenza nella città lavorò come semplice scrivano presso la Dataria apostolica.
La sua prima opera edita è probabilmente il Canto trionfale nel giorno santificato da n. sig. papa Paolo V in honore del b. Carlo Borromeo card. di S. Prassede arcivescovo di Milano (Conegliano 1612), poemetto di 125 ottave composto nel 1611, prima della canonizzazione del beato Carlo, e dedicato a Federigo Borromeo.
Malgrado l'impiego ottenuto a Roma non gli offrisse né opportunità di carriera né soddisfazione personale, ma anzi amarezze e delusioni per l'indifferenza dell'ambiente ecclesiastico (non ricevette nulla alla morte del Parravicino, che pure aveva servito devotamente), il L. raggiunse tuttavia una certa popolarità negli ambienti letterari e godette di protezioni altolocate. Giovanni Rinaldo de' Monaldeschi, amante di Cristina di Svezia, finanziò la stampa romana, del 1651 o 1652, della Centuria di leporeambi; a Gregorio Ariani è dedicato il Decadario trimetro (Roma 1634). Fu membro dell'Accademia dei Fantastici.
Si allontanò solo in poche occasioni da Roma: nel 1612 circa, dopo la morte del Parravicino; nel 1647, quando pubblicò le Colpe e discolpe di Cupido per lo stampatore N. Schiratti di Udine (edite lo stesso anno anche a Roma); poi nel 1652 quando a Udine pronunciò, in onore del luogotenente veneziano al termine del mandato, il Panegirico nella partenza del suo reggimento del luogotenente Francesco Erizo (Udine 1652).
Il L. morì, probabilmente a Roma, verso il 1655.
Vastissima la sua produzione letteraria, pubblicata in numerose edizioni, talvolta in forma di opuscoli di poche pagine, che già alla metà del Settecento, secondo la testimonianza di Cinelli Calvoli, risultavano difficilmente reperibili. Può essere suddivisa tra composizioni d'occasione di carattere encomiastico e celebrativo, di cui molte a soggetto sacro, e raccolte poetiche di ispirazione personale. Assai folta la produzione di primo tipo, con cui il L. soddisfaceva le esigenze politico-diplomatiche degli ambienti curiali romani (Tributo alla maestà di Filippo IV, re di Spagna e Indie, Roma 1639; Leporeambo eroico alla sacra maestà cesarea di Ferdinando terzo, ibid. 1640; Encomium Romanum Pamphylicum, ibid. 1652; Decadario leporeambo alfabetico Panfilico, ibid. 1652; Leporeambo alfabetico eroico delle grandezze medicee, ibid. 1639), ovvero celebrava le ricorrenze della sfarzosa liturgia barocca (Versione della sequenza de' morti Dies irae, Roma 1643; la serie di Recitativi musicali pubblicati a Roma dallo stampatore V. Mascardi nel 1650: Nella notte natale di Nostro Sig. Giesù Christo; Per la circoncisione et nominanza di Giesù; Per la morte di Giesù; Per la Resurrettione di Giesù; Per l'Ascensione di Giesù; Di Dio uno trino).
Tra le composizioni d'occasione spicca l'opuscolo La villa Borghese (Roma 1628), definito nei versi stessi dal L. un bozzetto "povero di colori poetici per ritrarre a pennello" le bellezze naturali e artistiche di villa Borghese. Nell'operina, il L. si fa cicerone poetico di immaginarie visitatrici, che si rivelano poi essere le Muse, all'interno della villa. La descrizione, tra i tradizionali topoi del locus amoenus e dell'eterna primavera, si fa a tratti interessante nella rassegna delle statue e dei busti degli uomini famosi, nell'elogio dell'arte che sopravvive al tempo nelle opere custodite all'interno della Galleria Borghese, ma scivola nella noterella encomiastica con le lodi a Scipione Borghese.
La poesia del L. è caratterizzata da un radicale anticlassicismo e da un acceso sperimentalismo metrico-linguistico, che conferisce ai suoi componimenti un timbro molto personale, anche nel variegato panorama della lirica barocca. Il Decadario trimetro (Roma 1634) è una raccolta di 110 "deche", vale a dire componimenti poetici di dieci versi (due quartine più un distico) in cui ogni verso contiene tre rime uguali, due interne e una finale, rime che si susseguono con ordine alfabetico: a e i o u. Nell'Idillio trimetrico (Roma 1637) lo schema viene riproposto all'interno dell'ottava.
Il L. diede il suo nome a una particolare forma metrica, il leporeambo, consistente in una variazione degli schemi metrici tradizionali (molto spesso il sonetto) con l'innesto di rime e assonanze più volte replicate all'interno dei versi, di parole sdrucciole e bisdrucciole, di allitterazioni, paronomasie, di sostantivi e aggettivi bizzarri appositamente creati e di ogni altra astruseria di suono e di significato, che gli guadagnarono presso i contemporanei la considerazione di spirito ingegnoso e peregrino. Lo stesso L. si autodefinì "inventore della poesia alfabetica", cioè di una combinazione verbale ai limiti del virtuosismo, in cui l'elemento centrale è l'assonanza vocalica, mentre del tutto subordinata e secondaria è la scelta del repertorio tematico. Pubblicò numerose raccolte, sperimentando sempre nuove invenzioni: Leporeambi alfabetici musicali (Bracciano 1639, dedicati a Leopoldo de' Medici); Leporeambi nominali alle dame et accademie italiane (ibid. 1641: 106 sonetti dedicati a donne dal nome sempre diverso - da Agata "dea di Citera" a Urbana "empia dama" -, distinti fra loro dal fatto di essere "canzonieri" o "trisoni" o "cinquesillabi"); Leporeambi distici trisoni alfabetici nella notte natale di N. S. Giesù Cristo (Roma 1641); Leporeambo mosaico ottavario similitudinario alfabetico poetico (ibid. 1649); Leporeambo alfabetico in lode della città et vini di Albano (ibid. 1649); infine una Centuria di leporeambi (un'edizione romana, oggi introvabile, "Presso l'Erede del Grignani", risalirebbe al 1651 o 1652; prima edizione accertata: Bologna 1652; poi Udine 1660). L'effetto linguistico è dunque senz'altro l'aspetto più ricercato dal L., in linea con la poetica barocca della meraviglia - non a caso tra gli estimatori della poesia leporeambica troviamo Giambattista Marino -, che proprio in quegli anni vide le più significative affermazioni. In effetti, le scelte poetiche del L. (che ebbe al suo attivo una traduzione dell'Ars poetica di Orazio, Roma 1630) sono vicine al marinismo per molti motivi: per lo sperimentalismo metrico e il gusto per il paradosso e per il catalogo, per l'identificazione dell'Accademia come ambiente intellettuale libero e fervido di scambi culturali, per l'idea di poesia come spettacolo, e non come luogo di idealistiche teorizzazioni.
Ciò che rende lo sperimentalismo del L. ancora più singolare, tuttavia, è il fatto che il poeta non si considerava affatto affiliato alla poetica marinista, ma al contrario si dichiarava suo convinto denigratore, con un occhio semmai rivolto alle forme più composte di un Chiabrera. Lo stesso L. nel sonetto CXV dei leporeambi editi postumi nel Fascio primo di varie compositioni del signor L. Leporeo con l'aggiunta alle già stampate d'altre cavate da' manoscritti (Roma 1682) si definisce come un "giardiniere che con il filo a piombo e la squadra traccia con sicurezza e precisione le aiole, riuscendo a imporre l'ordine e l'armonia laddove sembrano manifestarsi soltanto forme disordinate e irregolari" (Leporeambi, ed. 1993, p. XVII). Alla tradizione lirica italiana il L. attinge infatti con un progetto ben definito, che è quello di unire in un confronto dissonante, in cui risalti l'eterogeneità, gli antichi e i moderni, nonché di mescolare con effetti anche stridenti il registro sublime con quello più prosaico. Egli stesso, del resto, si autorappresenta come un cacciatore di parole ("Vo in caccia e in traccia di parole, e pescole / dal rio del cupo oblio", ibid., 48, 1-2), che recupera i termini di un lessico altrimenti perduto, restituendoli alla modernità.
L'edizione moderna dei Leporeambi, a cura di V. Boggione, Torino 1993 (contenente una esauriente bibliografia sul L.), comprende la Centuria di leporeambi e quelli pubblicati nel Fascio primo di varie compositioni (alle pp. 132 s. la bibliografia del L.); alcuni inediti sono stati pubblicati da S.M. Martini, Sul Leporeo. Con una dozzina di stringhe al cavalier Marino, in Philologica. Archivio barocco, I (1992), pp. 31-66.
Fonti e Bibl.: G. Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, III, Venezia 1746, pp. 185-187; G.G. Liruti, Notizia delle vite ed opere scritte da' letterati del Friuli, IV, Venezia 1830, pp. 230-235; A. Benedetti, Unicuique suum, in Il Noncello, 1970, n. 30, pp. 37-62; B. Chiurlo, Rassegna di letteratura friulana, in Giornale storico della letteratura italiana, XLVII (1931), pp. 346 s.; L. Huetter, Spunti romani in L.L., in Studi di bibliografia e di argomento romano in memoria di Luigi de Gregori, a cura di C. Arcamone, Roma 1949, pp. 201-209; N. Cossu, L. L., in Letterature moderne, VIII (1958), pp. 302-320; G.R. Hocke, Il manierismo nella letteratura…, Milano 1965, pp. 35-39; M. Turello, Proposte per una rilettura dell'opera di L. L., in Rivista della Società filologica friulana, 1974-75, pp. 154-199; C. Chiodo, Temi realistici nella poesia del L., Macerata 1979; G. Pozzi, Poesia per gioco. Prontuario di figure artificiose, Bologna 1984, pp. 6, 109, 114 s., 145, 157.