JACOBINI, Ludovico
Nacque a Genzano, presso Roma, il 6 genn. 1832 da Raimondo, ricco proprietario terriero devoto al Papato, e da Ottavia Jacobini. Ricevuta la prima formazione al seminario diocesano di Albano, frequentò a Roma l'Università della Sapienza conseguendo nel 1857, tre anni dopo l'ordinazione sacerdotale, il dottorato in teologia e l'anno successivo quello in utroque iure. Successivamente lo J. fu impiegato nella congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari e ottenne nel 1861-62 la promozione a segretario della terza e della quarta commissione incaricata della stesura del Sillabo.
Dopo una breve parentesi in cui fu inviato in Spagna come legato pontificio per l'elevazione alla porpora degli arcivescovi di Burgos e di S. Giacomo di Campostella, riprese il suo incarico nelle due commissioni, fornendo nell'occasione numerosi appunti del suo lavoro al gesuita C.G. Rinaldi che li avrebbe più tardi utilizzati per uno studio sul Sillabo (1888). Sempre al Rinaldi, con il quale condivideva la tesi dell'infallibilità papale, lo J. diede ampie assicurazioni sull'accoglienza positiva che il documento pontificio avrebbe incontrato presso i vescovi, forzando alquanto la realtà dei fatti (come accadrà anche in altre occasioni) in modo da porre l'azione della S. Sede sotto un aspetto favorevole.
Nel 1868 lo J. successe a mons. G. Simeoni come segretario della sezione della congregazione di Propaganda Fide per le Chiese di rito orientale, ricoprendo inoltre la carica di consultore di diverse congregazioni create appositamente da Pio IX per riformare l'amministrazione ecclesiastica. Inoltre, in previsione del futuro concilio Vaticano, fu nominato segretario della commissione preparatoria incaricata delle questioni della disciplina ecclesiastica, presieduta dal card. P. Caterini, partecipando, dopo la sua costituzione, ai lavori della stessa dal settembre 1867 al maggio 1870.
Sottosegretario del concilio dal 5 sett. 1869, svolse un'attività oscura ma decisiva per la risoluzione dei problemi avvalendosi dell'assistenza di mons. C. Santoro e del cugino, mons. Angelo Jacobini. "Svelto, ingegnoso, bastantemente istruito, cortese, manieroso, non ebbe contrarietà", ricorderà di lui mons. V. Tizzani (Pásztor, p. 6 n.). In particolare fu per l'opera da lui svolta come segretario della sezione orientale di Propaganda Fide che Pio IX lo designò il 27 marzo 1874 alla successione del neo cardinale M. Falcinelli Antoniacci nella nunziatura di Vienna; due giorni prima il nuovo nunzio era stato nominato arcivescovo in partibus di Tessalonica; un ruolo decisivo nel determinare tale scelta lo ebbe, secondo E. Soderini, mons. W. Czacki, segretario degli Affari ecclesiastici straordinari, all'epoca uno dei prelati di Curia più ascoltati da Pio IX.
Il periodo trascorso a Vienna dal 1874 al 1880 costituì per lo J. uno dei più importanti sotto il profilo politico-diplomatico e dei più belli sotto quello personale, ed egli amò sempre ricordare negli anni successivi i giorni trascorsi sulle rive del Danubio. Lo stesso Leone XIII definirà "felice" questa nunziatura, iniziata peraltro sotto non buoni auspici a causa della tensione che da qualche anno guastava le relazioni tra Stato e Chiesa in Austria entrate in crisi dopo la definizione dogmatica dell'infallibilità pontificia e la conseguente denuncia da parte dell'Austria del Concordato del 1855.
In un rapporto del 6 maggio 1874 il conte C.F. Nicolis di Robilant, ambasciatore italiano a Vienna, aveva giudicato lo J. "uomo di spirito", la cui nomina era stata "nell'interesse del Vaticano fatta con giudizio", anche se la preferenza del diplomatico italiano cadeva, e pour cause, sul suo predecessore, "il rimbambito Falcinelli, poiché Jacobini potrà essere per me su questo sempre movente terreno un avversario pericoloso". In effetti lo J. si rivelò un abile diplomatico, riuscendo a ricucire pazientemente i rapporti tra Austria e S. Sede, a smussare le intemperanze dello stesso pontefice verso Vienna e a dissolvere quel certo clima di diffidenza che si nutriva negli ambienti governativi verso il Vaticano.
Nel 1874 il governo austriaco, sulla scia della legislazione ecclesiastica promossa da O. von Bismarck in Prussia e nell'Impero germanico, aveva preparato una serie di provvedimenti di tipo giurisdizionalistico: di qui la reazione di Pio IX che proprio alla vigilia della nomina del nuovo nunzio a Vienna aveva scritto il 7 marzo 1874 all'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe una lettera di protesta contro il nuovo corso politico, influenzato dalla stampa liberale di quel paese. Il compito dello J. si annunziava quindi assai delicato, seppure in Austria la situazione dei rapporti tra Stato e Chiesa non era così drammatica come in Germania: per esempio, i progetti di legge che più creavano apprensione nei cattolici e in Pio IX, quello sul matrimonio civile e quello sulla soppressione degli ordini religiosi, non furono approvati dal Parlamento. Bisognava, però, ricostituire quel clima di conciliazione esistente prima del 1870 tra i vescovi della Duplice Monarchia e lo Stato, e in questo senso si sarebbe dovuto adoperare lo J., come gli consigliava alla vigilia della sua partenza da Roma lo stesso ambasciatore austriaco presso la S. Sede, conte L. von Paar.
L'impegno maggiore profuso dallo J. nei primi anni della sua nunziatura a Vienna fu quello relativo alla nomina di nuovi cardinali austro-ungarici, sollecitata sin dal 1873 dal governo asburgico, il quale si riteneva scarsamente rappresentato nel S. Collegio. Proprio in quell'anno ebbero la porpora da Pio IX l'arcivescovo di Salisburgo, M.J. von Tarnoczy, e l'arcivescovo d'Esztergom, J. Simor. Ma nel 1877 il governo di Vienna tornò alla carica con le candidature di L. Haynald, arcivescovo di Kalocsa in Ungheria, di J.B.R. Kutschker, successore di J.O. Rauscher a Vienna, dell'arcivescovo di Zagabria, J. Mihalović, e dell'arcivescovo di rito greco di Fogaras (Alba Giulia), J. Vancsa, la cui candidatura, peraltro, fu presto abbandonata. Riserve assai forti lo J. nutrì sulla concessione della porpora all'arcivescovo di Vienna, da lui ritenuto troppo accomodante nei confronti del suo governo, ma fu lo stesso Pio IX che preferì dare un segno di distensione a Francesco Giuseppe, nominandolo cardinale. Anche la candidatura di Mihalović fu accettata da Roma, nonostante si nutrisse in Vaticano qualche dubbio sulla sua reale popolarità in Croazia.
Il vero scontro tra Vienna e la S. Sede, però, riguardò la candidatura di mons. Haynald, uno dei maggiori esponenti dello schieramento antinfallibilista durante il concilio Vaticano che, per di più, nel 1874 si era recato a Firenze a un convegno scientifico senza richiedere l'autorizzazione del Vaticano e aveva poi fatto visita, a Firenze, a Vittorio Emanuele II evitando di recarsi a Roma a rendere omaggio a Pio IX. Per tutti questi motivi la sua candidatura da parte del governo austriaco, conosciuta a Roma attraverso la stampa e in una nota dello J. al card. G. Antonelli del 7 nov. 1874 fu respinta recisamente da Pio IX e l'Haynald dovette attendere il 1879 per ottenere da Leone XIII la berretta cardinalizia. Per allora lo J. dovette smussare con un paziente lavorio diplomatico le frizioni che ne seguirono tra Austria e S. Sede, così come dovette intervenire nello stesso senso nel gennaio 1878, in seguito alla morte di Vittorio Emanuele II, quando Pio IX si rifiutò di ricevere in Vaticano l'arciduca Ranieri, giunto a Roma per partecipare ai funerali del sovrano. A conferma della sua attenzione a non urtare la suscettibilità del governo austriaco, proprio alla vigilia della scomparsa di Pio IX lo J. aveva comunicato alla segreteria di Stato vaticana come a Vienna si auspicasse che dal futuro conclave uscisse un papa moderato, proveniente dal clero secolare. Non è escluso che all'interno del S. Collegio, dopo la morte di Pio IX (7 febbr. 1878), si fosse tenuto conto delle sollecitazioni di Vienna (ma anche di Parigi e in genere delle potenze liberali), di cui il nunzio si era fatto pur con una certa prudenza interprete presso il Vaticano.
Il pontificato di Leone XIII segnò un cambiamento di linea rispetto a quello del suo predecessore, che aveva adottato la politica della protesta e la rinuncia a qualsiasi azione diplomatica costruttiva per uscire dall'isolamento in cui la S. Sede era venuta a trovarsi dopo il concilio. Uno dei primi passi di Leone XIII fu quello di trovare una soluzione al Kulturkampf e alle leggi Falk (maggio 1873) e Vienna divenne il centro di importanti iniziative diplomatiche vaticane che videro nello J. uno dei principali protagonisti.
In seguito agli incontri tra Bismarck e il nunzio apostolico a Monaco G. Aloisi Masella nella stazione termale bavarese di Kissingen (luglio-agosto 1878), positivi dal punto di vista di un riavvicinamento diplomatico ma non tali da eliminare i maggiori punti di contrasto tra Prussia e S. Sede, e in seguito a una nutrita corrispondenza nei mesi successivi tra Leone XIII e Guglielmo I e tra il segretario di Stato card. L. Nina e lo stesso Bismarck, il 18 luglio 1879 lo J. fu incaricato di negoziare con l'ambasciatore di Prussia a Vienna, principe H. von Reuss, sulla base delle richieste già formulate a Kissingen dall'Aloisi Masella: ritorno nelle rispettive diocesi dei vescovi, preti e religiosi in esilio, libertà del ministero ecclesiastico, indipendenza dei seminari dal controllo statale, istruzione religiosa ai fedeli cattolici conforme alla tradizione cattolica e accordo sulla nomina dei nuovi ministri di culto.
L'incontro tra lo J. e Reuss non diede i risultati sperati dalla S. Sede, e a nulla servirono i colloqui a due che tra il 16 e il 19 sett. 1879 lo J. ebbe con Bismarck nella stazione termale di Gastein in Baviera. Le trattative, riprese a Vienna tra lo J. (in qualità di pronunzio, carica che manterrà fino al 1880, essendosi conclusa la sua nunziatura il 17 sett. 1879 con la nomina a cardinale) e Reuss, portarono finalmente alla legge del 10 giugno 1880, detta "discrezionale", che accordava al governo prussiano la facoltà d'interpretare una parte delle leggi di maggio in maniera più elastica. Da parte sua Leone XIII aveva dovuto cedere sulla questione della comunicazione preliminare al governo dei nomi dei futuri parroci. Nel corso della discussione della legge lo J. ebbe alcuni incontri a Vienna con L. Windthorst, capo effettivo del Zentrumspartei, che portarono a un riconoscimento pieno, da parte della S. Sede, della libertà politica del partito cattolico in cambio dell'impegno a reclamare nel Parlamento prussiano l'abolizione delle leggi di maggio e la revisione degli accordi con la S. Sede.
Nell'ottobre 1880 lo J. lasciò Vienna: di lui rimase il ricordo di un diplomatico che - secondo di Robilant - "si era fatto qui grandemente apprezzare tanto dalla Corte come dal Governo e dall'alta società, per le sue tendenze naturalmente concilianti, pel suo prudente tatto, e forse più ancora, pel suo carattere onestamente gioviale".
Il 16 dic. 1880 Leone XIII lo nominò segretario di Stato al posto del card. Nina, esautorato per divergenze politiche con il pontefice che sin dalla sua elezione aveva inteso dare un ruolo del tutto subordinato alla carica di segretario di Stato, che doveva sostanzialmente costituire l'organo esecutivo delle sue direttive politiche. Inoltre Leone XIII si era creato un entourage di fedelissimi collaboratori che si erano formati durante il suo episcopato a Perugia e assumevano atteggiamenti tendenzialmente ostili ai segretari di Stato. In questo contesto lo J., pur accettando di essere l'interprete fedele e l'esecutore degli ordini del papa, dovette operare con difficoltà e con qualche imbarazzo, aggravato dal suo stato di salute (soffriva di diabete) che lo costringeva, specialmente negli ultimi anni di vita, a lasciare frequentemente Roma per trovare riposo nella nativa Genzano.
In effetti, è assai arduo stabilire il contributo personale dello J. in qualità di segretario di Stato nell'attivismo diplomatico promosso da Leone XIII, che portò, negli anni in cui fu alla guida della diplomazia vaticana, ai concordati del 1881 con l'Austria-Ungheria per la Bosnia-Erzegovina (conferma dell'erezione delle diocesi di Sarajevo, Banja Luka e Mostar), del 1882 con la Russia (affidamento delle diocesi di Minsk, Podlachia e Kamenz rispettivamente ai vescovi di Mogilëv, Lublino e Lutz-Žitomir), del 1886 con il Portogallo (abrogazione della giurisdizione straordinaria delegata all'arcivescovo di Goa nelle Indie inglesi, ridotta alle sole diocesi di Cranganor, Cochin e Meliapur, e attribuzione al re del Portogallo della nomina dei vescovi di Bombay, Mangalore, Quilore e Manduré), e dello stesso anno con il Montenegro (riconoscimento dell'esercizio libero e pubblico del culto cattolico, riconoscimento dei matrimoni misti). Riguardo poi agli accordi preliminari del 1884 con la Svizzera in vista della risoluzione dei maggiori contrasti tra Stato e Chiesa, essi furono trattati da mons. D. Ferrata, futuro segretario di Stato di Benedetto XV. Più attivo fu il ruolo dello J. in Spagna e in Francia, dove intervenne personalmente per invitare i cattolici a maggiore moderazione e per porre un argine allo sviluppo delle correnti cattoliche intransigenti, mentre in Germania, dove Leone XIII giocò in questi anni la partita più grande, egli fu confinato a mero esecutore degli ordini del pontefice, il quale si avvalse soprattutto della collaborazione di mons. L. Galimberti, anche nel periodo antecedente al 1885, quando questi assunse la carica di segretario degli Affari ecclesiastici straordinari. Peraltro, un motivo di dissidio tra lo J. e Leone XIII (e il Galimberti) fu la condivisione da parte del primo dell'autonomia dello Zentrumspartei dalla S. Sede, rivendicata dal Windthorst (in particolare riguardo alla legge detta del settennato, voluta da Bismarck, che prevedeva la riscossione anticipata di sette anni delle tasse per finanziare la riorganizzazione dell'esercito) e negata (dopo essere stata già concessa alcuni anni prima) per ragioni tattiche dal papa, nel momento in cui stava concludendo - nel 1887, con lo stesso Bismarck - le trattative avviate nel 1880 che abolivano gran parte delle leggi di maggio e normalizzavano i rapporti tra Stato e Chiesa.
Rispetto all'Italia, malgrado sembrasse talvolta condividere le speranze che si nutrivano in Vaticano circa la restituzione di Roma al papa con l'appoggio di Bismarck, lo J. si mosse sempre entro i limiti della moderazione, e un esempio se ne ebbe nella nota di protesta ai nunzi apostolici in seguito ai gravi incidenti causati dagli anticlericali nella notte del 12 luglio 1881 durante il trasferimento della salma di Pio IX da S. Pietro a S. Lorenzo fuori le mura; in definitiva fu sua cura stemperare piuttosto che aggravare le tensioni provocate da quegli incidenti.
Lo J. morì a Roma il 28 febbr. 1887.
Leone XIII già da tempo aveva individuato in mons. Galimberti un successore più in sintonia con la sua strategia e la sua tattica diplomatica. Probabilmente influì, nella considerazione piuttosto fredda del pontefice, anche la parte avuta dallo J. nell'affidare nel 1882 i capitali della S. Sede al finanziere cattolico di origine francese E. Bontoux, conosciuto a Vienna negli anni della sua nunziatura, direttore dell'istituto bancario francese Union générale, il cui fallimento, alcuni anni dopo, coinvolse la stessa finanza vaticana.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Arch. nunziatura Vienna, 1874-80; Segreteria di Stato, Epoca moderna, Esteri, 1880-87; Palazzo apostolico, Amministrazione, 1880-87; Roma, Arch. Propaganda Fide, Acta, vol. 2555, ff. 438-474 (concordato con il Portogallo). Tra le fonti edite si consultino i Documenti diplomatici italiani, s. 2, V-XX, Roma 1979-98, ad indices; A. Boudou, Le Saint-Siège et la Russie, II, Paris 1925, pp. 486-547; Vatikanische Akten zur Geschichte des deutschen Kulturkampf, a cura di R. Lill, II, Tübingen 1970, ad ind.; S. Olszamowska-Skowronska, La correspondance des papes et des empereurs de Russie (1814-1878) selon des documents authentiques, Roma 1970, pp. 160 s.; Id., Les accords de Vienne et de Rome entre le Saint-Siège et la Russie 1880-1882, Roma 1977; G.M. Croce, Una fonte importante per la storia del pontificato di Pio IX e del Concilio Vaticano I. I manoscritti inediti di Vincenzo Tizzani, Roma 1987, ad ind.; Il Concilio Vaticano I. Diario di Vincenzo Tizzani (1869-1870), a cura di L. Pásztor, Stuttgart 1992, ad indicem.
Un esauriente saggio sullo J. è la voce di G. Martina, in Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXVI, Paris 1996, coll. 569-579. Si vedano inoltre: E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, I-III, Milano 1933-34, ad ind.; J. Schmidlin, Papstgeschichte der neuesten Zeit, II, München 1934, pp. 455-462, 509-511; F. Engel-Janosi, Österreich und der Vatikan. 1846-1918, I, Graz-Wien-Köln 1958, pp. 180-253; G. Spadolini, L'opposizione cattolica, Firenze 1972, pp. 9, 233, 459; C. Weber, Quellen und Studien zur Kurie und Vatikanischen Politik unter Leo XIII., Tübingen 1973, ad ind.; B. Lai, Finanze e finanzieri vaticani tra l'Ottocento e il Novecento. Da Pio IX a Benedetto XV, Milano 1979, ad ind.; G. Martina, Pio IX (1851-1866), Roma 1986, pp. 287, 300 s., 314; Id., Pio IX (1867-1878), Roma 1990, ad ind.; B. Lai, Affari del papa. Storia di cardinali, nobiluomini e faccendieri nella Roma dell'Ottocento, Roma-Bari 1999, ad ind.; Enc. cattolica, VII, p. 548; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica…, VII, (1846-1903), ad indicem.